Diario dalla rete dei Siciliani giovani
Da Ravenna a Ragusa, un diario collettivo sull’informazione, il territorio, la cosa pubblica, e i ragazzi di Falcone
“Posso rubare questi pennini ai bambini, per scriverci sul mio quaderno?”.
Scendiamo le scale, dalla stanzetta della foresteria del Gapa, dove né finita la riunione della redazione catanese dei Siciliani Giovani, mentre lo chiedo timidamente a Paolo e Marcella. In fila giù per le scale ci sono Vincenzo, Riccardo, Alessandro, Luciano e Giovanni. Paolo mi guarda infastidito.
“I pennini sono dei bambini” fa. E giù. Al Gapannone oggì c’é festa di fine anno delle attività del Gapa. Un centinaio di ragazzetti, di volontari, le famiglie felici che si riuniscono attorno al Gapa da due decenni.
In foresteria mentre discutiamo gli articoli, Vincenzo accenna a organizzare a Catania un festival dell’Informazione. Non ha detto molto, quando l’idea è già stritolata da un’osservazione.
“Dovremmo contattare i ragazzi di Ravenna, oltre a quelli del Clandestino di Ragusa”.
– Quelli dello Zuccherificio, come lo hanno organizzato? Quali contenuti? Chi hanno invitato?
“Sarebbe utile metterci in contatto con loro, coinvolgerli in una rete più stretta, che ne dite?”.
– Guarda qui, è il dépliant del convegno, l’hanno intitolato il Grido della Farfalla.
La riunione di redazione
La riunione della redazione è stato il pretesto per conoscere i nuovi redattori, perché da un pezzo avevo deciso di staccare. Passati tanti mesi, ora mi ritrovo a discutere le pagine del giornale. Il gruppo si sta formando attorno al coordinamento di Giovanni, che da un angolo della stanza ascolta gli interventi e risponde e chiede. Le tante stagioni, e le tante lotte non gli hanno diminuito la resistenza.
“Alessandro, pensi di riuscire a trovare delle testimonianze da Istanbul, per il fotografico?”. E Alessandro ci spiega in due parole. Poi Giovanni riparte: “Vincenzo, sei riuscito a trovare quella fonte per il pezzo su Catania?”.
In tutti loro c’é voglia di mettersi a lavoro presto. Mentre discutiamo, mi viene in mente il vecchio gruppo di redattori, di Lavori in corso, che ormai ha preso una piega diversa. Sta lavorando a un paio di dossier. I gruppi cambiano, in questo ci sono le sconfitte e le elaborazioni, le distinzioni, e le idee diverse. Restano le relazioni.
Luca da Roma, con ordinaria precarietà, aiuta Riccardo. Riccardo litiga periodicamente con Piero. Maurizio e Cono e le foto che mandano di tanto in tanto per il giornale. Sonia continua con i video sociali. Rosalba, e Giuseppe, e Massimiliano, a capo della fitta traverse da cui sono venuti, e con coerenza.
Il più disgraziato e incoerente, io, nella schiavitù della distribuzione pubblicitaria. Volantini, per intenderci. Per fare dalle venti alle quaranta euri al giorno, e prima o poi andare a fare la maradona di New York. Ma alienato molto. Quanto basta per leggere il giornale troppo velocemente. Per smettere di leggere un articolo. Per fare una telefonata. Per andare ad un incontro cittadino. Per fare la foto di una strada, o scrivere un pezzo un paio di volte. Può succedere di svoltare pericolosamente a destra, senza accorgersene. Ma peggio se c’é consapevolezza e dolore, quando ti accorgi che lottare un sistema può farti diventare irrevocabilmente povero.
“Hai vinto un premio, andiamo!”
Un giorno poi era arrivata una telefonata. E’ Riccardo:
“Telefona a Norma, puoi?”.
– Perché?
“Ti hanno dato un premio per il giornalismo”.
– A me? Ma chi?
Ho litigato furiosamente con Riccardo quel giorno. Ma lasciamo stare. In un paio di giorni avevo raccolto i soldi per partire. Complice mio fratello:
“Ma come non vai, vuoi smetterla con questa storia del lavoro?”.
– Ma…
“I soldi non sono un problema.
– Ah si!
“Hai vinto un premio, andiamo!”.
Così comincia quella “vacanza” concessa da un gruppo di amici. Passare qualche giorno a Ravenna, per partecipare al Festival sull’informazione libera, e poi a Bologna, a Firenze e al ritorno a Bagheria, vicino Palermo, per infliggermi “un ‘ultimissima” crisi, necessaria per ritornare a ragionare sulla cose di tutti.
Partendo, e “regredendo” dalla vita privata a quella pubblica, mi pongo delle domande. Il progetto del giornale, ad esempio? E la mia vita, il lavoro? Come faccio a mettere insieme le cose? Il giornale vuol mettere in rete, i gruppi di informazione locali. Ma io ci credo? Quanto è difficile quell’aderenza alla precarietà delle singole persone, dei singoli gruppi, dei giornali dell’informazione diversa e ribelle?
Bel pezzo! Diciamo, per essere più specifici che il gruppo Lavori in corso non si è diretto da nessuna parte, nesssun dossier. Si è piegato per formare un cerchio. I cerchi non si spezzano di solito, se hanno coscienza della loro forma. Evidentemente questo non ce l’ha fino in fondo. In bocca a lupo per tutto e mi dispiace di non essere dei vostri al momento.