Di Matteo: silenzi e grida
Moltissimo si è scritto della “captazione” di numerose conversazioni fra Salvatore Riina e un altro detenuto.
L’attenzione si è concentrata sulle minacce, gravi e reiterate, persino truci, che Riina ha ossessivamente destinato al PM Nino Di Matteo, da anni impegnato – prima a Caltanissetta, ora a Palermo – in difficili inchieste di mafia, tra cui quella riguardante la “trattativa”, attualmente in fase di esame dibattimentale. Le minacce di Riina sono state interpretate in vari modi.
C’è chi ha visto nel suo smaccato e sinistro atteggiamento nulla più – si fa per dire… – del risentimento e della voglia di vendetta che inevitabilmente animano un mafioso pluricondannato, che inevitabilmente scorge un nemico (da eliminare per vendetta) in chi pratica– come Di Matteo – un metodo investigativo vincente che continua a mettere in crisi la propria organizzazione.
C’è poi chi ha sviluppato questa tesi, cogliendo nelle parole di Riina anche la preoccupazione che l’incisività dell’azione di Di Matteo possa portare – nello specifico perimetro della “trattativa” – a scoprire verità per qualche motivo oscuro sgradite a Riina.
Altri ha inteso i discorsi di Riina (minacce comprese) come una sorta di chiamata alle armi rivolta all’organizzazione perché invece di fare soltanto lucrosi affari torni ad un più “vivace” impegno sul versante militare; in questo modo Riina avrebbe voluto esprimere una linea d’intervento che non accetta di rimanere minoritaria, per di più relegata e sepolta nelle patrie galere.
Qualcuno, infine, ha scelto una chiave para-psicologica che tutto sommato colloca Riina (al di là delle intimidazioni) in una sostanziale posizione di difesa. La strategia stragista dei corleonesi si è rivelata un pessimo affare per “cosa nostra”, costretta dopo il 1992 a subire un’efficace reazione dello Stato che ha consentito – pur fra alti e bassi – di infliggere all’organizzazione duri (certo non definitivi) colpi.
E’ possibile allora che Riina non riesca a riconoscere che la strategia da lui diretta ha portato a risultati ben diversi da quelli sperati. E che pertanto abbia rimosso la realtà, cercando di convincersi che lo stragismo non è stato un errore strategico. Arrivando a chiedere, con le minacce a Di Matteo, la riproposizione oggi – a distanza di oltre vent’anni – di quella stessa strategia, anche come personale rivincita.
Comunque sia, sta di fatto che le minacce di Riina a Di Matteo devono essere considerate in tutta la loro protervia e gravità. Sarebbe davvero insensato non temerle. Vanno perciò adottate tutte le misure possibili di adeguamento della sicurezza del magistrato e di solidarietà nei suoi confronti.
PS – Non ho preso in considerazione la tesi che nella divulgazione delle minacce di Riina vorrebbe vedere una manovra diretta a rattoppare lo sdrucito tessuto dell’inchiesta sulla “trattativa”. L’oscenità di questa tesi strampalata supera infatti le mie capacità di comprensione.