Di giorno con la legge, di notte coi mafiosi
“Minchia, chi lo conosce e non sa niente…” commentavano ammirati i mafiosi. Un eroe del nostro tempo
Strade strette, pochi viali, tutto circondato dagli uliveti della Nocellara. Campobello di Mazara ha la fisionomia classica del paesino della provincia siciliana. Diecimila anime. A Sud di tutto. E’ la roccaforte di Matteo Messina Denaro. Prima ancora lo era del padre, don Ciccio, fidato referente dei corleonesi. Sempre di Campobello erano molti uomini al soldo del bandito Salvatore Giuliano. Nei piccoli paesi di provincia i clan si organizzano bene, sono dentro la società civile, entrano a far parte delle istituzioni locali.
Il 16 dicembre finisce in manette il sindaco, Ciro Caravà. L’accusa è pesante: organico al clan di Matteo Messina Denaro. Il primo cittadino campobellese avrebbe messo a disposizione la propria figura istituzionale per dare appalti ai mafiosi, pagare i viaggi ai parenti degli uomini di cosa nostra per andare a trovarli in carcere al Nord, più il solito scambio elettorale. Caravà è stato eletto con una coalizione di centrosinistra, con i voti del PD. I vertici provinciali dei democratici hanno liquidato la cosa dicendo che non era iscritto al partito.
“Il sindaco antimafia arrestato per mafia”, annunciano i TG. Caravà infatti riempiva i comizi di belle parole sulla difesa della legalità. Le tv locali accorrevano quando saliva sul palco. Lui stringeva forte il microfono e ci dava dentro. E i mafiosi se la spassavano: “minchia, l’altra notte tutto che parlava alla televisione… Minchia, chi non lo conosce e non sa niente e lo sente parlare…”. Una volta, all’inaugurazione di una sezione dell’Avis in uno stabile confiscato al boss Nunzio Spezia, esagerò. La figlia del boss raccontò tutto al padre rinchiuso in carcere: “papà, hanno fatto troppo schifo, quando è troppo è troppo”. Poi Caravà chiese scusa: “ho dovuto farlo”.
Ma i familiari del boss morto nel 2009, queste uscite, al loro sindaco, gliele abbuonavano. La moglie di Spezia diceva un gran bene di Caravà che pagava i biglietti aerei per andare a trovare il coniuge al penitenziario del Nord Italia. “Vedi, in due anni di sindaco quanto abbiamo risparmiato? Dopo le elezioni mi ha detto: vossia fino a quando va e viene dallo zio Nunzio, biglietti non ne paga più”. Con gli Spezia c’è un vecchio legame.
Al Comune le tangenti andavano e venivano. I mafiosi avevano preso possesso del palazzo, li si vedeva spesso girare tra le stanze, in consiglio comunale. Tutto regolare, magari troppo. Un ex funzionario della polizia, Giovanni Buracci, arrestato durante l’operazione avvisò tutti: “Ma siete pazzi? Qua ci commissariano il Comune. State lontani dal Comune. I soldi ce li portano a casa, le tangenti”.
Un servizio a domicilio, proponeva. Caravà era uno di loro. C’era confidenza. Un giorno l’auto di Cataldo La Rosa, uno dei mafiosi arrestati, venne beccata in sosta vietata da una zelante vigilessa che lo multò. Ci sarebbero state le elezioni di lì a poco. La Rosa chiama Caravà: “70 euro mi ha fatto quella troia… Gli ho detto che la deve trasferire. Dice: Minchia, per una .. Eh allora – gli ho detto – tieniti a lei, ed io sono contro di te nella prossima campagna elettorale. Mettitelo in testa”.
È soprattutto durante l’ultima campagna elettorale che Ciro Caravà ripeteva spesso quella litania bugiarda: “Sono il sindaco dell’antimafia, sono il sindaco della legalità”. Le condanne per furto di energia elettrica ed emissione di assegni a vuoto ? “Peccati di gioventù”. Senza contare le indagini per concussione chiuse pochi giorni prima del blitz.
A luglio lo intervistammo nel suo studio, in municipio. C’erano targhe ovunque. Riconoscimenti, foto ricordo. Alle sue spalle, accanto alla foto del Presidente della Repubblica, quella dell’ex Questore di Trapani Giuseppe Gualtieri. Poi, una grande immagine dei giudici Falcone e Borsellino. Quella bella, con i due eroi sorridenti.
Ci ripeteva che era continuamente attaccato dai mafiosi: “Si possono trovare ovunque, anche nelle istituzioni”. Si definiva un sindaco in prima linea: “Abbiamo condotto una battaglia contro la mafia e contro il malaffare che non ha precedenti”.
Ciro, come lo chiamavano i mafiosi, era stato appena rieletto sindaco, dopo una campagna elettorale al vetriolo. Con le proposte bizzarre, dal salvataggio delle case abusive al casinò. Può un sindaco costruire un casinò? “Che c’è di strano?”.
Dopo cinque anni di sindacatura in cui era successo di tutto, a cominciare dal suo nome scritto nella relazione della DIA, era stato denunciato per voto di scambio ed estorsione. Lui negò ogni cosa: “Ho querelato i poliziotti per le fandonie che hanno scritto. Anche se fosse stato il Presidente Napolitano, lo porterei in tribunale”.
Poi le operazioni antimafia Golem I e II che fanno terra bruciata attorno a Messina Denaro e sconquassano la città.
Nel 2008 arrivano i commissari e una mano santa salva il Comune dallo scioglimento. E Caravà fa in tempo a continuare la sua prima sindacatura ed iniziarne una nuova. Sempre nel segno della sua “antimafia”. E Messina Denaro? “Spero che lo prendano presto”. E’ qui vicino? “Non credo. Abbiamo dotato la città di videosorveglianza…”.
Caravà fa partecipare il Comune ai processi contro Cosa Nostra. Quello sull’operazione Golem II, proprio contro il superlatitante. Ci tenta, senza riuscirci, al processo sull’omicidio di Mauro Rostagno. Anche Rosario Spatola era di Campobello. Pentito di cosa nostra con Paolo Borsellino, avrebbe dovuto testimoniare al processo sull’assassinio del giornalista e sociologo, ma all’ultimo si viene a sapere che è morto nel 2008.
Il giorno dopo il blitz che ha portato in cella il sindaco la gente non sapeva cosa dire. “C’era da aspettarselo”, dicono alcuni. Molti non parlano. Altri dicono addirittura il prezziario dei voti: 150, 200 euro. Campobello vive come un deja vu.
Già nel 1992, infatti, il Comune venne sciolto per mafia. E la relazione dell’allora Ministro dell’Interno, Nicola Mancino, sembra scritta in questi giorni. “Il consiglio comunale presenta fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata che condizionano la libera determinazione degli amministratori e compromettono l’imparzialità degli organi elettivi”, scriveva Mancino. Il decreto è del 11 luglio, otto giorni prima della strage di Via D’Amelio. Gli inquirenti, nel paese del Belice, evidenziarono “la sussistenza di collegamenti tra alcuni componenti dell’amministrazione comunale e gli ambienti della criminalità organizzata”.
In più risulta incredibile come per vent’anni lo stato abbia dimenticato Campobello. Soprattutto se in quel decreto di scioglimento del ’92 spunta il nome di Ciro Caravà che risulta “in rapporti di amicizia e di affari con noti pregiudicati ed esponenti mafiosi quali Nunzio Spezia e Antonino Messina”.
Dopo vent’anni, sembra non essere cambiato nulla nelle istituzioni campobellesi. C’è il “grave fenomeno dell’abusivismo edilizio che, grazie alla complice inerzia degli organi comunali, ha devastato l’intera zona costiera di Tre Fontane” come scrisse Mancino. Caravà in piena campagna elettorale sventolò una fantomatica legge che avrebbe salvato 800 case abusive.
E, soprattutto, ci sono i commissari mandati dal prefetto. Il Comune è vicino allo scioglimento. Dopo l’arresto di Caravà si sono dimessi cinque consiglieri di opposizione. Credevano che il loro gesto avrebbe portato alle dimissioni a catena di tutti gli altri. Invece? Niente. I cinque che sono subentrati hanno accettato volentieri la carica e cambiato partito tingendosi dell’arancione di Grande Sud di Toni Scilla. Altri due si sono dimessi di recente. E dell’entourage di Caravà? Nessuno parla, nessuno di scomoda. Ha rinunciato alla sua carica solo il vice sindaco, Francesca Passanante. Nulla a che fare con la vicenda che sta scuotendo la città. Semplicemente per via della legge appena entrata in vigore che decreta, in questo caso, l’incompatibilità col fratello consigliere.
Il Comune di Campobello, oggi, non ha un sindaco. Non ha un vice sindaco. Non ha una testa. È ingovernabile. I consiglieri tentennano a lasciare la poltrona. Alcuni dicono che ci sono affari in sospeso. In tutte queste offuscazioni, incertezze, vuoti di potere, chi arriva prima vince. E nei piccoli paesi, come Campobello, a sud di tutto, quasi dimenticato, Cosa Nostra può essere molto svelta.
CRONISTORIA
1992 – Il Comune di Campobello di Mazara viene sciolto per mafia. Ciro Caravà era consigliere comunale, viene indicato in rapporti con i boss Nunzio Spezia e Antonino Messina.
1998 – La Corte d’Appello di Palermo condanna Caravà ad un anno e tre mesi di reclusione per furto di energia elettrica (pena sospesa).
2006 – Ciro Caravà viene eletto per la prima volta sindaco di Campobello con una coalizione di centrosinistra battendo al ballottaggio Daniele Mangiaracina.
2007 – Nella relazione semestrale della DIA si legge che Caravà “è stato denunciato per estorsione e voto di scambio”.
2008 – In Comune arrivano gli ispettori prefettizi per verificare possibili infiltrazioni mafiose. Per poco non si arriva allo scioglimento.
2008 – Ciro Caravà si candida alle elezioni regionali con la lista di Anna Finocchiaro. Non viene eletto per un soffio.
2009 – Operazione Golem. 13 arresti tra Campobello e Castelvetrano per fare terra bruciata attorno a Matteo Messina Denaro.
2010 – Operazione Golem II. 18 arresti tra fiancheggiatori del latitante.
2011 – Ciro Caravà viene rieletto sindaco di Campobello di Mazara al ballottaggio.
16 dicembre 2011 – Operazione Campus Belli. Finiscono in cella 11 esponenti della famiglia mafiosa di Campobello ritenuti vicini a Matteo Messina Denaro. Tra questi anche il sindaco di Campobello.
LINK:
Intervista di luglio a Caravà: http://www.youtube.com/watch?v=PsbUNNAzgCQ
Visita a Campobello il giorno dopo: http://www.youtube.com/watch?v=je_FCU9gORQ