Di che cosa si parla quando si parla di Catania
Secondo la classifica del Sole24ore, Catania è la novantacinquesima città d’Italia – su cento – per qualità della vita.
Sono ulteriormente peggiorati, rispetto all’anno prima, tenore di vita, servizi e ambiente. E’ terzultima per speranza di vita. E’ nelle prime tre per furti e rapine. E’ invece piazzata bene come clima, dov’è al decimo posto.
Questo non è uno scoop, perché la stessa notizia era già uscita l’anno scorso. E l’anno prima, e tre anni fa, e l’anno prima ancora. In realtà, è più di trent’anni che si ripete. Dai tempi dei “Cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, del monopolio di Ciancio, del caso Procura di Catania e dell’assassinio di Fava. Altre città sono andate avanti, in trent’anni. Qua non è cambiato niente.
Trent’anni fa c’era un sindaco democristiano che inaugurava i locali degli imprenditori collusi. Adesso pure. Trent’anni fa c’era la dittatura dell’informazione, con un solo giornale ed un solo editore. Adesso pure. Trent’anni fa c’erano imprenditori e politici erano spesso contigui ai poteri mafiosi. Adesso pure. Trent’anni fa c’era un Palazzo che assolveva gli imprenditori (“causa di forza maggiore”, “non è reato”) e lasciava cadere le accuse dei cittadini. Adesso pure.
Catania è semimorta e agonizza, dopo trent’anni di questa storia. Catania, sopravvissuta a invasioni di barbari, eruzioni dell’Etna colera e terremoti, non sopravviverà ad altri due o tre anni come questi. La gente scappa, i giovani se ne vanno appena finita la scuola. Non ci sono più soldi, e quei pochi che girano sono mafiosi.
Non è più questione di politica ormai, ma di protezione civile. Come per l’Etna, le epidemie o i terremoti. Se c’è ancora qualcosa da fare, bisogna farla adesso. Salvare la città subito, almeno ciò che ne resta.
A Catania il 2015 ci ha salutato con una commedia ed una tragedia, a pochissime ore di distanza. Da commedia le reazioni dell’establishment alla “assoluzione” di Ciancio, un inno alla riverginazione collettiva.
L’ordine regna a Catania. L’Ordine dei giornalisti, in nome dello stesso, è il primo a congratularsi: tutto è normale, non è successo niente. Si associa il giornale dell’ordine, che per trent’anni ha nascosto montagne di quell’elemento che secondo Vecchioni qui abbonda. Processo per quei pochi giornalisti (ad esempio il Benanti) che avevano confusamente cercato di opporsi alla montagna. Interviste, “dibbattiti”, ponderosi editoriali.
Catania, che di problemi ne ha tanti, intanto vien liberata da uno dei più fastidiosi, anche se minori. Ogni anno, ai primi di gennaio, in quella città avviene infatti un furto di fiori, quelli che i cittadini depongono in memoria di chi li ha difesi. Alle sei li depongono, alle dieci già sono stati rubati. E al mattino dopo, puntualmente, si alza la voce di Elena che rimbrotta e richiama. Ma quest’anno no, quest’anno li si potrà rubare liberamente. Un male s’è preso Elena, se l’è portata via con tutto il suo coraggio. Questa – per noi catanesi civili – è la tragedia. Per gli altri è un semplice ostacolo tolto di mezzo.
Quest’anno il nostro cinque gennaio sarà diverso dagli altri. Di fronte all’emergenza, al colera, a questo collettivo morbido genocidio civile, abbiamo capito – come trent’anni fa – di non poter essere solo un giornale, di dover richiamare i cittadini al dovere comune. Catania non può morire così. Se morirà, non sarà colpa dei mafiosi o dei politici, ma della viltà dei cittadini.
E’ perciò che quest’anno, nel giorno della memoria e della lotta, chiamiamo i cittadini, con esponenti significativi della società civile, a incontrarsi insieme. Non per l’ennesimo “dibattito” fra politici ma per promuovere concretamente una via d’uscita. Come cacciare i Bianco e i Ciancio? Cosa fare dopo? Con chi, se le “forze politiche” sono omertose? Contro chi, se non c’interessano i giochi politici di potere?
Proviamo a rispondere insieme, fra gente come noi, gente normale. Abbiamo invitato alcuni – nessuno dei quali “importante” – a discuterne con noi, al Gapa, il 5 gennaio. Ma hai qualcosa da dire anche tu, non ti cacciamo.
“E adesso, chi ha qualcosa di utile da dire per la città?”. Quando la nostra città fu fondata, moltissimi anni fa, queste parole aprivano l’assemblea. Non aspettiamo salvatori e carismi. Salviamoci da soli, e cominciamo ora.