martedì, Dicembre 3, 2024
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Dall’eroina al plutonio Le vie dell’Obšcina

Le guerre, i crimini, i traffici, le complicità

La Cecenia è una Repubblica autono­ma della Federazione Russa situata nel Caucaso, al confine con la Georgia. Sto­ricamente contesa fra le varie potenze che la circondavano, i suoi abitanti han­no da sempre dovuto difendersi, colti­vando una grande volontà combattiva e un forte sentimento etnico-patriottico. 

Da quando vennero sottomessi fra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento dall’impero Russo, la resi­stenza dei ceceni contro l’inva­sore è una costante. Questa resistenza sto­rica si mani­festa in particolare durante lo sfaldamento dell’Urss. Negli ultimi mesi del 1991 il generale Dzochar Du­daev, approfittando degli endemici senti­menti anticomunisti ceceni e della confu­sione regnante a Mo­sca, rovescia l’élite sovietica locale e pren­de il potere a Groz­ny, la capitale. Nasce così la Cecenia, che nel 1993 dichiara uni­lateralmente l’indipen­denza coll nome di Re­pubblica cecena di Ichkeriya.

La scelta indipendentista crea subito una serie di problemi: incer­tezze economi­che e politico-istituzionali, infatti, favori­scono lo sviluppo di alcune attività illecite. Non solo: presto la Cece­nia diventa un porto franco del terrorismo e della crimi­nalità, grazie a un decreto –emanato dal neo-presidente Dudaev– di­chiarante come prive di valore e inapplica­bili sul territorio ceceno quelle sentenze di condanna pro­nunciate dalle Corti dei Paesi che interna­zionalmente non avevano riconosciuto l’indipendenza cecena. Inoltre, una sorta di “guerra civile” non dichiarata fra le va­rie fazioni pro e contro Dudaev e l’embar­go russo accentuano lo sviluppo di mercati paralleli e illeciti e la forza delle organiz­zazioni criminali.

La successiva prima guerra cecena (1994–1996) fra la neonata repubblica e la Federazione Russa favorisce il fiorire e il prosperare delle organizzazioni criminali. Inoltre, la chiamata al jihad da parte del Gran Muftì (l’autorità religiosa della Ce­cenia, a maggioranza musulma­na) porta centinaia di com­battenti a rimpolpare le fila cecene. Ciò crea una si­tuazione caoti­ca i cui effetti si sentono an­cor oggi.

Il conflitto viene vinto dai ceceni; i qua­li, però, perdono la pace. Infatti, il Paese diventa un buco nero in cui gli affari cri­minali prosperano più di prima. Dimenti­cata da Mosca, senza un reale controllo da parte dell’amministrazione del neoelet­to presidente Maskhadov e pervasa da una grave crisi economica, in Cecenia fiorisco­no i “signori della guerra”, che in varie zone esautorano l’autorità governativa, compiendo razzie e rapimenti. Forse anche grazie all’aiuto degli stessi servizi di sicu­rezza del Cremli­no, la situazione si rende così fin da subito critica.

La seconda guerra cecena scoppia il 29 settembre 1999. Il sostegno russo a frange minoritarie di lealisti delegittima le autori­tà e fomenta una vera e propria guerra ci­vile. La fase militare del con­flitto si chiu­da in maniera vittoriosa per gli uo­mini di Mosca già nel 2002, anche se la lotta al terrorismo si è protratta fino al 2009.

Nel 2005 viene ucciso Maskhadov, ulti­mo esponente di rilievo dell’indipendenti­smo “laico” ce­ceno. Così la lotta vie­ne ca­talizzata dalla fazione ul­trareligiosa, soste­nuta da numerosi muja­heddin giunti grazie alla chiamata al jihad in occasione di en­trambi i conflitti e finan­ziata dai Pae­si ara­bi del golfo.

È in questo panorama condito da insta­bilità politica, conflitti etnico-religiosi e guerra perenne che il territorio ceceno di­venta uno dei terreni più fertili per l’insor­gere di ogni tipo di attività criminale.

Il secondo intervento russo in Cecenia, infatti, oltre che come lotta al terrorismo di matrice islamica viene presentato come volto a eliminare un nido della criminalità organizzata, un ri­fugio da cui numerosi malavitosi gestiscono tranquillamente af­fari in tutto il mondo.

Simile a Cosa Nostra 

In effetti, la criminalità organizzata ce­cena è tra le più feroci ed efficienti. Chia­mata Obšcina (in russo “comunità”), trova nome e origine nel mo­vimento sovversivo fondato nel 1974 da Chož-Ahmed Nou­chaev, uno studente uni­versitario. Struttu­rata su un modello gerar­chico simile a quello di Cosa Nostra, ottiene con gli anni la reputazione di essere la più coesa e peri­colosa fra le organizzazioni a base etnica.

Sebbene in Russia la maggior parte dei gruppi criminali sia plurietnico, molti clan ceceni (con azeri e georgiani, vicini e tra­dizionali alleati) si sono infatti spinti fino alla Siberia, con­trollando piantagioni di oppio un po’ ovunque. Inoltre, grazie alla loro solida e strutturata rete di contatti tra le forze dell’ordine, sono dive­nuti un part­ner efficiente per molti altri gruppi crimi­nali, ad esempio quelli tagichi o uzbeki.

Alcuni studi investigativi recenti hanno dimostrato che la sfera di influenza della mafia cecena si estende da Vladivostok a Vienna, con propagini in tutto il mondo. E’ presente nella “triplice frontiera” fra Ar­gentina, Brasile e Paraguay, con l’appog­gio dalla considerevole comu­nità musul­mana coinvolta nei traffici di so­stanze stu­pefacenti e di armi dall’Ame­rica all’Euro­pa. Le attività cui si dedica sono di varia natura: distribu­zione di moneta falsa, ap­propriazione indebita, ricettazione, rici­claggio di denaro, tratta di clandestini, traffico di stupefacenti (che in alcune aree monopolizza) e persino di sostanze ra­dioattive come il plu­tonio.

La principale attività rimane comunque il traffico di droga. A nord e a sud del Cau­caso, infatti, transitano le partite di oppio, morfina base e hashish provenienti dalla Mezzaluna d’Oro e in particolare dall’Afghanistan. Esse arrivano dall’Iran o dal Turkmenistan, attraversano il Mar Ca­spio e si dirigono, passando il Mar Nero, verso i Balcani e verso l’Europa. Questo percorso, noto come “Rotta caucasica”, si connette con la “Rotta balcanica” o con la “Rotta baltica”, portando la droga a San Pietroburgo e negli Stati dell’Europa nord orientale e centrale.

I tragitti del Caucaso 

I tragitti che attraversano il Caucaso, ol­tre a raggiungere l’imponente mercato del­la Federazione russa, sono anche decisa­mente sicuri; infatti la mancanza di infra­strutture necessarie a proteggere i confini, le continue guerre o scontri e la scarsa cooperazione internazionale dei vari Paesi della regione rendono quest’area una ghiotta preda per i trafficanti.

Il primato ceceno sembra indiscusso an­che nel traffico delle armi. Ovviamente la fioritura di questo commercio si deve alla situazione di continua tensione e conflitto della regione caucasica. Questo è un traffi­co importante, che in passato ha tratto vi­talità dall’estrema facilità con le quale giungevano in Cecenia le armi dai depositi ex sovietici e dai Paesi del Medio Oriente e del Golfo Persico. 

Il traffico del petrolio 

Un terzo traffico importante è quello del petrolio, grazie tanto alla vicinanza dei grandi centri petroliferi caucasici come quello di Baku in Azerbaigian quanto al passaggio di una serie di oleodotti in Ce­cenia.

La mafia cecena, ha quanto sembra, ha costruito gran parte delle sue ricchezze iniziali proprio rubando il petrolio dagli oleodotti e rivendendolo al mercato nero.

Inoltre, il controllo dell’indotto illecito in­torno al petrolio attualmente costituisce una fonte di arricchimento molto impor­tante anche per i militari russi, la polizia cecena filorussa e gli uomini d’affari cece­ni che dispongono di una buona rete di re­lazioni.

L’affare del petrolio è redditizio persino a livello locale. I numerosi pozzi e le pic­cole raffinerie artigianali – detti “sa­movar” e costruiti e sfruttati illegalmente nei villaggi già dalla fine del primo con­flitto – sono spesso oggetto del racket (consistente nell’autorizzazione a usarli e nella protezione in cambio di benefici) da parte sia dei militari dei vari schieramenti sia dei gruppi criminali.

Un’altra attività che ebbe grande impor­tanza durante i conflitti ma che comunque ne ha ancora per via della situazione di in­digenza in cui versa parte della popolazio­ne è il mercato nero, in cui al tempo con­fluivano tutte le merci che venivano sot­tratte nel corso delle varie operazioni di “pulizia”, come le cosiddette zacistki o za­ciski, rastrellamenti indiscriminati contro la popolazione civile in cerca di terroristi.

Inoltre, durante i conflitti (specie nel se­condo) si sviluppò anche l’usanza, soprat­tutto fra i militari russi, di ricercare il gua­dagno tramite la richiesta di un vero e pro­prio riscatto per le persone arrestate o cat­turate nel corso di queste azioni e persino per il recupero dei cadaveri; tanto che si venne a creare addirittura un sistema per­fettamente rodato di tariffe.

Tutto ciò era nelle mani di brigate criminali russo-cece­ne. Queste rappresen­tavano la connessione e commistione di interessi e azioni fra for­ze legali (i milita­ri) e forze illegali (i cri­minali), a tal punto che difficilmente si po­tevano distinguere le due sponde. Anche se affievolito, nel mercato nero tale bino­mio rimane. 

Perché il via libera ai mafiosi

Il vuoto repressivo in Cecenia deriva da tre fattori distinti, ma perfettamente omo­logati e intersecati fra loro.

Il primo consi­ste nella volontà politica di compiacere le organizzazioni criminali, da parte di uomi­ni dello Stato – ceceno prima, russo ora – che con queste hanno profondi agganci, tanto che alcuni membri del governo cen­trale o delle amministra­zioni locali ne fan­no parte.

Il secondo nella corruzione per­vasiva dell’apparato statale, che garantisce una certa malleabilità e reverenza nei con­fronti di determinati soggetti.

Il terzo fat­tore – forse quello determi­nante per il “buco nero” ceceno – consiste nella disat­tenzione dello Stato che, occu­pato a risol­vere questioni di sicurezza na­zionale come il conflitto prima ed il terro­rismo poi, la­scia ampio margine d’azione ai vari signo­ri della guerra, sia criminali che militari. 

Il terrorismo ceceno è andato presto as­sociandosi a quello cosiddetto islamico (principalmente di stampo wahabita), sia per la chiamata al jihad promossa in en­trambi i conflitti, sia per il persistente mal­contento socio-economico della popola­zione, che vede nelle istituzioni islamiche le uniche davvero salde e con disponibilità economica, dati i finanziamenti che rice­vono dai Paesi arabi. 

Un conglomerato paramilitare 

Il terrorismo è un elemento che non si può dissociare dal fenomeno criminale in Cecenia e nel Caucaso, soprattutto dopo il 2002. Il caso ceceno è paradigmatico per evidenziare i rapporti fra organizzazioni criminali e quelle terroristiche.

In Cecenia, infatti, si è formato un con­glomerato para­militare, che è un utile sup­porto per con­durre azioni terroristiche, tanto da parte dei jihadisti, quanto da quel­la dei naziona­listi russi.

Le stesse entità criminali russe e islami­che, che si sono politicizzate e lega­te al terrorismo, formarono da allora una sorta di “criminalità ibrida”, un mix tra crimina­lità organizzata e terrorismo simile a quel­la che si può riscontrare nei Balcani o in Afghanistan. Ciò deriva da una sem­pre più costante sovrapposizione fra le at­tività ter­roristico–insurrezionali e le vie del narco­traffico, il che crea una stretta connessione fra tali attività e il traffico di droga del quale esse probabilmente si ali­mentano.

In ogni caso in Cecenia le organizzazio­ni criminali autoctone non si schierano apertamente e definitivamente con nessu­no dei diversi contendenti sul territorio, per potersi giovare al massimo negli affari di questa situazione di perpetua no man’s land, così come fanno anche le diverse au­torità federali, locali e militari.

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