Dagli amici mi guardi Iddio…
Un esempio? La Calcestruzzi Ericina Libera possiede un impianto sull’isola di Favignana, recuperarlo costa 1 milione di euro, sulla carta quei soldi ci sono ma il Comune non può attingerli, è un bene aziendale, fuori da ipotesi di recupero.
Oggi la Calcestruzzi Ericina Libera, nei primi 5 mesi del 2012 ha guadagnato 300 mila euro, ha dovuto anche collocare a turno in cassa integrazione alcuni dei suoi operai, i soldi dei Pon finiscono per essere impiegati per ristrutturare immobili, quando invece potrebbero essere impiegati per tutelare occupazione o fare nuova occupazione come nel caso dell’impianto di Favignana se funzionasse a pieno regime.
Bastava che nell’ultima delle norme venisse corretta la competenza, che anche i beni aziendali potessero essere finanziati con i Pon. Invece è anche accaduto di peggio. L’impianto di riciclaggio degli inerti poi dovrebbe lavorare 24 ore su 24 perché c’è una legge regionale che a proposito di tutela ambientale prevede il riciclo degli inerti, chiunque dovrebbe conferire in questo impianto i residui di lavorazione e invece negli uffici pubblici, nelle imprese, questa norma è quasi sconosciuta, e la gran parte dei rifiuti che provengono da lavorazione edilizia finiscono… nelle discariche abusive.
Il presidente della cooperativa “Calcestruzzi Ericina Libera”, il rag.Giacomo Messina, racconta che la concorrenza sleale non è certo finita. Non si sa se c’entri o meno la mafia, c’entra certo la crisi, ma a volte i clienti si perdono perché vengono chieste forniture in nero.
“Noi non le facciamo e quindi perdiamo i clienti, questi da qualche altra parte comprano il cemento, e quindi c’è da presumere che il fatturato in nero altri lo facciano”.
Luigi Miserendino è uno degli amministratori giudiziari più esperti in Sicilia, oggi si occupa di imprese confiscate alla mafia in provincia di Trapani. L’ultimo degli affidamenti riguarda una impresa di costruzione edilizie, una di quelle più avanti nei guadagni che però adesso ha fermato l’attività.
“Il codice antimafia appena varato impone agli amministratori giudiziari di interrompere tutti i rapporti trovati in essere al momento del sequestro, le imprese edilizie lavorano molto con gli affidamenti bancari, e quindi ci siamo trovati in questo caso a dovere interrompere gli affidamenti pre esistenti per cercarne di farne dei nuovi.
Il risultato è stato quello di avere chiuso i vecchi e di non averne potuto aprirne di nuovi, perché le banche alle società sequestrate e confiscate preferiscono non fare affidamenti”.
Insomma alla mafia si fa credito, allo Stato no. E per colpa dello stesso Stato che spesso non scrive le giuste leggi.
Basterebbe per esempio una norma che faccia decadere le ipoteche che apposta i mafiosi hanno acceso sulle loro proprietà per liberarle da tanti pesi, ma anche questo ancora oggi non si vuole fare.
Storie
IL MANCATO ARRESTO DI MESSINA DENARO
Un giorno potrebbe esserci un processo a proposito della mancata cattura dell’attuale super latitante della mafia trapanese, Matteo Messina Denaro? Un processo che potrebbe essere la replica di quello in corso a Palermo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano e dove è imputato il generale dei carabinieri Mario Mori?
Domanda d’obbligo da quando nel giro di pochi mesi sono venuti fuori fatti che fanno pensare a qualche “manina” che provvidenzialmente ha fermato indagini in corso per arrivare al nascondiglio del boss belicino, uccel di bosco dal 1993, 19 anni esatti.
All’esito di una recente operazione antimafia messa a segno nell’agrigentino ha fatto gran clamore l’intervento carico di ira messo nero su bianco dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Teresa Principato.
Il blitz ha condotto in carcere un professore, Leo Sutera, che aveva un rapporto “epistolare” – scambio di “pizzini” – con Matteo Messina Denaro, “uomo-cerniera” tra le mafie trapanesi ed agrigentine che si muovono nell’orbita di Messina Denaro.
Secondo il procuratore Principato se Sutera non fosse stato preso, poteva essere utile per arrivare al latitante.
Cronaca a parte, facendo un semplice esercizio di memoria si scopre che non è la prima volta che ciò accade e che cioè un blitz eseguito con la misura del fermo di polizia emesso per emergenze investigative direttamente dalla Procura, avrebbe causato “danno”.
Appena due anni addietro quando a Trapani fu eseguita l’operazione “Golem 2”, ci fu il sospetto che quella cerchia di soggetti più vicini al boss latitante, a cominciare dal fratello Salvatore Messina Denaro e dal cognato, Vincenzo Panicola, se ulteriormente controllata poteva svelare segreti e movimenti utili alla cattura.
I poliziotti avevano scoperto il sistema di comunicazione del latitante, individuati erano stati i tempi dei periodici invii dei “pizzini”: forse sarebbe bastato attendere il maturarsi dei tempi, per la consegna dei nuovi “pizzini” per arrivare a scoprire il covo.
A Palermo invece negli uffici dei pm sarebbero giunti pressioni altolocate, romane, da uffici del Viminale, e così il blitz scattò e la possibilità di avvicinarsi ancora di più al latitante venne interrotta.
E ancora, dalla famosa indagine sulle “talpe” al Palazzo di Giustizia di Palermo, dove furono indagati e condannati due eccellenti come i marescialli Giuseppe Ciuro, della Dia, e Giorgio Riolo, del Ros.
Furono svelati particolari importanti sulle strategia di ricerca.
C’è poi una storia finita quasi nel dimenticatoio, emersa da una indagine dei carabinieri trapanesi, denominata “Hiram”, sui rapporti tra la mafia e massoneria, terreno fertile sul quale è cresciuta storicamente Cosa nostra trapanese.
Una indagine che portò i militari a fare perquisizioni anche presso lo Sco, il servizio centrale operativo della Polizia, tra i soggetti indagati, e condannati, una poliziotta Francesca Surdo che avrebbe avuto possibilità di accedere ai fascicoli più riservati dello Sco.
(R.G.)