domenica, Novembre 24, 2024
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Dagli amici mi guardi Iddio…

Dove non è riuscita Cosa nostra, potrebbe farcela lo Stato. Cosa nostra in­cendia e mi­naccia, lo Sta­to usa leg­gi inadeguate. Il caso Calce­struzzi Ericina

L’assalto delle mafie ai beni confi­scati riempie molto spazio nelle storie anti­mafia, che spesso però restano non rac­contate a sufficienza e bene: i beni sot­tratti al potere dei capi mafia e dei loro complici “colletti bianchi” conti­nuano a non conoscere una completa sta­gione di riutilizzo.

Un bene confiscato oggi in Italia va in­contro, da decen­ni, a un destino segna­to, i quelli che non si leggono in nessuna nor­ma, ma sono nei fatti determinati da­gli stessi mafiosi spossessati. Le norme pre­vedono il riutilizzo ai fini sociali di queste proprietà, ma gli osta­coli sono così tanti che finisce con il pre­valere il volere dei mafiosi e accade che un bene sottratto al loro controllo finisce col co­noscere il de­clino. Come a voler dire che quel bene può essere produttivo solo se resta in mano mafiosa, e così il segna­le è chiaro per tutti… solo Cosa no­stra può vincere.

Gli ostacoli possono essere quelli che le stesse mafie riescono ad organizzare, o ancora possono essere rappresentati dalle lentezze burocratiche o dalle contraddi­zioni che nemmeno la migliore della leg­ge riesce a cancellare.

In provincia di Trapani da questo punto di vista c’è tantissimo da raccontare. Tan­te storie: la storia dei 70 ettardi di Salemi che da decenni non vengono riu­tilizzati, quella degli uliveti confiscati tra Partanna e Castelvetrano che periodica­mente subiscono incendi, quella della Calcestruzzi Ericina, una impresa confi­scata alla mafia e che la mafia aveva de­ciso di far fallire, di fare chiudere.

A Salemi i terreni appartenuti al narco­trafficante mafioso Totò Miceli non pro­ducono nulla da anni. Il Comune di Sale­mi per tanto tempo ne ha tenuto il possess­o non definendone però mai l’affi­damento in gestione. Cosa ripresa nel con­testo delle indagini “Salus Iniqua”, quel­la che ha portato al sequestro di beni contro l’ex deputato Pino Giammarinaro e il riavvio nei suoi confronti di un nuo­vo procedimento per l’applicazione della sor­veglianza specia­le. C’è una intercetta­zione riguardante l’ex sindaco Vittorio Sgarbi mentre chiede a un asses­sore il pensiero di “Pino” a proposi­to dell’asse­gnazione. Giammarinaro pre­feriva l’Aias, in cor­sa c’erano Slow Food e Libera. “Mai quel terreno lo darò a quelli di don Ciotti”, disse Sgarbi.

Da poco tempo l’agenzia nazionale dei beni confiscati si è ripresa quei 70 ettari, le procedure di assegnazione sono ripar­tite daccapo, e su questi terreni continua a non crescere nulla.

Di recente c’è la storia di terreni di Ca­stelvetrano e Partanna. Uliveti pregiati.

Qui si potrà raccogliere, quando sarà possibile, la famosa oliva nocellara del Belice. Intanto però si ripuliscono i terre­ni dal­la cenere dell’ultimo dei roghi qui ac­cesi. E’ accaduto poche settimane addie­tro, ai primi di giugno.Nello stesso giorno in cui il coordina­tore provinciale di Libe­ra, Salvatore In­guì, doveva andare a fir­mare al Comune di Partanna il protocollo per avviare la pubblicazione del bando per l’assegna­zione dei terreni, un incendio ha parzial­mente distrutto quegli uliveti.

I vigili del fuoco sono venuti a dire che la prova del dolo non c’è, ma di casualità e coincidenza ce ne è tanta da far pensare davvero male.

Intanto i due terreni non sono limitrofi ma distano parecchi chilometri: è vero quel giorno c’era forte scirocco, ma a prendere fuoco sono stati solo i terreni confiscati, in nessun altro uliveto il caldo ha fatto danno.

Altra coincidenza: questi poderi rientran­o nei terreni che portano il nome di Rita Atria, la ragazza di Partanna suici­datasi 20 anni fa, sconvolta dalla strage di via D’Amelio.

“Le terre di Rita Atria” sono le terre dove è previsto vengano a lavorare le coo­perative giovanili che potranno partecipar­e al bando non appena verrà pubbli­cato. Per arrivare alla pubblicazione di que­sto bando sono passati anni, riunio­ni in­terminabili, in prefettura a Trapani, nei Comuni di Partanna e Castelvetrano, sembrava un traguardo difficile da rag­giungere, e invece quando si è stati li per li per firmare l’accordo, ecco l’incendio, come se qualcuno mandasse a dire che “siamo sempre presenti”.

La Calcestruzzi Ericina è quella che poi riempie questo “palcoscenico” con la sua storia, con la vicenda di quel prefetto di Trapani dimenticato dallo Stato, Ful­vio Sodano. Confiscata al mafioso Vin­cenzo Virga, Cosa nostra trapanese aveva deciso che doveva fallire: ma non fallì. Grazie a Sodano rimase sul mercato e venne ricon­vertita. Formidabile l’aiuto dato da don Ciotti che convinse Unipol Banca a con­cedere un affidamento.

Oggi la Calce­struzzi Ericina non produ­ce solo calce­struzzo, ma è in grado di rici­clare iner­ti provenienti dall’edilizia, può produrre la materia prima che serve per fare il calce­struzzo. Ora si chiama Calce­struzzi Ericina Libera, è tornata sul mer­cato, è gestita dal giugno 2011 da una cooperati­va costituita da 13 operai, que­gli stessi operai che la mafia voleva vedere disocc­upati.

Tutto bene ? No. C’è una legge che im­pedisce alla Calces­truzzi Ericina Libera di potere at­tingere ai fondi per le imprese confisca­te. Chi ha scritto quelle norme ha dimenti­cato che i beni aziendali mai pos­sono es­sere del tutto recuperati con i fon­di pub­blici quando questi fondi pubblici vengo­no fatti gestire in modo esclusivo dalle amministrazioni locali.

Questi sono i finanziamenti che passa­no attraverso i Pon, soldi pubblici che vengo­no gestiti dai Comuni o dai consor­zi di Comuni che però possono occuparsi di tutto tranne che di beni aziendali.

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