“Cuompagno Buossi…” Com’è nata la Lega
Ma chi era veramente Umberto Bossi? Perché ha fondato la Lega? Chi c’era dietro? In esclusiva galattica, l’incredibile storia di un capolavoro politico fra Lenìn e Machiavelli
A proposito di Bossi, è arrivato il momento – evvia, ormai il suo lavoro l’ha fatto – di rendere finalmente pubblica la verità. Me la sono tenuta sul gozzo per tutti questi anni, ma adesso è il momento di parlare.
Nel 1975, Umberto Palmiro Bossi (il secondo nome, da un certo punto in poi, smise di usarlo per motivi che capirete) fu convocato dal Responsabile Agit-Prop della Sezione del Pci di Varese, a cui allora era iscritto. Il Bossi, a quell’epoca, era un semplice onesto militante come tanti altri. Dava i volantini contro i padroni, come tutti, e una volta tenne un piccolo comizio davanti al Bar Sport di Colgate per difendere un un amico (tale Alfio La Barbera) a cui uno stronzo fassista aveva dato del terùn. Solo quella volta, perchè in realtà Umberto Palmiro era un ragazzo timido e per fargli dire due parole in pubblico dovevano proprio tirargliele con le pinze. Però i suoi superiori erano gente sveglia, e si accorsero lo stesso delle potenzialità rivoluzionarie del ragazzo.
A quell’epoca ogni sezione del Pci aveva fra i suoi dirigenti, per regolamento, un agente del Kgb o di qualche altro servizio segreto communista. Costui non parlava mai tranne che in riunioni clandestine e ristrette, non veniva mai mostrato in giro e di notte veniva messo a dormire nel ripostiglio della sezione, fra le bandiere rosse e i secchi di colla. Era lui, in ciascuna delle ottomila sezioni communiste d’Italia, che in realtà dava gli ordini, che riceveva ogni quindici giorni, via piccione viaggiatore, dalla Sezione Agitazione e Propaganda del Kgb.
Il responsabile della sezione di Varese si chiamava Ivanov e era un communista ferocissimo ed astuto. Il compagno Ivanov convocò il compagno Bossi.
“Cuompagno Buossi!”. “Agli ordini, compagno!”. “Ascuolta, tuovarisc Buossi. Debbo dirti un segrueto!”. “Si?”. “Fra trent’anni non ci sarà più partito communista!”. “Nooo!”. “Si cuompagno, sarà così, fra trent’anni niet kuommunismo e niet gloriuosa Unione Suovietika!”. “Non ci credo!”. “È cuosì, cuompagno. Nuostri infallibili scienziati suovietici hanno inventato makkina per predire futuro! Kuommunismo suovietikuo fatte truoppe kazzate, finito!”. Il Bossi si mise a piangere disperatamente. “Aspuetta, cuompagno Buossi! Non è tutto puerduto! Un uomo salverà il kuommunismo, perluomeno in Italia. E tu sai ki kuell’uomo noi abbiamo deciso ke può essere?”. “Chi?”. “Tu, cuompagno!”. “Io?”.
Da quel momento la conversazione proseguì a bassa voce, talmente bassa che non sono riuscito più a sentire niente. Vedevo soltanto il compagno Ivanov che spiegava qualcosa e il compagno Bossi che assentiva con grande cenni della testa. “Alluora, cuompagno Buossi, hai kapito tutto? Più gruosse sono e meglio è. Kuando kazzate saranno sufficientiemente grosse e numerose e gente sarà dunkue sufficientiemente incazzata, alluora kuommunismo in Italia tuornerà infallibilmente!”.
La mattina dopo il Bossi andò al Bar Sport senza fazzoletto rosso al collo e senza l’Unità regolamentare. Dentro c’erano già il Gaita, il Rodeulf, il Padula e naturalmente l’Alfio, tutti già attorno al biliardo con le stecche in mano. “Ecco l’Umberto! – fece Alfio – Possiamo cominciare!”. “Io non gioco!”. “E perchè non giochi?”. “Mi non gioco a billliard con i terun!”. “Ma Umberto,.che cazzo ti ha preso stamattina?”. “Zitto tu che sei venuto da Agrigento a portar via il lavoro a noi pasquani! Colpa dei communisti che ti hanno lasciato entrare in Pasquania!”. “Pasquania? E che cazzo è?”.
Umberto, perplesso, si frugò nelle tasche e tirò fuori il taccuino su cui a ogni buon conto aveva segnato i passaggi salienti delle istruzioni del compagno Ivanov. “Padania, volevo dire. Tu sei un terrone e i communisti ti usano per invadere la Padania”.
“Ma Umberto – fece il Gaita a questo punto – ma non siamo noi, i communisti?”.
“Non più! Basta con queste cazzate – occhiata al taccuino – veterostaliniste e giacobbine. I communisti sono la rovina della Padania, ecco che cosa sono! Basta coi communisti e i terroni, Pasquania… Padania indipendente”.
“Ma va a dà el cuu – fece il Rodeulf, che fino a quel momento non aveva detto una parola – Io non ci capisco una sega di tutte queste cazzate ma mi sa che sei diventato un politico e che fra poco vieni a cercarci il voto come gli altri. Sai che ti dico? Ce la facciamo noi quattro, sta partita, e tu intanto ti fai tutte la Pasquania che vuoi”.
“Padania!” sbraitò l’Umberto e uscì dal locale.
Purtroppo il compagno Ivanov aveva progettato bene, e già un paio di mesi dopo sulla casa di ringhera dell’Alfio qualcuno già aveva scritto col gesso il primo “via i terroni”. I voti, l’Umberto ex Palmiro, se li cominciò a cercare davvero. E qualcuno, al Bar Sport, lo cominciò pure a votare.
E passarono gli anni. Questa fu la fase uno. Nella fase due (diligentemente prevista dal Progetto Ivanov) l’Umberto, ormai capo-partito e senatore, battè diligentemente tutti i bar sport della regione annunciando che i politici erano tutti ladri e che ormai era il momento di rimandarli tutti a Roma, dove avevano imparato a rubare. E siccome di politici ladri, specialmente in quei tempi, non c’era affatto carestia la gente cominciò a dargli un certo credito. “Tutti ladri! Roma ladrona! Abbasso Berluskaiser! Viva Di Pietro!”.
La fase tre scattò, come previsto, al momento opportuno. I politici, spiegò Bossi (consultando ogni tanto il taccuino del compagno Ivanov) non erano tutti ladri; erano bensì i magistrati communisti che volevano farli passare per ladri, ma loro in realtà erano tutte persone onestissime e perbene, col solo difetto di non volersi calare le braghe davanti all’odiosa dittatura communista che dominava spietatamente il paese. “Tutti santi! Abbasso i maggistrati communisti! Viva Berlusconi! A morte Di Pietro!”.
Adesso l’Umberto non comiziava più al bar sport di Colgate, ma in piazza Duomo a Milano e nelle televisioni; non girava più in centoventisette ma, come tutti i politici, in mercedes di lusso con l’autista (un autista nuovo, tutto azzimato, fornito da Berlusconi; quello della centoventisette se n’era andato, deluso, da molto tempo).