Cronaca di un “suicidio” annunciato
Ma a proposito di Ugo Manca, c’è un aspetto inquietante nelle parole che il procuratore e il suo sostituto hanno pronunciato. Un aspetto che apre scenari nuovi e che, in sostanza, conferma che ci troviamo di fronte a un caso che presenta troppe stranezze da chiarire.
Se da un lato i giudici cercano di giustificare l’impronta palmare lasciata da Ugo Manca, dicendo che i due cugini si frequentavano spesso anche a Viterbo, dall’altro emerge una circostanza inedita e oscura sul ruolo avuto da un personaggio del genere.
Sì, perché un conto è dire che Ugo ogni tanto contattava telefonicamente il cugino per mandare qualche barcellonese ad operarsi a Viterbo. Un altro è dire che lui a Viterbo “era di casa” per intercedere presso l’ospedale (solo con Attilio o con qualche altro medico?) per le cure dei suoi compaesani.
Il ruolo di questo soggetto vicino alle cosche barcellonesi, di questo soggetto che ufficialmente dichiara di aver lasciato quell’impronta due mesi prima della morte di Attilio (quando sappiamo che in un ambiente pieno di vapori come un bagno un’impronta si deteriora in poche ore) perché, ospite del cugino, si era recato a Viterbo per una banalissima operazione di varicocele; di questo soggetto dipinto dai magistrati laziali come una specie di benefattore dei barcellonesi (solo dei barcellonesi?) in servizio permanente effettivo a Viterbo, il ruolo di questo soggetto, la Procura di Viterbo ritiene di liquidarlo con una battuta spiritosa come quella pronunciata in conferenza stampa.
C’è almeno un personaggio appartenente al mondo della mafia barcellonese che – poco prima della morte del chirurgo – si è recato nella città laziale per farsi operare da Manca: si chiama Angelo Porcino, è uno dei cinque indagati per i quali la Procura chiederà l’archiviazione, e in passato è stato condannato per estorsione. A quanto pare ai magistrati di Viterbo non risulta neanche che Porcino – titolare di una sala giochi – abbia un cellulare. Dunque non si sa se questo tizio parli al telefono, se faccia uso dell’apparecchio di altri (ed eventualmente di chi), quali sono i contenuti dei suoi presunti colloqui telefonici soprattutto nel periodo in cui si è recato a Viterbo, e cosa abbia fatto realmente nella città laziale. Non si sa praticamente nulla. Si sa solo che ha contattato Attilio – autonomamente o per mezzo di Ugo? – per un intervento alla prostata. Guarda caso lo stesso intervento di Provenzano.
Non sappiamo se Porcino c’entri qualcosa nella vicenda, però in questa persona si riassumono due paradigmi incredibili: l’appartenenza a un mondo che si spinge fino a Viterbo per farsi curare da Attilio, e il modo di condurre le indagini da parte degli investigatori laziali.
Ma quel che appare paradossale è che non si sa neppure chi siano gli altri barcellonesi (ripetiamo: solo barcellonesi?) che Ugo Manca avrebbe portato a Viterbo per farsi operare. Magari i magistrati lo sanno, ma non ce lo hanno detto, forse per ragioni di riservatezza.
Perché se dovesse risultare che Ugo era il punto di riferimento delle operazioni e delle cure cui si sottoponeva un determinato ambiente, il quadro potrebbe cambiare notevolmente e confermerebbe i sospetti della famiglia di Attilio, ovvero che l’urologo potrebbe essere stato nell’equipe che ha operato e assistito Provenzano.
Oppure ipotizziamo che Provenzano non c’entri assolutamente nulla.
Resta quel mondo poco scrutato dai magistrati laziali, collegato con Viterbo attraverso la figura di Ugo Manca, che potrebbe avere l’esigenza di rivolgersi a un grande medico per risolvere “privatamente” certi problemi di salute, stando lontano dai riflettori siciliani. Congetture? Può darsi. Ma la storia della mafia è piena di questi casi.
Potrebbe non essere casuale il ritrovamento degli strumenti per le operazioni chirurgiche a casa di Attilio. Strumenti che – secondo molte testimonianze – mai nessuno aveva visto in quell’appartamento.
Non sappiamo se essi siano legati alle ultime ore di vita del giovane medico oppure a una casualità. Se sono legati a una casualità deve essere spiegato con elementi concreti e non con una risata. Se sono legati a qualcosa di inconfessabile, in quell’appartamento la sera dell’11 febbraio 2004 potrebbe essere accaduto di tutto. Ed anche in questo caso i magistrati devono spiegare.
In ogni caso gradiremmo rivolgere al Procuratore Pazienti e al sostituto Petroselli quattro domande semplici semplici: 1) esiste un elenco delle persone operate da Attilio Manca (o da altri chirurghi del “Belcolle”) attraverso i buoni uffici del cugino Ugo? 2) oltre a fare il “benefattore”, Ugo Manca si recava frequentemente nel Lazio per altre ragioni? 3) Sono stati approfonditi questi aspetti? 4) Possiamo sapere cosa è emerso?
Adesso la Procura di Viterbo chiederà al Gip solo il rinvio a giudizio della donna romana che “ha venduto ad Attilio la dose mortale”.
Evidentemente ci saranno prove inoppugnabili per affermare con sicurezza un assunto del genere, ma confessiamo di non avere avuto questa impressione, soprattutto se pensiamo che in ben otto anni il Pm ha insistito con una richiesta di archiviazione, respinta per ben tre volte dal Gip. Che l’ultima volta si è preso un anno e mezzo per decidere. Tempi fin troppo lunghi per addebitare anche questa circostanza alla casualità.
In conferenza stampa è stato detto che la pusher capitolina riforniva il “gruppo” barcellonese presente nel Lazio (di cui Attilio avrebbe fatto parte) di sostanze stupefacenti, senza specificare quali.
I magistrati laziali dunque individuano in Barcellona Pozzo di Gotto l’epicentro delle presunte pratiche a base di droga da parte di Attilio, ma non l’epicentro di una criminalità organizzata che ha collegamenti consolidati con altissimi magistrati oggi sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa e per altri reati gravissimi, con ex ministri, con ex sindaci, con presidenti di Provincia e con pezzi deviati dei servizi segreti.
Per capire qualcosa su questo coacervo di entità basta collegarsi con un motore di ricerca e scrivere tre semplici parole: “Corda fratres Barcellona”. Cercando bene, ci si può imbattere in certe inchieste giornalistiche che svelano i nomi di tutti, quello del boss e quello del magistrato, quello dell’altro boss e quello dell’ex ministro, tutti insieme appassionatamente dentro il sodalizio più esclusivo della città. Un’altra piccola ricerca e si scopre che soprattutto da quel contesto provengono certe testimonianze in merito alla presunta tossicodipendenza di Attilio. Testimonianze rese durante il processo “Mare nostrum”, dove è stato detto che il giovane medico si drogava sia con la mano destra che con la mano sinistra.
Sì, siamo certi che i magistrati di Viterbo possiedano prove davvero inoppugnabili, e non solo testimonianze provenienti da un contesto talmente intossicato da risultare poco credibile. Ne siamo certi, perché se basassero le loro convinzioni “solo” sulle deposizioni dei barcellonesi, ci troveremmo di fronte a due ipotesi davvero inquietanti: o i giudici laziali sono degli ingenui, oppure il caso è talmente grosso, talmente inconfessabile, talmente dirompente che bisogna banalizzarlo.
In quarantacinque minuti di conferenza stampa, il procuratore Pazienti e il sostituto Petroselli hanno detto che la mafia, con questa morte, non c’entra nulla: è stato confermato dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina e dalla Procura nazionale antimafia. Quindi per favore non parliamo di Cosa nostra.
In conferenza stampa è stato pure detto che adesso, tramontata l’ipotesi Marsiglia, salta fuori l’ipotesi che Provenzano sarebbe stato visitato nel Lazio durante la sua latitanza. L’ipotesi Marsiglia, in verità, non è mai tramontata, mentre quella del Lazio è affiorata solo di recente grazie ad una serie di elementi che convergono in questa direzione. Eppure i magistrati di Viterbo fanno pure dell’ironia, ben sapendo che il boss corleonese ha agito indisturbato per quarant’anni su tutto il territorio nazionale.
Dopo otto anni i magistrati laziali hanno dichiarato che Attilio – dopo la morte – non aveva il setto nasale deviato e il volto tumefatto e men che meno le ecchimosi in tutto il corpo. Quindi siccome la famiglia Manca ha affermato il contrario, ne deduciamo che anche questa storia sarebbe un’invenzione della famiglia Manca. A questo punto vogliamo vedere le foto. Non c’è altra soluzione.
La pozza di sangue che inondava il pavimento, secondo i magistrati, non è stata causata da una colluttazione, ma dall’edema polmonare scatenatosi in seguito a quei micidiali buchi di eroina che la vittima si era “volontariamente” fatto, insieme all’assunzione di alcol e di tranquillanti.
E pensare che ai genitori di Attilio fu bonariamente “sconsigliato” di vedere il figlio morto perché quel volto sfigurato li avrebbe traumatizzati.
All’inizio si disse che il giovane, ormai sotto l’effetto della droga, fosse andato a sbattere con la faccia sul telecomando della tivù posato su una superficie morbida come il piumone del letto. Ma dalle uniche foto pubblicate si vede chiaramente che il telecomando è sotto il braccio di Attilio, non sulla faccia.
Adesso ci dicono che non c’è mai stato né il volto tumefatto, né il naso deviato, né le labbra gonfie. Prendiamo atto anche di questo, ma ripetiamo: vogliamo vedere le foto, perché qualcuno in questa storia sta barando. E di brutto.
Evidentemente in questi otto anni la famiglia Manca ci ha presi in giro. Come ci ha presi in giro anche sulle telefonate che Attilio avrebbe fatto dalla Francia nello stesso periodo in cui veniva operato Provenzano. Il procuratore ha affermato che dai controlli effettuati, il dottor Manca risultava in servizio al “Belcolle”. Come se con un aereo non è facile raggiungere la Francia in poche ore – non solo nei giorni comuni, ma soprattutto nei fine settimana o nei giorni liberi – operare una persona e tornare.
I Manca ci hanno presi in giro anche in merito all’ultima telefonata, quando il medico – chissà da quale luogo e in quale situazione – avrebbe lanciato dei messaggi in codice attraverso i quali, a parere della famiglia, avrebbe cercato di dire: se volete conoscere la verità sulla mia fine cercate a Barcellona Pozzo di Gotto.
Finalmente scopriamo che a prenderci spudoratamente in giro sono stati loro, Gino, Angela e Gianluca Manca, perché nei tabulati, quelle due telefonate non figurano affatto. Tutto frutto di una suggestione di una madre, di un padre e di un fratello obnubilati dal dolore. Certo…
Ci saremmo attesi una spiegazione plausibile sulla “volontarietà” di Attilio di essersi fatto quel micidiale intruglio di eroina, di alcol e di tranquillanti (lui che da medico conosceva benissimo la reazione chimica di questi elementi, ci saremmo attesi una spiegazione plausibile sul perché, dopo i buchi, ormai stordito, ad Attilio sia venuto in mente di rimettere i tappi negli aghi delle siringhe. Niente.
Ma anche ammesso che Attilio fosse stato un drogato, ci saremmo aspettati una maggiore prudenza sulla dinamica della morte, non foss’altro che per il fatto che diversi elementi ci portano a ritenere che quella sera potrebbe esserci stato uno scontro fisico, o qualcosa che con una morte “volontaria” per overdose non c’entra nulla. Ma siccome i vicini di casa non hanno sentito rumori sospetti, ecco che questa testimonianza diventa determinante per accreditare la morte per overdose.
Smentito clamorosamente anche il fatto che l’urologo fosse un mancino puro, anzi, da quello che asserisce la Procura, risulta che si drogasse e che facesse interventi chirurgici delicatissimi anche con la mano destra. Dovreste vederlo questo passaggio della conferenza stampa.