Comunità Dike: i volti e le storie
Parlano i minori stranieri cui potrebbe essere negato il futuro
Quando incontriamo i migranti della comunità alloggio per minori ‘Dike’ le nostre aspettative vengono smentite: credevamo di dover parlare con minorenni insicuri e smarriti, ma ci troviamo davanti diciassettenni responsabili e volenterosi, tutt’altro che ragazzini.
Ricordano con precisione la data del loro arrivo in Italia, a Lampedusa o a Pozzallo, e ci parlano del passaggio dal centro di prima accoglienza a Piana degli Albanesi fino ad arrivare a Vittoria. Proprio nel ragusano questi ragazzi hanno trovato una casa e una famiglia: Marcello e la cooperativa ‘Alfa’ [che gestisce la comunità ‘Dike’, ndr] da lui diretta. La cooperativa ospita ragazzi provenienti dalla Libia, dal Ghana, dall’Egitto, dal Niger o dal Gambia.
Nessuno di loro ha più di 18 anni. Per alcuni Marcello è riuscito a trovare un lavoro in campagna. Ma frequentano anche la scuola di italiano per stranieri, guardano la tv e di tanto in tanto qualcuno riesce a connettersi a facebook. Una vita normale anche se priva di certezze per il futuro. «Marcello ci ha donato una felicità che non c’era da tempo nelle nostre vite» spiega uno degli ospiti della comunità, che chiameremo con il nome di fantasia Anis.
Le parole che Anis usa per descrivere la vita in Africa sono più efficaci di qualsiasi altra cosa: «Il sangue scorreva come l’acqua dai rubinetti. Ho visto innocenti uccisi, soldati che sparavano per strada. Io non ho più nessuno».
Quando decide di parlarci della traversata del Mediterraneo a bordo del barcone che lo ha condotto sulle coste siciliane il suo racconto diventa talmente frenetico, che preferisce usare l’inglese per esprimersi. «Sono stato gettato su quel barcone senza sapere cosa stesse succedendo. Eravamo tutti ammassati, le onde erano altissime e più di una volta la barca ha rischiato di capovolgersi». Anis ancora non riesce a credere di aver vissuto un’atrocità simile: «Solo Dio ha vegliato su di noi, abbandonati in balia delle onde. Poi un pescatore ci ha visti ed ha avvertito la guardia di finanza: raggiungere l’Italia è stato come raggiungere la salvezza».
I ragazzi sono consapevoli delle difficoltà economiche che affliggono la comunità Dike. Le loro voci si sovrappongono mentre spiegano quanto bene ha fatto per loro Marcello.
«Dormiremo anche per strada ma non permetteremo che la polizia ci porti via. Così ci toglierebbero il futuro. Non possiamo dormire la notte sapendo quali problemi deve affrontare Marcello, visto che non è stato pagato da tempo». È proprio Anis a convincere gli altri a parlare con noi, spiegando loro come far conoscere la loro storia alla gente può servire a mantenere viva la comunità. Per questo tiene ad aggiungere: «Non trovo le parole per esprimere quanto è grande il suo amore di padre verso di noi».