Come Andreotti
Il succo delle 146 pagine con cui la Cassazione ha chiuso il terzo (ma non ultimo) capitolo del caso Dell’Utri è a pag. 129, dove sta scritto che “in conclusione il giudice di merito (cioè la Corte d’appello di Palermo cui il processo è stato rinviato) dovrà esaminare e motivare se il concorso esterno sia oggettivamente e soggettivamente configurabile a carico di Dell’Utri anche nel periodo – 1978/1982 – di assenza dell’imputato dall’area imprenditoriale Fininvest;- e se il reato contestato sia configurabile sotto il profilo soggettivo anche dopo”.
Dunque, due certezze e altrettanti interrogativi. La prima certezza è che il concorso esterno esiste: sono state severamente bocciate le curiose tesi che avevano portato il PM Iacoviello a dichiarare troppo frettolosamente la morte presunta di questa fattispecie, che rappresenta l’unica arma disposizione di chi voglia contrastare la mafia anche investigando la “zona grigia” che ne costituisce la spina dorsale.
La seconda certezza è che l’imputato Dell’Utri è responsabile – in base a prove sicure – del reato di concorso esterno con Cosa nostra per averlo commesso almeno fino al 1978, operando di fatto come mediatore di Berlusconi.
Poi vengono gli interrogativi: e cioè se il reato debba ritenersi commesso anche nel quadriennio successivo (quando l’imputato andò a lavorare con il finanziere Rapisarda);- e se nel periodo ancora successivo il reato – ravvisabile quanto all’elemento materiale, posto che risultano pagamenti Finivest in favore della mafia protratti con cadenza semestrale o annuale fino a tutto il 1992 (pag. 128 della Cassazione) – possa ritenersi realizzato anche sotto il profilo soggettivo del dolo.
A seconda delle risposte date a questi interrogativi sarà calcolata – in base ai parametri già fissati dalla stessa Cassazione – la data della eventuale prescrizione (sempreché l’imputato non vi rinunzi).
Quale che sia la risposta agli interrogativi suddetti, fin d’ora è importante rilevare come il caso Dell’Utri sia speculare al caso Andreotti: nel senso che esponenti fra i più autorevoli del modo politico ed imprenditoriale italiano non hanno avuto alcuna esitazione od imbarazzo – anzi! – ad intrattenere cordiali e proficui rapporti, non sporadici, con la criminalità mafiosa. Una realtà di collusione con la mafia sconvolgente, consacrata in Cassazione.
Ora, poiché le sentenze – emesse in nome del popolo italiano – sono motivate proprio perché il popolo possa conoscere i fatti i base a cui l’imputato viene dichiarato responsabile, sarebbe lecito attendersi che si apra finalmente un serio dibattito su cosa mai sia successo in Italia in certi periodi.
Altrimenti, facendo finta di niente anche per Dell’Utri, come già è avvenuto per Andreotti, potrebbero essere sostanzialmente legittimati (per il passato, ma pure per il presente e per il futuro) anche torbidi e vergognosi rapporti col malaffare mafioso. Con evidenti pericoli per la qualità della nostra democrazia.