Città indignata
Pare che nel 1434 Alfonso V di Aragona, al momento della fondazione della prima Università della Sicilia, abbia rinunciato a definirne il logo. Avevano infatti iniziato a litigare. C’era chi voleva lo stemma aragonese più grande e chi più piccolo, c’era chi voleva l’elefante e chi la civetta. Si dice che ci fu una furibonda rissa tra chi intendeva la A sopra l’elefante come iniziale di Agata, Santa patrona della città di Catania, e chi invece era convinto che dovesse essere la prima lettera di Atena, dea della Sapienza. Un eminente filosofo del tempo abbandonò indignato la discussione, tanto da non tornare mai più a Catania, quando si avanzò la proposta che l’elefante avrebbe dovuto avere la proboscide in su e non in giù.
Quelle liti furibonde sul simbolo dell’Università di Catania, rimaste nella memoria dell’intera Accademia, lasciarono l’Ateneo senza logo per 500 lunghissimi anni. Vari tentativi furono fatti nei secoli. Ma non appena qualche studente o qualche docente si permettevano di avanzare una proposta, subito impazzava la guerra. Si narra che la statua di Ferdinando I di Borbone all’ingresso della città di Catania sia stata decapitata proprio in occasione delle rivolte che seguirono a un’azzardata proposta di logo.
Solo nel 1934, in occasione dei solenni festeggiamenti per il quinto centenario dell’Università di Catania, venne adottato il simbolo ufficiale. Realizzato dalla Professoressa Carmelina Naselli e dal Professore Guido Libertini, il sigillo venne approvato dalla Consulta araldica e dall’allora capo del Governo fascista Benito Mussolini, che firmò il decreto in Roma il 20 settembre 1934.
C’era la dittatura, nessuno fiatò. Le camicie nere furono incaricate di sedare immediatamente e risolutamente ogni tentativo di protesta. Quando cadde il regime uno dei cavalli del Duce fu trasferito presso l’istituto di incremento ippico di Catania, in via Vittorio Emanuele. Fu ucciso, scannato e dato in pasto ai catanesi che lo arrostirono e festeggiarono. Per vendicare l’oltraggio di un logo non gradito.
Per evitare moti popolari e non compromettere la fragile democrazia i governi democratici per ottantasette anni non modificarono di una virgola il logo dell’Università, accollando ai fascisti la responsabilità dell’eventuale bruttezza.
Gli attuali vertici dell’Ateneo di Catania – troppo ingenui – hanno pensato che fosse il momento di riaprire la discussione sul logo. Per farlo hanno preso ogni precauzione, o quasi. Hanno dato il compito di realizzare il simbolo lontano da Catania in modo che nessuno potesse sapere o anche solo sospettare. Hanno aspettato l’avvento di una pandemia mondiale. Hanno atteso l’arrivo di un Governo di conciliazione nazionale dove gli avversari di sempre si siedono allo stesso tavolo, fanno pace, e discutono insieme. Si sono addirittura convinti del fatto che nessuno avrebbe detto niente. Al Rettorato il Direttore Amministrativo, il Rettore e il Prorettore, confabulavano: “non hanno detto niente per i concorsi truccati, per le indagini, per i processi, per le raccomandazioni, per l’aumento delle tasse e adesso secondo voi si accorgono del nuovo logo?”
Mai profezia fu più sbagliata. A Catania le cose serie non passano mai sotto silenzio.
Per la vera storia https://www.unict.it/it/ateneo/il-sigillo