Vogliamo un anno sabbatico per le parole
Per la società la lingua funziona come deposito collettivo delle idee, dei valori, dei giudizi su cui ci formiamo su ciò che è buono e cattivo, giusto e ingiusto, lecito e illecito. Costruisce i comportamentï a partire dal nostro ingresso nel mondo. In questo senso è un bene pubblico, condizione di sopravvivenza di una comunità, né più né meno come l’acqua. I beni pubblici richiedono investimenti e protezioni che non possono essere garantiti dal mercato. Va impedita da parte di tutti i cittadini la loro distruzione, come si impedirebbe il bombardamento di san Pietro.
Si racconta che un giorno i discepoli di Confucio gli domandarono: Quale sarebbe la tua prima mossa, se tu diventassi imperatore della Cina? Rispose: Comincerei col fissare il senso delle parole.
Non è stata, quella appena finita, solo una funesta parentesi che, una volta archiviata, consenta di riprendere il gioco nel punto interrotto due decenni fa. E’ cambiato tutto, in questo brutto lungometraggio a cavallo di due secoli. Il Paese si è impantanato in formule che rivelano una sclerosi del pensiero. Non so se i nostri governanti avessero la volontà chiara di semplificare il linguaggio, certo hanno semplificato l’uditorio.
Il futuro potremo inventarcelo più degno solo se rispetteremo le parole e le useremo con pulizia e onestà, coraggio e coerenza. Non è un caso che dall’estero ci abbiano imposto in questi mesi parole-chiave finora poco praticate, come credibilità e presentabilità (il minimo, a ben pensarci).
Enorme è il conto che la realtà presenta all’Italia al risveglio dal suo lungo sonno. Ci vorranno generazioni intere, per saldarlo.
Le parole sono come le persone, fragili e preziose. Anche loro – senza colpa – possono ridursi all’anoressia, svuotate dall’assenza di elaborazione, o gonfiarsi nella bulimia, ingozzate di significati perversi. Anche loro – nell’indifferenza – possono essere ferite, violentate da chi non le rispetta. Anche loro hanno bisogno di lunghe cure, per reagire ai virus e per ritrovare vigore. Anche loro hanno bisogno di tempo, per superare i traumi. Anche loro hanno bisogno di periodi di riposo, di vacanze o addirittura – se sono proprio logorate – di un intero anno sabbatico. Solo così possono riprendere il loro aspetto originario, solo così l’organismo può produrre anticorpi.
Proviamo, in questo crepuscolo di fine impero, a fare un elenco delle parole più stanche e di quelle più tradite. Proponiamo che il 2012 sia il loro anno sabbatico, l’anno in cui riprendano fiato, in cui sia vietato usarle: con poche, motivate eccezioni. Una specie di vaccinazione di massa. Per la politica, un bagno di umiltà. Per i cittadini, un recupero di senso critico.
Ad esempio, di territorio dovrebbero poter parlare solo gli alluvionati. Al massimo, gli urbanisti e i geologi. Di merito hanno titolo a parlare i ricercatori bravi, scartati nei concorsi a favore dei figli dei baroni. Al massimo, i professori che non hanno mai fatto pastette.
Gli altri, zitti per un giro.