sabato, Novembre 23, 2024
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“Ci vogliamo vive”

E’ morta Vanessa, uccisa dall’ex fidanzato. Minacciata, seguita, picchiata, e infine ammazzata a colpi di pistola. E’ solo una delle tante.

 Lungomare di Aci Trezza fra mazzi di fiori e un lumino, un lenzuolo bianco lasciato dopo la manifestazione di Non Una di Meno – Catania avverte chi sta consumando l’apericena: “Ci vogliamo vive per Vanessa e tutte le altre donne”.

I bambini sfrecciano in monopattino davanti al luogo dell’agguato a Vanessa Zappalà, la ragazza uccisa dall’ex fidanzato Tony Sciuto. Stava passeggiando con gli amici quando l’uomo – su cui gravava un divieto d’avvicinamento – s’è avvicinato, l’ha presa per i capelli e le ha sparato. Sette colpi di pistola, segnati – adesso -dai cerchi di gesso sul basolato. Lei aveva ventisei anni..

“Siamo scese in piazza perché siamo arrabbiate davanti all’ennesimo femminicidio, di fronte a una violenza ormai di ogni giorno. Il femminicidio di Vanessa non è un caso isolato, una sorpresa. E’ un problema culturale e sistematico”.

Le donne gridano irate, riunite nella piazzetta poco distante. Degli anziani signori, sulle panchine attorno, stanno prendendo il fresco. Una è dipinta di rosso, e le ragazze vi appendono lo striscione uno striscione di protesta. Ma i vecchi restano lì, seduti..

Togliamo la parola emergenza – ribadisce un’altra attivista impugnando il Piano transfemminista contro la violenza sulle donne- non è un’emergenza, è un sistema”.

“Fino a quando i femminicidi non saranno una priorità delle istituzioni? Perché, pur denunciati, questi uomini restano liberi di fare ciò che vogliono?” ci si chiede. Vanessa che aveva paura l’ha anche scritto. Ha scritto di aver subito appostamenti, di essere stata presa a pugni e a calci. Ha scritto che quell’uomo le aveva copiato le chiavi, le era entrato in casa, le aveva installato un gps sulla macchina. Ma il Gip, dopo un paio di giorni di domiciliari, ha trasformato la misura in un generico divieto di avvicinamento, che come abbiamo visto non è servito a niente. “E’ morta per la superficialità dello Stato”, dicono nella piazzetta ora.

“Ma non deve passare l’idea che denunciare non serve” ammoniscono le associazioni. Dai giornali la Pm Scavo insiste che “la legge va perfezionata: non c’è l’aumento di pena minimo a due anni per il reato di stalking, cosa che ci impedisce di effettuare il fermo”.

 “Siamo qui oggi non solo per solidarietà – fa una ragazza con il foulard fucsia di NUdM sui capelli – ma perché crediamo ci siano soluzioni contro la violenza, perché quello che è successo non succeda ancora. Vogliamo essere libere di lasciare un uomo senza pensare di non potere uscire più di casa. Siamo stanche di aver paura”.

Di fronte al silenzio maschile, i movimenti femministi lanciano un appello agli uomini. Isolare i tipi violenti tra i propri amici, affrontare i problemi, denunciare chi diffonde video intimi nelle chat. Parla un ragazzo africano: “La prima responsabilità viene dal quotidiano, dal non mettere in contraddizione le schifezze che escono dai nostri discorsi. La radice delle uccisioni nasce nei luoghi che frequentiamo, nelle chat, nelle battute, in ciò che ci pare banale. La società insicura comincia qui”.

“Il nostro è un silenzio di vergogna – fa un altro uomo – Non abbiamo affrontato certe discussioni, non abbiamo capito che se non si sconfigge il patriarcato non si elimina l’oppressione. Questa violenza dimostra i limiti di una società la cui idea fondamentale è il possesso”. Se la donna è una proprietà, il tentativo di porre fine a una relazione, di non concedersi a comando, non può che risultare inaccettabile, eversivo. “O mia o di nessuno”.

“Il tipo che pesta sua moglie è visto come un uomo vero. E’ questo che ci uccide. La reazione all’autodeterminazione è stato l’annientamento a colpi di pistola. Vanessa è finita così perché un sistema malato la voleva morta piuttosto che libera” conclude una donna riprendendo in mano il cartellone con la foto di Vanessa, bianco contro il nero dei faraglioni in questo bel crepuscolo siciliano..

 

SCHEDA

In Italia viene ammazzata una donna ogni 2 giorni e mezzo.

Sono 3500 donne le donne uccise negli ultimi 20 anni, tra l’1 agosto 2020 e il 31 luglio 2021 i femminicidi sono stati 105, da gennaio a oggi 41, il picco si è raggiunto il 12 agosto con 3 donne assassinate in 24 ore, durante il lockdown le richieste ai centri antiviolenza sono aumentate del 74%.

A uccidere sono in prevalenza partner ed ex partner, familiari.

Il Piano nazionale antiviolenza è scaduto nel 2020, non viene fatta formazione specifica per le FdO, viene scaricato tutto sui centri antiviolenza. Nonostante la Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia, preveda che lo Stato debba assicurare finanziamenti continui per i servizi di protezione e supporto per le donne, il Dipartimento pari opportunità non pubblica nuovi bandi per i centri antiviolenza dal 2017, la spesa regionale è esigua, a livello locale non esiste alcuna progettazione sulla violenza contro le donne, per cui i centri del catanese sono esclusi dai fondi PON Metro e devono ricorrere al crowdfunding.

Il numero nazionale antiviolenza a cui rivolgersi è 1522.

 

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