Cassibile, la piaga del caporalato nella raccolta delle patate
Anche quest’anno migranti super sfruttati e accoglienza zero
Come ogni anno, da aprile a giugno, in occasione della raccolta delle patate, ai circa 5 mila residenti di Cassibile si aggiungono diverse centinaia di migranti, per lo più di origine marocchina e sudanese; questi giungono nella frazione siracusana, dopo aver terminato altre raccolte in Italia: da Nord a Sud, una vera transumanza del lavoro migrante nelle campagne.
Come nelle due stagioni passate, non essendo elevata la produzione di patate, la presenza dei braccianti si è ridotta considerevolmente, ma ciò non giustifica la latitanza delle istituzioni locali nell’offrire un minimo d’accoglienza per le centinaia di lavoratori stagionali che vengono super sfruttati dai caporali e dai proprietari terrieri, che evadono i contributi, ricorrendo alla manodopera in nero.
La presenza stanziale di una comunità marocchina rende più semplice il “primo impatto” per chi proviene dal Maghreb. Per questi ultimi è infatti possibile affittare appartamenti o stanze nel centro abitato. Per gli altri (Sudanesi, Somali, Eritrei) invece non esiste più neanche la tendopoli gestita dalla Croce rossa italiana fino al 2013, che accoglieva non più di 140/150 migranti. Così la maggior parte di loro è costretta a trovare rifugio – privi di acqua, luce e servizi igienici- nei casolari di campagna abbandonati e diroccati o in tende di fortuna. Risolto il problema del precario riparo notturno, si può iniziare la ricerca di un lavoro nei campi, sempre più difficile anche solo per pochi giorni la settimana.
La stragrande maggioranza dei migranti che arrivano a Cassibile possiede un permesso di soggiorno o è in attesa di rinnovo. Ma, non essendo riconosciuto il diritto di lavorare nel rispetto delle norme contrattuali, si viene spinti verso il lavoro irregolare con il rischio di perdere lo stesso permesso di soggiorno, grazie a vergognose leggi razziali come la Bossi-Fini e il “pacchetto sicurezza”. Teoricamente l’assunzione di manodopera dovrebbe essere eseguita tramite gli uffici preposti, il salario orario netto dovrebbe essere di 6 euro e venti, sei ore e trenta minuti la giornata lavorativa, spese logistiche, di trasporto e materiale di lavoro (scarpe antinfortunistiche, guanti) a carico del datore di lavoro.
Ma nella pratica il collocamento è in mano a caporali e subcaporali, distinti in base alle varie etnie; costoro gestiscono anche i trasporti (da 3 a 5 euro il costo) e trattano salari differenziati: chi viene dal Maghreb guadagna fra 35 e 40 euro, gli altri 30 o ancora meno. Gli orari sono “flessibili”: se vuoi lavorare devi comunque essere in grado di riempire quotidianamente almeno 100 cassette, ognuna del peso di 20/22 chili .
E’ drammatico che ciò si ripeta ogni anno in una terra dove 48 anni fa ci furono eroiche lotte bracciantili che riuscirono a debellare a livello nazionale le piaghe delle gabbie salariali e del caporalato. Negli anni scorsi numerosi migranti hanno inoltre ricevuto la vergognosa contestazione di “invasione di terreni o edifici e danneggiamento” da parte delle forze dell’ordine; come al solito lo Stato riesce a dimostrare la sua forza solo con i deboli, peccato che sia quasi sempre debole con i forti.
Perché non si controllano a monte le aziende che beneficiano del “servizio” svolto per loro conto dai caporali? Perché ci si accanisce contro i braccianti immigrati, criminalizzandoli, invece di perseguire le aziende che evadono i contributi e ingrassano i caporali? Perché non si individuano e perseguono i soggetti che commercializzano le patate provenienti da Tunisia, Egitto, Cipro e Marocco (conservate più a lungo grazie all’illegale uso di antiparassitari), spacciandole per prodotti locali?
Il principio di “uguale salario per uguale lavoro” o diventa la bussola dell’associazionismo antirazzista e del sindacalismo conflittuale o la differenziazione etnica dei salari rischia di innescare fratricide guerre fra poveri, contrapponendo lavoratori italiani e migranti, e gli stessi migranti di diverse nazionalità, soprattutto in presenza dell’attuale devastante crisi economica.
Da un paio d’anni seguiamo il dilagare del caporalato anche nel catanese, da Adrano-Paternò ai paesi del calatino fino al Cara di Mineo. E nonostante il lavoro stagionale a Cassibile volga al termine a giugno, faremo in modo di costruire reti di contatti e solidarietà fra migranti e realtà conflittuali nelle campagne del Sud d’Italia, per avviare una stagione di lotta per i diritti dei/delle migranti e di noi tutti/e.