Carte false: perché?
Il Papa dice che Attilio Manca è stato ucciso dalla mafia. Lo Stato smentisce o tace…
Don Luigi Ciotti, come migliaia di italiani, e decine di giornalisti e intellettuali, è sulla lunghezza d’onda del Pontefice, ma lo Stato continua a smentire o a tacere. Ed è impressionante notare che, mentre nella Giornata della memoria dedicata alle vittime della mafia, al cospetto di Sua Santità, Attilio Manca è stato definito vittima di Cosa nostra, lo Stato continui a smentire una circostanza per la quale – in base agli elementi emersi – dovrebbe avere quantomeno un pizzico di prudenza.
Specie se, in questo caso, lo Stato è rappresentato da un magistrato come Michele Prestipino, fino ad alcuni anni fa alla Procura di Palermo, dove un processo ha fatto luce su molti retroscena legati all’operazione di cancro alla prostata alla quale, nell’autunno del 2003, si sottopose a Marsiglia Bernardo Provenzano.
Ecco cosa dichiara in Commissione parlamentare antimafia Michele Prestipino, oggi procuratore aggiunto a Roma: “C’è un’ultima questione, la questione di Attilio Manca. Io ora non parlo come procuratore aggiunto di Roma, perché Roma, che a me consti, non credo abbia attivato o seguito indagini. Ci sono le regole della competenza. Io me ne sono occupato quando ero sostituto a Palermo e, rispetto alle ultime emergenze, sia pure di tipo giornalistico e mediatico, sento il dovere di dire almeno una cosa.
La “carta d’identità di Troia”
C’è un processo che si è svolto a Palermo, che si è concluso con sentenze divenute definitive, cioè con tre gradi di giudizio, con condanne e, quindi con l’accertamento delle responsabilità penali, in cui è stata ricostruita in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi passaggi, anche geografici, quella che mediaticamente è stata definita la ‘trasferta’ di Bernardo Provenzano nel territorio di Marsiglia per sottoporsi a un’operazione chirurgica”.
Nel corso dell’audizione, il senatore del M5S Mario Michele Giarrusso puntualizza: “Con la carta di identità di Troia”. Giarrusso si riferisce al fatto che Provenzano, per quell’intervento a Marsiglia, ha usufruito di una carta d’identità falsa, approntata dall’ex presidente del Consiglio comunale di Villabate (Palermo), Francesco Campanella (all’epoca organico a Cosa nostra e contemporaneamente amico di politici di altissimo livello del centrodestra e del centrosinistra), ed intestata al panettiere Gaspare Troia.
“Sì, esattamente quella”, risponde Prestipino. Che prosegue così: “Quella vicenda è stata ricostruita, passatemi il termine, minuto per minuto e tutti i soggetti coinvolti che hanno commesso reati sono stati condannati con sentenza passata in giudicato grazie alle intercettazioni, alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e agli atti acquisiti con una rogatoria presso l’autorità giudiziaria di Marsiglia, alla quale ho personalmente partecipato”.
“Noi abbiamo sentito – dice ancora il magistrato – con i colleghi francesi, i medici e il personale infermieristico. In più, abbiamo acquisito le dichiarazioni, estremamente collaborative, di una donna che è stata legata a uno degli uomini che avevano organizzato la trasferta e che ha curato e assistito personalmente, spacciandosi per una nipote, il signor Troia, in realtà Bernardo Provenzano, quando è stato ricoverato in terra di Francia. Ebbene, nella ricostruzione abbiamo sentito chi lo ha assistito, chi l’ha operato, chi ha fatto il prelievo; abbiamo potuto estrarre anche il profilo del Dna, perché all’epoca Bernardo Provenzano, quando abbiamo eseguito questa rogatoria, a giugno del 2005, era ancora latitante. Di tutti questi fatti, dalla partenza, proprio con orario e data, al ritorno, con orario, data e riconsegna delle valigie di Provenzano, non c’è mai stata traccia di Attilio Manca. Questo lo dico come dato di fatto. Mi sento in dovere di doverlo precisare”.
Fin qui le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino, il quale “sente il dovere di precisare”, col senno di “ieri” (cioè col senno di determinate verità processali acclarate ma “cristallizzate” da un processo svoltosi alcuni anni fa) un caso – quello di Attilio Manca – per il quale “oggi” stanno affiorando circostanze inedite che gli inquirenti di Viterbo (la morte di Manca si è verificata nella città laziale) non solo non si sono mai presi la briga di verificare, ma in talune occasioni hanno occultato, falsificato o, secondo l’ex magistrato antimafia Antonio Ingroia, addirittura “insabbiato”.
I tabulati negati
Citiamo Ingroia non a caso, perché Ingroia (oggi avvocato della famiglia Manca) è uno dei depositari più autorevoli dei segreti legati alla “trattativa” Stato-mafia, di cui, secondo molti, la storia di Attilio Manca potrebbe (potrebbe…) rappresentare un anello solo se si approfondissero certi elementi affiorati in questi anni.
Per questo, con il rispetto dovuto per la carica e per lo straordinario impegno profuso contro la mafia, ci permettiamo di chiedere al dott. Prestipino se sa che:
Attilio Manca, proprio nell’autunno del 2003, nel periodo in cui Provenzano era a Marsiglia per operarsi alla prostata, si trovava in Francia per “assistere ad un intervento chirurgico”, come allora telefonicamente disse ai genitori.
I familiari di Attilio Manca hanno chiesto, fin da subito, ai magistrati di Viterbo, di acquisire i tabulati telefonici del 2003 per accertare il luogo dal quale l’urologo avrebbe effettuato quella chiamata.
L’operazione a Provenzano
Tale richiesta è rimasta inevasa (i motivi non si conoscono), e i tabulati sono stati distrutti dopo cinque anni, come prevede la legge. Questo lo sa il dott. Prestipino?
Attilio Manca, all’epoca, era uno dei pochi chirurghi italiani, quasi certamente l’unico siciliano, in grado di operare quel tipo di patologia col sistema laparoscopico, importato dallo stesso Manca dalla Francia, dove si era specializzato due anni prima.
Attilio Manca, dopo la specializzazione acquisita in Francia, fu il primo medico italiano – assieme al suo Maestro Gerardo Ronzoni, primario di Urologia all’ospedale Gemelli di Roma – ad operare il cancro alla prostata per via laparoscopica (2002).
Bernardo Provenzano è stato operato con quel sistema.
Francesco Pastoia, braccio destro di “Binnu ‘u tratturi”, intercettato da mentre era nel carcere di Modena, parlando degli omicidi commessi dal suo capo (quindi in un contesto ben preciso), disse: “Provenzano è stato operato ed assistito da un urologo siciliano”. Dunque, non solo “operato”, ma anche “assistito”.
“Un urologo siciliano”
Vuol dire che c’è stato un medico siciliano che – magari sconoscendo la vera identità di Provenzano – è stato a contatto col boss corleonese durante l’intervento, ma anche prima e anche dopo. Prima per i controlli di routine, dopo per le cure post operatorie. Pastoia è morto misteriosamente in carcere appena tre giorni dopo. Non di morte naturale, ma impiccato. Si è svolta un’accurata indagine su questa misteriosa morte? Pochi giorni dopo, al cimitero di Belmonte Mezzagno (Palermo) è stata profanata la sua tomba in modo piuttosto macabro e violento.
C’è dunque un “urologo siciliano che ha curato Provenzano”, almeno secondo Pastoia. Delle due l’una: o è Attilio Manca (che già allora conosce benissimo la tecnica con la quale è stato operato il boss), o un altro.
Se non è Attilio, chi è, perché non si accerta, perché non si è scoperto, dato che, come dice il dott. Prestipino, “quella vicenda è stata ricostruita minuto per minuto”?
Se finora il misterioso urologo di cui parla Pastoia non è saltato fuori, siamo sicuri che il processo – come dice il magistrato – ha “ricostruito” tutto dell’intervento di Provenzano? Sicuramente ha accertato molte cose, ma siamo certi che ha fatto piena luce su “tutti i passaggi” che riguardano il “prima” e il “dopo”, e soprattutto ha accertato l’eventuale rete istituzionale che ha protetto la latitanza del capo dei capi? Sì, perché su questa vicenda si dovrebbe uscire da un equivoco: spesso per smentire eventuali collegamenti fra la morte di Attilio Manca e l’operazione di Provenzano, si prende come riferimento solamente la “trasferta” del boss a Marsiglia, dimenticando che c’è un “prima” e c’è un “dopo”, su cui forse non è stato ricostruito tutto.
Il telecomando di Capaci
Ci sono ragionevoli motivi – leggendo le carte del Ros – per dire che Bernardo Provenzano, all’inizio degli anni Duemila (il periodo che stiamo trattando) abbia trascorso una parte della latitanza non in un posto qualunque, ma a Barcellona Pozzo di Gotto, dove “quella” mafia – una delle più sanguinarie del mondo, quella che ha condannato a morte il giornalista Beppe Alfano – ha costruito il telecomando per la strage di Capaci, e da molti anni è in ottimi rapporti con l’ala “provenzaniana” di Cosa nostra.
Secondo un autorevole investigatore allora in servizio a Messina ed oggi residente al Nord (in una intervista esclusiva rilasciata al sottoscritto per il recente libro sulla strana morte di Attilio Manca, “Un ‘suicidio’ di mafia” – Castelvecchi editore), l’urologo veniva addirittura prelevato in elicottero per visitare Provenzano latitante in terra barcellonese, servendosi di determinate strutture private. Non sappiamo la veridicità dell’argomento, ma si è mai indagato seriamente per accertarne la fondatezza?
“Personaggi altolocati”. Chi?
Le indagini su questo particolare – sempre secondo questo investigatore – sarebbero state fermate per volere di personaggi altolocati. Anche di questo non conosciamo la fondatezza (dato che la notizia è stata fornita mediante intervista e non per mezzo di atto processuale), ma una “bomba” del genere non merita di essere scandagliata dettagliatamente per capire se si tratta di esplosivo ad alto potenziale o di un minuscolo petardo?
All’epoca della latitanza di Provenzano, un “mediatore”, rivolgendosi ai magistrati per “trattare” la resa del boss, ha dichiarato: “Binnu ‘u tratturi” è nascosto a due passi da Viterbo, tra Civita Bagnoregio e Civitella D’Agliana. Altre coincidenze sconvolgenti che potrebbero collegare Provenzano ad Attilio Manca: Barcellona Pozzo di Gotto e la provincia di Viterbo. È solamente un caso o qualcosa di più?
L’allora capo della Squadra mobile di Viterbo, Salvatore Gava (oggi condannato in Cassazione per avere falsificato i verbali sui fatti accaduti alla scuola Diaz di Bolzaneto nel 2001 durante il G8 di Genova, ovvero tre anni prima della morte di Manca), dopo il decesso del medico siciliano, scrisse che nel periodo di degenza di Provenzano a Marsiglia, Attilio Manca non si sarebbe mosso dall’ospedale di Viterbo, dove prestava servizio.
Ragione normale o “ragion di Stato”?
Ebbene: Gava è stato smentito da una recente ricostruzione effettuata dalla trasmissione “Chi l’ha visto”. Proprio nei giorni in cui Provenzano era sotto i ferri in terra francese, il dott. Manca era assente dall’ospedale laziale. Questo ovviamente non dimostra che l’urologo fosse ad operare il boss, ma dimostra che sui movimenti del medico si è scritto il falso e non si è voluta accertare la verità.
Questo pone una domanda molto seria: qual è la ragione che porta certi inquirenti a fare “carte false” per depistare le indagini ed occultare certe verità? Secondo lei, dott. Prestipino, è una “ragione normale” o una “ragion di Stato”?