lunedì, Ottobre 7, 2024
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Brucia la città

Ci sono scuole elementari a Catania davanti alle quali, all’ora di entrata e di uscita, si assiepano macchine costose, mamme e papà eleganti, babysitter esperte, nonni con la casa al mare e la multiproprietà in montagna. Dentro la scuola, i cartelloni invocano la pace nel mondo su pareti linde, ogni alunno ha centinaia di pennarelli, i quadernoni di marca, i vestiti stirati e utilizza, per parlare, un italiano perfetto. Sono le scuole elementari della città ricca, benestante, medio borghese. Lì i gruppi whatsapp delle classi discutono della gita nel fine settimana, del costoso regalo alla maestra e litigano sulle limitate attenzioni che l’insegnante, ritenuta “sciocca”, rivolge ai figli. I programmi, in queste scuole, sono seguiti alla lettera e c’è un certo fastidio, da parte di alcuni genitori, quando in classe c’è un bambino con disabilità. Perché disturba, perché rallenta il percorso di studi, perché sottrae attenzioni ai figli “buoni”. Queste sarebbero le scuole “migliori”, quelle dove i ricchi pretendono di iscrivere il proprio figlio, dove tanti docenti vogliono andare, dove il preside sogna di arrivare. Le scuole perfette. Semmai in queste scuole dovessero iscriversi i figli di famiglie non allineate agli standard, essi verrebbero quasi certamente isolati in una sezione dalla lettera periferica, con gli insegnanti più precari, con i maestri problematici. Un po’ per richiesta dei genitori influenti che accaparrano per loro le classi d’élite, un po’ per volontà della preside che ambisce ad avere meno problemi possibile. Nelle prime elementari dei ricchi i bambini in buona parte conoscono già l’alfabeto, i numeri, alcuni sanno già leggere, alcuni sanno già scrivere. Nelle scuole dei ricchi gli stranieri per classe si contano sulle dita di una sola mano.

Ci sono altre scuole elementari a Catania dove i bambini arrivano un po’ all’orario che vogliono. Perché spesso i genitori fanno fatica ad accompagnarli, perché hanno troppi figli da accompagnare, perché fanno fatica a svegliarsi, perché pensano che la scuola non sia così importante. Alcuni bambini non portano lo zaino, perché se lo scordano e nessuno glielo ricorda, i quaderni sono quelli dei pacchi da dieci al supermercato. Nelle case di questi bambini spesso non ci sono libri, né colori. Sulla facciata della scuola ci sono i fori delle mitragliatrici, come alla Battisti di via delle Salette. Lì, a capodanno, una mitragliata ha distrutto il sistema di videosorveglianza. Oppure c’è la discarica abusiva davanti l’ingresso, come alla Doria, o l’erba alta nel piccolo cortile, o decine di macchine parcheggiate per invadere l’unico spazio all’aperto. Ci sono pure decine di cancelli e catenacci per tentare di proteggere la scuola dai raid vandalici e dai furti. Le scuole dei poveri. Di una povertà che non è sempre e solo materiale, economica, ma che è culturale, emotiva, relazionale. In queste scuole il primo obiettivo delle maestre è fare in modo che bambine e bambini entrino a scuola. Alcuni non vanno, tanti frequentano a singhiozzo, tantissimi si assentano o ritardano continuamente. Poi il secondo obiettivo è tenerli in classe, seduti al loro banco, o almeno dentro l’aula e non in giro per i corridoi. Poi, se rimarrà tempo, sarà il turno dell’alfabetizzazione. Nelle scuole dei poveri i bambini arrivano quasi sempre senza alcuna preparazione, a volte il numero dei figli di stranieri supera il numero dei figli degli italiani. Le insegnanti non fanno solo le maestre, ma anche i genitori, le assistenti sociali. In queste scuole il numero di alunni con disabilità è altissimo, di norma ci sono due o tre alunni per classe. Il tasso di dispersione scolastica, seppur altissimo, è sottostimato, perché i dirigenti scolastici e i docenti sono intimiditi nel fare la segnalazione. In queste scuole le liti e le minacce sono all’ordine del giorno e solo una piccolissima parte di queste violenze viene denunciata.

Entrare in una scuola per ricchi o in una scuola per poveri a 5 anni condiziona il resto della vita. Certo ci sono le eccezioni…ma sono eccezioni. Bambine e bambini, insegnanti, genitori, tutori coraggiosi, tenaci, che riescono a invertire la rotta segnata. Storie straordinarie, appunto: eccezionali.  Quando un bambino dice in quale scuola elementare di Catania è iscritto si può già conoscere con quale probabilità raggiungerà il diploma, la laurea, un lavoro dignitoso. Con quale probabilità finirà disoccupato o arrestato.

È un’apartheid di classe. Poveri da una parte, ricchi dall’altra. Eppure la scuola dovrebbe essere lo strumento che mette in funzione l’ascensore sociale, che dovrebbe consentire di superare il divario tra cittadini: che sia sociale, economico, culturale. Non dovrebbe contare il quartiere nel quale si vive, il reddito, il titolo di studio dei genitori: la scuola dovrebbe essere uguale per tutti. Ma così non è. Pure destra e sinistra politica si mescolano in nome del bene supremo dei figli. Quando si compongono le classi, chi ha un’amicizia influente la sfrutta per ottenere un posto nella sezione considerata migliore della scuola scuola considerata migliore, al di là della collocazione politica.

Il disastro sociale generato dalla scelta di separare i bambini in “classi”, a Catania si misura ogni giorno. Bruciano le discariche abusive presenti a ogni angolo, brucia la pelle della rivale in amore, brucia lo scivolo del parco giochi. Il fuoco, l’odore acre della spazzatura bruciata, sembra l’unico modo di attirare l’attenzione. Quando i ragazzini si prendono a colpi di pistola, quando i bambini provano cocaina e crack a 12 anni, quando i coltelli sfregiano i volti dei ragazzi:, chi comanda può sempre voltarsi dall’altra parte, far finta di non accorgersi. Ma la puzza di bruciato, la cenere, il carbone, non si possono ignorare..

Due scuole, due città. Separate da centinaia di muri invisibili, dentro e fuori le aule scolastiche. I fortunati da una parte, i condannati dall’altra. Chi ha avuto il privilegio di vivere una vita dignitosa, di ricevere la migliore istruzione, di avere avuto le risorse economiche per cogliere ogni opportunità, avrebbe il compito di impegnarsi perché anche la parte più emarginata della città riesca a riscattarsi. E invece, intorno alle vittime di questa apartheid, la Catania bene crea il vuoto; accanto ai muri che separano le due città, la Catania bene scava profondissimi fossati. C’è da chiedersi chi abbia bisogno di maggiore educazione: chi, tronfio, discrimina ed emargina per garantirsi il privilegio o chi, disperato, incendia un parco giochi per attirare l’attenzione.

Servirebbe in Sicilia un esercito di maestri elementari, diceva Bufalino.

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