giovedì, Novembre 21, 2024
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Borsellino e il generale “punciutu”

Cavaliero: “La vedova Borsellino mi disse che Subranni era…”

Palermo. “Circa dieci anni fa, sei o otto mesi prima del matrimonio di Manfredi (Borsellino, ndr), la signora Agnese utilizzò un’espressione nei con­fronti del generale Subranni”.

Le parole dell’ex sostituto procuratore di Marsala, Diego Cavaliero, amico e col­lega di Paolo Borsellino negli anni di Mar­sala, ora giudice del lavoro a Salerno, han­no riacceso l’atten­zione su una rivelazio­ne di cin­que anni fa. “La signora Agnese – ha spe­cificato Cavallero deponendo al pro­cesso sulla trattativa – mi disse che poco tempo prima di morire, in un mo­mento di rabbia, il marito le aveva detto che il gene­rale Subranni era punciuto (af­filiato a Cosa Nostra, ndr). E che in quella occa­sione Paolo aveva vomi­tato appena tornato a casa”.

Alle domande del pm Roberto Tartaglia Cavaliero ha risposto senza esitazione. Anche quando ha ricordato “la frenesia” di Borsellino al pensiero di aver perduto la sua agenda rossa. Era il 12 luglio 1992 e il giudice palermitano era venuto a Salerno per fare da padrino al battesimo del primo figlio di Cavaliero. “Lo andai a prendere a Baia e andammo da mia madre. Ricordo che Paolo aveva appoggiato l’agenda rossa sul letto. Appena scendemmo dalla mac­china Paolo ebbe la percezione che non aveva l’agenda. Era visibilmente agitato. Mi fece ‘smontare’ la macchina, alzare i sedili… Non trovandola mi fece tornare a Baia, e lì la trovammo sul letto dove l’ave­va lasciata. Solo allora si tranquillizzò. Era un maniaco delle annotazioni. Era l’archi­viazione fatta persona.”.

“La consapevolezza della fine”

“Il 28 giugno 1992 – ha raccontato anco­ra Cavaliero – c’incontrammo a Giovinaz­zo per un congresso. Le misure di prote­zione per Bor­sellino erano aumentate. Mi manifestò la sua forte preoccupazione, non lo disse apertamente, mi invitò ad accom­pagnarlo a prendere le sigarette e mi disse: Sai, quando muore una persona cara tu vai al funerale e ti addolori perché hai la con­sapevolezza che la tua fine è più vici­na. La cosa mi turbò molto”.

“Il suo umore era completamente diver­so, aveva perso quella giovialità che lo ca­ratterizzava, e il 12 luglio, al battesimo, si vedeva che era ‘assente’. Io venni a Paler­mo dopo la mor­te di Falcone e alloggiai a casa di Borselli­no. Lui era preoccupato. Ricordo la came­ra ardente… Paolo mi aveva detto: Fino a quando c’è Giovanni mi fa da parafulmi­ne”. Cavaliero ha quin­di ricordato “il moto di stizza” di Paolo Borsellino nel sa­pere della telefonata della batteria del Vi­minale che lo cercava da parte del prefetto Vincenzo Parisi.

La percezione del si­gnificato della “fret­ta” che aveva Borselli­no per cercare di “forni­re una chiave di lettura di quella che era stata la morte di Falcone” è stato un al­tro aspetto fonda­mentale della deposizione di Cavaliero. “Che Paolo avesse fretta era evidente – ha specificato – Di­ceva di avere bisogno di una giornata di 48 ore. Era evi­dente che stesse inseguendo qualcosa dal punto di vista investigativo”.

Il pm Tartaglia ha ripre­so il verbale di interrogatorio di Cavaliero del 2012 in cui emergevano ulteriori dettagli in me­rito alle confidenze della vedova del giudi­ce.

“C’era una nota fondamentale di ama­rezza nella signora Borsellino, di ca­rattere generale – aveva deposto allora – per ciò che riguar­dava gli sviluppi investigativi, ciò che più o meno stava succedendo nell’ambito delle indagini dell’epoca per la morte del marito.

Mi disse che pratica­mente il ma­rito ave­va capito, non si capi­sce bene cosa, in quella condizione di fre­nesia…”.

Ma cosa poteva aver capito il giudice Borselli­no in quei 57 giorni tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio? Nel pe­riodo successivo al 19 luglio ’92 il rappor­to tra Cavaliero e la fa­miglia Bor­sellino si era rinsaldato ancora di più. Nel mese di agosto del ’92 lo stesso magi­strato campa­no aveva portato la si­gnora Agnese e i suoi tre figli nella sua casa di villeggia­tura vici­no Salerno per dar loro un po’ di respiro. “In quel periodo la signora Agnese è sem­pre stata molto criti­ca su tutto ciò che le gravitava attorno, si lamentava che c’era­no amici e conoscenti che non aveva­no mai partecipato alla loro vita e che ora in­vece volevano un posto in prima fila…”.

Alla domanda se avesse mai conosciuto una persona di nome Angelo Sinesio Ca­valiero ha risposto negativamen­te.

Quella strana lettera del “corvo”

Sul ruolo di Sinesio non è stata fatta an­cora piena luce. Si sa che è stato un agente dei Servizi segreti dal passato deci­samente misterioso e che attualmente è Commissa­rio straordinario del Governo per le infra­strutture carcerarie. Ma soprat­tutto è stato tra coloro che nel ’92 si erano particolar­mente preoccupati dell’esposto anonimo “Corvo2”, di quella strana lettera, scritta tra il 23 maggio e il 19 luglio del ’92, inoltrata a trenta destinatari fra cui an­che Paolo Bor­sellino.

In essa si riferiva di una sorta di canale di comunicazione, in seguito all’omicidio di Salvo Lima, tra esponenti politici, tra cui Calogero Mannino e i ver­tici di Cosa Nostra. Poco dopo la strage di via D’Ame­lio lo stesso Sinesio aveva chiesto ossessi­vamente al pm Alessandra Camassa quali fossero state le ultime inda­gini di Borselli­no senza ottenere, però, al­cuna informa­zione.

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