Borgetto: sciolto il comune per mafia
Era ora!
E anche questa è fatta. L’avevamo annunciato e in un certo momento avevamo anche previsto che l’amministrazione comunale di Borgetto non avrebbe mangiato il panettone, invece è riuscita a mangiare la colomba e oggi è stata mandata a casa, il Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose.
Questa decisione segue l’autoscioglimento del Consiglio comunale che prudentemente aveva preferito abbandonare tutto qualche tempo prima e affidare il suo ruolo a un commissario. Altri tre commissari, inviati dal prefetto, avevano messo sottosopra gli archivi del Comune, esaminato delibere, interrogato il personale e predisposto una relazione, dalla quale poi l’attuale prefetto ha tratto gli elementi per formulare al Ministro degli interni Minniti la sua richiesta di scioglimento. Ci si può solo chiedere perché ci hanno messo tanto, visto che nei rapporti degli stessi carabinieri di Partinico questa proposta era chiara, al punto da chiedere l’arresto del sindaco di Borgetto. Un altro commissario adesso sarà nominato per sostituire il sindaco e farne le funzioni, in attesa che il Ministro degli interni, nello stesso modo in cui ha proceduto allo scioglimento non disponga di una data per nuove elezioni. Attenzione, il commissariamento potrebbe durare anche anni, in attesa di una bonifica che accerti come le condizioni che hanno portato allo scioglimento siano state rimosse.
Chi ci segue avrà da tempo ascoltato e visto i nostri servizi nei quali, da tre anni denunciamo disservizi, anomalie, strani modi di dare appalti incarichi e di scrivere delibere con le quali abbiamo denunciato le varie zone d’ombra e i nascosti intrecci con i quali si sono mossi sindaco e assessori nel distribuire le magre risorse del Comune a un gruppo ristretto di amici eletti dietro precisi accordi e che hanno amministrato le magre risorse comunali privilegiando familiari e amici dietro i quali ci stavano i soliti malacarne. Al momento questi continuano a tenere il paese sotto scacco e rappresentano i volti emergenti di una mafia che aveva e ha imposto alle attività commerciali il pizzo, che non hanno esitato a ricorrere a violenze e minacce per spremere a chi lavora una parte di quello che è stato guadagnato. L’operazione Kelevra, quella nella quale l’obiettivo principale era di incastrare Pino Maniaci, in un contorno di mafiosi locali, andava letta proprio nel contorno e nelle intercettazioni che indicavano come reali estorsori i vari Giambrone, Salto e i loro amici. Interessante il caso di Benny Valenza, al quale è stato chiesto il pizzo, che egli si è rifiutato da pagare.
E del resto sarebbe bastato leggere attentamente quello che si diceva nel video incriminato e diffuso in tutta Italia per dimostrare che Maniaci era un estorsore. La ripresa in cui il sindaco De Luca in bella mostra contava i quattrocentosessanta euro a Maniaci era troppo evidente per non lasciare il sospetto che fosse precostruita ma già lì stesso c’era di che indagare: Maniaci che dice al sindaco di Borgetto di potere rivolgersi al prefetto perché “Vito Spina non ce l’ho io in giunta” fa già un atto d’accusa sia al Sindaco, sia al suo vice sindaco, ma nessuno ha notato che questo era il nocciolo della questione ovvero che il sindaco, se pagava era per nascondere qualcosa che non andava, ovvero le presenze mafiose nella sua giunta. Maniaci avrà la possibilità di dimostrare nel processo che i famigerati quattrocentosessanta euro erano il pagamento della pubblicità al locale La Carcara, intestato alla moglie del sindaco. Ma anche qua era normale chiedersi “perché quattrocentosessanta euro e non cinquecento, tanto per fare un conto pari?”. Ci si sarebbe potuto chiedere “perché, visto che c’era la fragranza di reato, Maniaci non è stato arrestato? Oppure perché non si è proceduto contro il sindaco che non ha denunciato l’estorsione?”. Il perché è evidente: ai registi di questa operazione non importava incriminare il sindaco dal momento che si era prestato alla sceneggiata della ripresa: almeno non in quel momento.
Ma torniamo al Comune. Nel rapporto dei carabinieri nell’operazione Kelevra leggiamo “Il rapporto tra politica e mafia è certamente uno degli aspetti più inquietanti dell’inchiesta. La famiglia mafiosa di Borgetto aveva rivolto la sua attenzione non solo alla popolazione locale coinvolta nelle varie articolazioni delle attività lecite o illecite ma agli strati più alti politici e amministratori locali legati in un modo o nell’altro ai mafiosi. I primi indizi rivelatori di questo rapporto di contiguità e ingerenza della famiglia mafiosa nella politica trapelavano in alcune intercettazioni captate tra Russo Daniela e Giambrone Antonino nel periodo in cui quest’ ultimo rivestiva la carica di reggente della famiglia mafiosa borgettana. Il 5 ottobre 2012 in una telefonata Russo Daniela rappresentava al boss la realizzazione di un lavoro che sarebbe presto andato in porto essendo arrivati i finanziamenti. La donna nel prosieguo della conversazione riferiva che per entrare nell’associazione ogni iscritto deve portare cinque voti da assegnare a un politico per le prossime elezioni. Giambrone chiedeva all’interlocutrice se fosse una cosa lecita. La donna riferiva che in politica tutto fosse consentito. Russo Daniela informava l’indagato che i posti di lavoro sarebbero stati assegnati solo dopo avere riscontrato nelle sezioni il numero dei voti pervenuti e controllato che il soggetto segnalato avesse effettivamente votato in quella sezione. La donna riferiva che in casi estremi potevano essere elargite anche somme di denaro di trenta e cinquanta euro per comprare i voti. Il monitoraggio dell’utenza telefonica di Russo Daniela consentiva di dimostrare che la donna stesse procacciando voti per tale Figuccia Vincenzo. Nelle elezioni regionali del 28 ottobre 2012 Figuccia Vincenzo veniva eletto al Consiglio regionale siciliano nelle liste del partito Movimento Per l’Autonomia facente capo a Micciché Gianfranco con 7433 voti di preferenza. Il suddetto politico figlio di Figuccia Angelo capogruppo del partito MPA attualmente consigliere comunale di Palermo avendo riportato 1080 voti di preferenza.
Il 9 e 10 giugno 2013 nel Comune di Borgetto, De Luca Gioacchino veniva eletto sindaco con 2176 voti. Nella lista Svolta Popolare presentata dal candidato sindaco De Luca Gioacchino i primi due consiglieri eletti in ordine di preferenze erano stati Riina Vito 469 preferenze e Polizzi Gioacchino 418 preferenze. Il dato non poteva che mettere in risalto una sospetta ingerenza nell’amministrazione comunale della famiglia mafiosa di Borgetto.
Le risultanze descritte consentivano di ritenere riscontrata in termini di gravità indiziaria non solo l’accusa del voto di scambio ma di concorso esterno nel reato associativo. Le indagini dimostravano non solo l’esistenza di un accordo politico elettorale tra la famiglia mafiosa Salto Giambrone e i vertici dell’amministrazione comunale di Borgetto avente per oggetto la promessa di voti in cambio dell’affidamento di lavori alla paletta in suo ai congiunti Riina ma il coinvolgimento degli indagati in attività illecite poste in essere per agevolare il sodalizio criminale nel conseguimento dei profitti illeciti.
Saltando tutti i passaggi, dai quali si rileva un continuo rapporto tra il sindaco De Luca, il suo vice Vito Spina e i Fratelli Fabio e Vito Riina per l’utilizzo di una “paletta”, per la raccolta dei rifiuti, con continui esborsi di denaro per noleggio, carburante, riparazioni, andiamo alla conclusione.
L’ultimo tassello che andava a completare l’impianto accusatorio si aveva nell’incontro tra il sindaco De Luca Gioacchino e il boss Salto Nicolò. Nella mattinata del 24 febbraio 2015 nel corso di un servizio di osservazione i carabinieri notavano entrare nell’ufficio postale di Borgetto il capofamiglia Salto Nicolò. Dopo circa dieci minuti sopraggiungeva il sindaco De Luca. Quest’ultimo accortosi della presenza del mafioso si avvicinava salutandolo calorosamente con una stretta di mano e un abbraccio. I due indagati iniziavano a parlare tra loro a bassa voce ma notata la presenza dei militi subito si allontanavano. Il che sulla scorta di tutti gli elementi sopra stigmatizzati cristallizzava definitivamente la commistione politico mafiosa.
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