Bonifichi chi può e inquini chi vuole
Gli ultimi tre governi hanno fatto una serie di decreti accusati dagli ambientalisti di rendere più complicato bonificare. E favorire chi ha inquinato o inquina ancora
L’Italia è disseminata di migliaia e migliaia di luoghi inquinati, contaminati in decenni dalle attività più disparate, dalla grande industria pesante a discariche ormai non più in esercizio. La Terra dei fuochi, la mega discarica della Val Pescara (sulle cui vicende è in corso un processo e un altro presto potrebbe avviarsi) o di Micorosa (44 ettari di rifiuti tossici all’aperto sul mare), in provincia di Brindisi e recentemente finita nel mirino della locale procura dopo di alcuni cittadini e di due comitati ambientalisti, moltissimi ex siti industriali, l’elenco è vastissimo. 57 di questi siti, i più pericolosi per l’ambiente e la salute umana, i più contaminati dai veleni più disparati, erano considerati SIN, Siti d’Interesse Nazionale, sottoposti direttamente alla responsabilità del Ministero dell’Ambiente.
Declassati diciotto siti
Nel 2013 un decreto del Governo Monti ne diminuì il numero a 39. Tra i siti “declassati”, e quindi non considerati più priorità nazionale, c’erano persino la “Terra dei Fuochi”, “La Maddalena” in Sardegna e la “Valle del Sacco”. Fu promossa dalla Regione Lazio, dal Comune di Ceccano e, ad adiuvandium, dalla “Rete per la Tutela della Valle del Sacco onlus”, un ricorso contro quest’ultimo declassamento. Nelle scorse settimane il Tar del Lazio ha accolto il ricorso affermando che “il ragionamento del Ministero, ad avviso di questo Collegio, è erroneo in radice” e che “La norma applicata sembra anzi ampliare (piuttosto che restringere) le fattispecie dei territori potenzialmente rientranti nell’ambito dei siti di interesse nazionale”.
I decreti dei vari governi
I movimenti per l’acqua pubblica e contro il biocidio e il Coordinamento Nazionale di Associazioni, Movimenti e Comitati che si mobilitano per i siti contaminati hanno chiesto al Ministero di cancellare quel declassamento e di rivedere totalmente la strategia ministeriale. Una strategia che, negli ultimi anni, appare sempre più orientata secondo gli ambientalisti a “mettere la polvere inquinata sotto il tappeto”, a rendere sempre più complicata la possibilità di avere delle reali e totali bonifiche e di favorire chi ha inquinato o continua ancora ad inquinare. Perché quel decreto non è stato l’unico ad andare nella stessa direzione. Una direzione verso la quale i governi di “larghe intese” (o di “piccole”, tornando all’attualità…) hanno voluto procedere con vari decreti.
Il “decreto del Fare” del governo Letta (così come precedentemente il “Decreto Semplificazione” del governo Monti) aveva previsto che le bonifiche potessero essere realizzate “se economicamente possibili”.
Il decreto “Destinazione Italia” (e siamo al Governo Renzi) prevedeva quasi un condono, con finanziamenti pubblici per le bonifiche (che dovrebbero, invece, essere a carico di chi ha inquinato).
“Inquinatore Protetto”
L’ultimo tentativo, mentre l’articolo viene redatto in discussione in Parlamento, è di queste settimane: il decreto 91, le cui proposte ambientali sono state definite dal ministro Galletti “Ambiente Protetto” e ribattezzato dai movimenti ambientalisti (che hanno lanciato una mobilitazione per chiedere di modificarlo radicalmente “Inquinatore Protetto” per quanto prevede.
La prima proposta che colpisce è quella di modificare i limiti per l’inquinamento dei suoli delle aree militari di 100 volte equiparandoli alle zone industriali. Un “vero e proprio vergognoso colpo di spugna sullo stato di contaminazione delle aree militari del paese” in poligoni, campi di addestramento, e persino nelle caserme, per i movimenti ambientalisti. Eppure, ricordano ancora, “spesso appaiono come ampie zone verdi coperte da macchia mediterranea e boschi! Si pensi a Capo teulada e Quirra (Perdasdefogu) in Sardegna oppure a Monte Romano in Lazio (vasto 5000 ettari!)”.
Sono mesi che un’ampio dibattito in molte zone d’Italia si sta animando sulla possibile vendita a Comuni e Regioni per una riconversione civile delle caserme in disuso.
Il decreto 91 di fatto renderà quasi impossibile qualsiasi riconversione e indurrà gli Enti Locali interessati a non acquistarle più: nel momento in cui dovessero farlo per decidere di puntare sulla loro riconversione civile, le aree e gli immobili non saranno più equiparati a zone industriali e i limiti di inquinamento si ri-abbasserebbero di 100 volte. Imponendo così al Comune o alla Regione che acquista ogni costo di bonifica. Come chiedono i movimenti ambientalisti, chi lo farebbe considerando che, mantenendo l’area militare, si rispetterebbe la legge senza dover spendere un euro?
Gli scarichi a mare
Per gli scarichi a mare (vera e propria calvario per moltissime località balneari…) “le Autorizzazioni integrate ambientali rilasciate per l’esercizio possono prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione” interessando anche acciaierie, centrali elettriche e a carbone, cementifici, raffinerie, stabilimenti chimici, rigassificatori e inceneritori spessissimo al centro delle proteste ambientaliste in varie parti d’Italia.
Si realizzerebbe così il paradosso che maggiore sarà la produzione e più si potrà inquinare.
La proposta del Ministro dell’Ambiente Galletti prevede anche una drastica modifica dell’iter delle bonifiche di aree private, con quello che appare un netto favore agli inquinatori che dovranno in futuro pagare i costi della bonifica dell’inquinamento prodotto (anche se, leggendo il decreto, viene il dubbio che non sarà più così ).
Il silenzio-assenso sperimentale
Fino al 2017 ci sarà una sorta di silenzio-assenso sperimentale: il privato autocerticherà i dati dell’inquinamento e della bonifica necessaria e, solo dopo aver effettuato la bonifica, dovrà inviare i risultati all’Agenzia Regionale per l’Ambiente che avrà 45 giorni per le sue verifiche decorsi i quali, in mancanza di risposte, l’intervento del privato s’intenderà approvato.
Come le cronache ci raccontano, spesso ci vogliono anni e anni per aver un quadro certo dell’inquinamento prodotto in una determinata area. Come potranno le Agenzie Regionali ricostruire la situazione in 45 giorni?
Il decreto, tra l’altro, non prevede alcun criterio minimo sulla caratterizzazione (la fase preliminare della bonifica nella quale si cercano le sostanze inquinanti), al contrario dell’attuale normativa, lasciando totale libertà al privato mentre, invece, l’Agenzia Regionale per l’Ambiente avrà due notevoli limiti: effettuerà la verifica solo sul 10% dei campioni e solo sui parametri scelti dal privato.
Solo sul 10 per cento dei camioni
Dati gli altissimi costi dei piani di caratterizzazione e delle bonifiche e il rischio di richieste di risarcimento per danni sanitari (che d’ora in avanti potrebbero avvenire solo sui dati forniti dall’inquinatore, e quindi, da chi sarà accusato di averli causati) il rischio è di dare avvio ad una lunghissima stagione di piani minimali e di bonifiche che avverranno solo sulla carta.
Persino il Sole24Ore ha duramente criticato il decreto di Renzi e Galletti.
Il 18 luglio sul sito del quotidiano di Confindustria è stato pubblicato un articolo nel quale si definisce il comma 4 dell’articolo 15 del decreto che prevede (per la prima volta nella normativa italiana!) la possibilità di Via (Valutazione d’Impatto Ambientale) “postume” (ovvero dopo l’autorizzazione e costruzione di impianti) “ab gubernatoris”, affermando che tale nuova norma favorirebbe il presidente della Regione Marche (che, a quanto si riporta nell’articolo del Sole24Ore, sarebbe indagato dalla Procura di Ancona per le autorizzazioni rilasciate a molteplici impianti a biogas).
Chi paga l’inquinamento dei privati?
Tirando le somme di tutta questa vicenda, e del decreto attualmente in discussione (ma sono parole che potrebbero valere anche per i precedenti decreti e per la direzione che in generale i governi Monti, Letta e Renzi hanno cercato di intraprendere in materia), il Forum per l’Acqua Pubblica, i comitati di Lazio e Abruzzo Stop Biocidio e il Coordinamento Nazionale Siti Contaminati denunciano “la solita scorciatoia all’italiana, perché il nostro sistema produttivo non vuole pagare quel che dovrebbe per risanare le aree che ha inquinato”.
Secondo queste associazioni, chi ci governa vorrebbe donare la possibilità di “chiudere la stagione dei veleni privatizzando le operazioni per risparmiare. Ma è solo un colpo di spugna vergognoso: alzare i limiti di contaminazione non vuol dire risolvere i problemi ma solo nascondere polvere sotto il tappeto”.