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Bonifiche al palo e malattie in aumento

Il grave incidente al­l’interno della raffine­ria Eni-Q8 di Milazzo ha riproposto tra gli abitanti dell’intera Val­le del Mela la questio­ne delle bonifiche e della messa in sicurez­za

Tecnicamente si chiamano Sin (Siti di interesse nazionale) sono la pesante eredità di qualche decennio di indu­stria chimica, di petrolio, di metallur­gia, di un’errata fiducia nel progresso e nell’industrializzazione.

Ora stanno lì e continuano ad avvele­nare la terra che li ospita senza che nes­suno – go­verno, regioni, privati – faccia niente. Sono 57, il taglio di 18 unità ope­rato dal governo Monti e sca­ricato sulle re­gioni è stata soltanto un’alchimia buro­cratica che non can­cella la situazio­ne di fatto.

A eccezione dell’Acna di Cengio, in Liguria, nessu­no ha visto l’inizio dei la­vori di bonifi­ca del terri­torio.

Da Venezia a Milazzo – dove il 27 set­tembre si è verificato un grave in­cidente all’interno della raffineria Eni-Q8 che ha riproposto tra gli abitanti del­l’intera Valle del Mela la questione delle bonifiche e della messa in sicurezza – sei milioni di italiani vivono in zone conta­minate in cui l’incidenza delle malattie è straordinaria­mente più rilevante che nel resto d’Italia.

I risultati del progetto Sentieri…

Il progetto Sentieri (Studio epidemio­logico nazionale dei territori e degli inse­diamenti esposti a rischio da inquina­mento), promosso dal Ministero della Sa­lute e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, i cui obiettivi, metodi e primi risultati sono stati pubblicati nel 2010 e 2011 su Epidemiologia & Prevenzione ha fatto emergere con forza le conse­guenze epidemiologiche dell’esposizione all’inquinamento prodotto da fonti indu­striali ben individuabili.

Qualche dato: nei 18 siti in cui esiste il registro tumori – che sarebbe obbligato­rio per legge – i tumori sono aumentati del 9°% in dieci anni.

Aumentati espo­nenzialmente anche i ricoveri: a Milazzo si rileva un +55% per gli uomini e un +24% per le donne. Altri risultati di inte­resse riguardano le patolo­gie del sistema urinario, sono pre­senti in­crementi in en­trambi i generi per patolo­gie ad alta so­pravvivenza come il tumore della tiroide e le malattie respira­torie.

Nelle considerazioni conclusive relati­ve al sin di Milazzo si legge: «L’eccesso della mortalità osservato nel SIN per condizioni perinatali nel primo anno di vita merita particolare attenzione, visto che è ragionevole ritenere che vi abbia avuto un ruolo eziologico l’esposizione a impianti chimici e petrolchimici.

Per questa è stata infatti riportata un’eviden­za a priori di associazione Li­mitata, oltre che con gli impianti chimici e petrolchi­mici, anche con l’inquinamen­to atmosfe­rico, e Sufficiente con il fumo passivo. L’aumento di rischio per il tu­more della laringe nei soli uomini, con­corde con quanto emerso in alcune delle indagini precedenti svolte nell’area, fa ipotizzare un ruolo delle esposizioni pro­fessionali, anche se non è da escludere un contribu­to delle esposizioni ambienta­li. In tali in­crementi, così come nell’aumento della mortalità per i distur­bi circolatori del­l’encefalo, potrebbe aver avuto un ruolo eziologico l’inquinamento atmosferico».

È stata infine suggerita come priorita­ria la conduzione di indagini ad hoc sulle malattie respiratorie in età pediatrica.

… e quelli dell’Università di Messina

Sull’area sono state condotte altre in­dagini epidemiologiche, per valutare gli effetti dell’inquinamento sulla popolazio­ne.

Nel 2013 l’indagine Iniziativa per la tutela della salute e per la protezione del­le popolazioni delle aree ad elevato ri­schio di crisi ambientale esposte a “di­struttori endocrini” quali i metalli pesant­i (Area di Milazzo-Valle del Mela) ese­guita dal Dipartimento di Medicina Cli­nica e Sperimentale dell’Università degli studi di Messina, l’Istituto Superio­re di Sanità, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, presso le scuole medie della Valle del Mela, comprese in un raggio di 10 km dal sito industriale e che ha ri­guardato 200 partecipanti di età compre­sa tra i 12 e i14 anni ha riscontrato valori di cro­mo totale e cadmio superiori ai va­lori di riferimento e la presenza della me­tilazione del Dna, cioè «un’alterazione di alcuni gruppi dell’acido desossiribonu­cleico che comporta un errata lettura nel­la catena del Dna», individuando come aree mag­giormente esposte quelle dei Comuni di San Filippo del Mela, Santa Lucia del Mela e Milazzo.

La bonifica? Una chimera

Di fronte a questi dati la bonifica do­vrebbe essere considerata una priorità. E invece le autorità non hanno dimostrato nessuna fretta. Secondo i dati della Dire­zione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero del­l’ambiente la situazione aggiornata a marzo 2013 – alla base del dossier di Le­gambiente Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà? – mancano all’appello ancora tanti piani di caratterizzazione: a Milazzo solo il 63% delle aree ne ha vi­sto la presentazione. Ritardo che emerge anche sui progetti di bonifica presentati e approvati (solo per il 18% delle aree in­teressate). Una gestione “lacunosa” e “improvvi­sata” – quella del SIN di Mi­lazzo – dove risulta evidente come non sia stato attua­to nessun intervento.

Un iter farraginoso…

Portare a termine la bonifica di un sito inquinato è un’operazione complessa, sia dal punto di vista tecnico che ammini­strativo. Per aprire un cantiere ser­ve un piano di caratterizzazione comple­to.

Bi­sogna sapere tutto su quel sito: estensio­ne, tipo e diffusione dell’inquina­mento. Inoltre capita che servano piani diversi per lo stesso sito, magari perché aree di­verse sono contaminate in modo diffe­rente. Finché tutta la documentazio­ne non è completa, non si può procedere alla realizzazione dei progetti di inter­vento.

Questi progetti devono essere approva­ti e solo allora si può cominciare a pensa­re di aprire il cantiere. Un iter ab­bastanza lungo dunque se le parti interes­sate non si danno da fare per accelerare al massi­mo le procedure.

L‘altra questione decisiva riguarda i soldi da spendere, ma quanto costa risa­nare i siti inquinati?

Si tratta di una opera pubblica il cui giro d’affari complessivo è stato recente­mente stimato in 30 miliardi di euro (Giovanni Pietro Beretta, 2013), e chi dovrebbe tirarli fuori questi soldi?

Il problema del reperimento delle ri­sorse ancora necessarie per le bonifiche è davvero rilevante, i soldi pubblici sono pochi – dal 2001 al 2012 sono stati messi disposizione 1,9 miliardi di euro (4,5 mi­lioni per il sito di Milazzo) – e spesso male usati – la Procura di Palermo ha aperto un inchiesta sull’utilizzo dei fondi europei per le bonifiche in Sicilia – an­che se qualche strumento a disposizione dello Stato per recuperarle c’è: il princi­pale è il risarcimento del danno ambien­tale.

… a vantaggio di chi inquina

Tuttavia i ritardi cronici del pubblico nel gestire una partita così complessa e articolata – 1507 conferenze dei servizi, di cui 804 istruttorie e 703 decisorie, in cui sono stati valutati 22.880 documenti presentati dai soggetti coinvolti nelle opere di bonifica – ha consentito a chi ha inquinato, e dovrebbe affrontare un inve­stimento importante per risanare suoli e falde dai rifiuti prodotti dalle proprie la­vorazioni, di approfittare della dilatazio­ne dei tempi per spalmare la spesa da af­frontare su un orizzonte temporale bibli­co, con la conseguenza che – a volte – le aziende falliscono o chiudono e chi s’è visto s’è visto.

Né i governi sembrano adoperarsi per far rispet­tare la legge, anzi. «In una serie di provvedi­menti – denuncia An­gelo Bo­nelli – si è cercato, con la scu­sa delle semplificazioni, di ri­durre la por­tata del principio “chi inquina paga”, ca­ricando sulla collettività spese che an­drebbero sostenute da chi è re­sponsabile del pro­blema».

Bonificare conviene

Eppure bonificare converrebbe, a giu­dicare dai conti fatti da uno studio ita­lo-inglese pubblicato nel 2011 su Environ­mental Health. Solo considerando i com­prensori petrolchimici di Priolo e Gela (dove per ora sono stati spesi in opere di bonifica rispettivamente a 744 e 127 mi­lioni di euro) si potrebbero risparmiare 10 miliardi di euro in 50 anni in morti e malattie ambientali evitate a seguito di una completa bonifica delle aree.

Come spiega il responsabile del pro­getto Fabri­zio Bianchi del CNR di Pisa «1l calcolo si basa sulla cosiddetta wil­lingness to pay, vedendo cioè quanto si è disposti a pagare per evitare malattie o l’accorcia­mento della vita per cause am­bientali».

La stima è inevitabilmente in­certa, ma ha il pregio di dare un valore economico alla bonifica dei siti inquinati.

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