Black Monkey, Femia a processo per associazione mafiosa
Black Monkey: è il nome di una scheda contraffatta per slot machine. Scopo?Manomettere le macchinette del gioco d’azzardo per evitare di versare la quota spettante per legge all’AAMS (l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, cioè l’autorità preposta a regolare il comparto del gioco pubblico in Italia). L’inchiesta Black Monkey nasce da qui. Nel dicembre 2010 un cittadino extracomunitario denuncia di aver subito un estorsione e un pestaggio da parte di un’organizzazione di cui era manovale, per un presunto debito non onorato. Partono le indagini della Guardia di Finanza, sotto la direzione della Dda di Bologna, iniziando con la perquisizione di un bar di Pieve di Cento (nel ferrarese) alla ricerca di slot truccate e postazioni di gioco illegale online; a fine indagine si arriverà a 150 perquisizioni in tutto. Vengono successivamente effettuate numerose intercettazioni che riescono a tracciare la struttura dell’intera organizzazione: vertice indiscusso è Nicola Femia, detto Rocco o “u Curtu”, già comparso all’interno dell’indagine “Medusa” condotta dalla dda di Bologna nella veste di consulente per i circoli bisca dei clan (operazione sul territorio modenese in merito alla gestione del gioco d’azzardo da parte del clan del Casalesi e che vide coinvolti anche due agenti penitenziari del carcere di Sant’Anna). Femia è originario di Marina di Gioiosa Jonica, nel reggino: si trasferisce nel 2002 a Sant’Agata sul Santerno, in provincia di Ravenna, per scontare un provvedimento di obbligo di firma presso la polizia giudiziaria. Già condannato in appello per numerosi reati, tra i quali associazione per delinquere finalizzata al traffico d’armi e stupefacenti (attualmente a 23 anni ma la Cassazione ha richiesto la celebrazione di un nuovo procedimento d’appello), è tra gli altri in rapporti consolidati con Nicola Schiavone, figlio di “Sandokan” Francesco Schiavone, la punta di diamante del clan dei Casalesi. E’ proprio in Emilia-Romagna che “Rocco” costruisce la casa madre dell’intera organizzazione: questa poi si ramifica in ben 12 regioni italiane (Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana, Lazio, Marche, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) e addirittura all’estero (Gran Bretagna e Romania). «No, c’è un giornalista che rompe le balle a una persona che mi sta aiutando … sto giornalista se ci arriviamo o la smette o gli sparo in bocca e è finita lì.»A parlare è Guido Torello, faccendiere piemontese di Femia, in una telefonata del dicembre 2011 con lo stesso Femia, acquisita in un’intercettazione agli atti d’indagine e dalla quale si evincono le pesanti minacce che porteranno il giornalista della Gazzetta di Modena Giovanni Tizian, fra i primi ad occuparsi degli affari della criminalità organizzata con il gioco d’azzardo, ad essere sottoposto al programma di protezione. Femia viene arrestato la mattina del 23 gennaio 2013, insieme alla richiesta di altre 28 ordinanze di custodia cautelare (18 delle quali in carcere) in tutta l’Italia e alla confisca di beni pari a 90 milioni di euro: 18 auto di lusso, oltre 170 unità immobiliari, 21 società, 1500 schede di slot machine contraffatte e 30 rapporti bancari. I canali esteri, circa una ventina di siti internet rumeni e britannici, venivano sfruttati per la promozione e gestione del gioco online illegale, così da evadere le tasse tramine il mancato pagamento del prelievo erariale unico (pari al 12%) previsto dalla normativa italiana. Le accuse contenute nell’indagine vanno dalla gestione del gioco illegale alla commercializzazione di apparecchiature da intrattenimento contraffatte, estorsione, sequestro di persona e truffa erariale attraverso l’intestazione di società e beni fittizi. Nell’aprile del 2013 la Procura di Bologna riccorre al Riesame per chiedere il riconoscimento dell’associazione mafiosa per 24 persone coinvolte nelle indagini: richiesta però respinta in quanto i giudici, come già il gip, riconoscono per alcuni reati l’aggravante del metodo mafioso, ma non l’esistenza di una autonoma struttura mafiosa dell’organizzazione. Durante le indagini vengono a rilevarsi numerosi rapporti di Femia con altre organizzazione criminali: oltre i casalesi e ad altri esponenti della cosca reggina Mazzaferro (cui era affiliato da giovane), la cosche di Siderno (comune della locride sciolto per mafia nel marzo 2013); il clan Alvaro di Sinopoli (gestore delle attività del porto di Gioia Tauro e dei lavori sulla Salerno-Reggio Calabria); in Lombardia noti sono i rapporti con i Valle-Lampada, originari di Reggio Calabria ed espressione del clan Condello. Il 25 ottobre 2013 si chiude l’operazione con l’invio da parte della Dda di Bologna di 34 avvisi di fine indagine (24 delle quali con l’ipotesi di associazione per delinquere dii stampo mafioso); agli inizi di dicembre, per lo stesso numero di indagati e con gli stessi capi di imputazione, il pm della Dda Francesco Caleca chiede il rinvio a giudizio. Il Gup Andrea Scarpa, dopo quattro udienze preliminari a porte chiuse, conclusesi ieri 21 gennaio, ha emesso la sua sentenza: 23 rinviati a giudizio. Per 13 di questi è stata accolta la contestazione del reato di associazione mafiosa; per altri, imputati a vario titolo, è stata mantenuta l’aggravante del metodo mafioso. Tra le richieste di parte civile accolte, il giornalista Giovanni Tizian, l’Associazione Sos Impresa e la regione Emilia-Romagna. Il procedimento si aprirà il prossimo 28 marzo. E’ uno dei più consistenti procedimenti posti a carico della ‘ndrangheta mai celebrati in Emilia-Romagna.
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