Barcellona: quel plico giallo al “superpoliziotto”, dov’è finito?
Prima succede che Alfano, mentre è in macchina con la figlia Sonia (oggi parlamentare dell’Italia dei valori), incroci proprio Rosario Cattafi. Dopo le “bravate” universitarie, Cattafi per vent’anni ha vissuto stabilmente a Milano. A Barcellona s’è visto poco, in Lombardia ha intrecciato ottimi rapporti con l’establishment governativo, ha consolidato i legami con personaggi del calibro di Santapaola, Rampulla e Epaminonda, ed è rimasto coinvolto nella storia delle tangenti dell’autoparco di via Salomone.
“Che ci fa Cattafi a Barcellona?”. Già, che ci fa Cattafi a Barcellona? “Saro non si muove per niente, un motivo deve esserci”. Alfano ha antenne sensibilissime, conosce Cattafi da almeno vent’anni, percepisce che sta per accadere qualcosa.
Da ex militante di estrema destra, il giornalista è uno dei pochi a Barcellona a saper “leggere” il contesto politico-mafioso, a decifrare certi linguaggi. Parla con la gente del “suo” mondo, segue certi movimenti. La presenza di Cattafi lo turba. E lo confida a Sonia.
Tutte supposizioni, certo. Fatto sta che dopo la morte di Falcone i pentiti fanno il nome di Cattafi. Con quello di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri. I collaboratori di giustizia li indicano come mandanti esterni della strage e danno perfino i luoghi delle riunioni segrete.
I magistrati prima lo incriminano, poi lo scagionano, infine decidono (luglio 2000) di sottoporlo a misure di prevenzione antimafia in quanto ritenuto pericoloso: sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno a Barcellona per 5 anni.
Evidentemente mancano i riscontri oggettivi per spedirlo in carcere, ma il provvedimento dimostra che Alfano non era un visionario.
Poi succede che il giornalista si rechi dal sostituto Olindo Canali – magistrato monzese arrivato da poco a Barcellona, col quale instaura un rapporto di amicizia e di fiducia – e alla presenza di Sonia gli confidi due scoperte clamorose: il nascondiglio segreto di Santapaola a Barcellona e un traffico d’armi che si svolgerebbe nella vicina Portorosa, di cui sarebbe protagonista lo stesso Santapaola.
Santapaola non è un boss qualsiasi. È latitante per l’omicidio Dalla Chiesa, è il mandante dell’assassinio di Giuseppe Fava, ha sulla coscienza un paio di stragi di carabinieri, eppure gode di forti protezioni istituzionali, paradossalmente sono proprio i carabinieri a scortarlo per i suoi spostamenti.
Gente così non è sempre l’antistato. A volte è un pezzo dello Stato.
Nel libro Gli Insabbiati. Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza, Sonia Alfano rivela: “Canali disse a papà che purtroppo, trattandosi di cose molto grosse, non si poteva occupare di Santapaola in quanto i fatti esulavano dalla sua competenza.
Fu lo stesso Pm a consigliare a papà di mettere tutto per iscritto e di inviarlo, mediante un plico giallo, alla Dia di Catania: lo avrebbe ricevuto un superpoliziotto che il magistrato, a suo dire, avrebbe provveduto a informare”.
Un superpoliziotto? E chi? Alfano chiede chiarimenti, ma Canali si limita a usare mezze frasi. A chi deve essere indirizzato il plico? A un Alfano incredulo, il Pm suggerisce: “Metti tutto in una busta gialla e spediscilo alla Dia di Catania. Chi di dovere sa che dovrà consegnarla al superpoliziotto”.
Quindi il magistrato, secondo quanto dichiara Sonia Alfano, consiglia al giornalista di scrivere una lettera anonima e di spedirla ad un destinatario anonimo. Non da Barcellona, ma da Milazzo. Alfano si attiene scrupolosamente alle disposizioni. Che uso viene fatto di quella lettera? Chi l’ha letta? Chi è il fantomatico superpoliziotto?
Che ruolo ha Canali in questa vicenda? Perché, pur sapendo che il cronista corre seri pericoli, non provvede a proteggerne l’incolumità? Nessuna risposta anche in questo caso.
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ma questo giornalista ha mai letto le sentenze sull’omicidio alfano????
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