Banche
“Gli strumenti essenziali sono due: le banche e le grandi imprese economiche. Anzitutto le banche: ricevono il denaro, lo fanno proprio, lo celano…”
Molto più in alto dei cosiddetti uccisori c’è il livello dei pensatori, con la lontananza, il distacco di autorità che può esserci tra una fanteria alla quale è affidato soltanto il compito di conquistare, uccidere, presidiare, morire, e le stanze imperscrutabili dello Stato maggiore dove si elabora la grande strategia mafiosa. Scopo unico e massimo di questa strategia è la riciclazione del denaro continuamente prodotto dall’operazione droga, cioè la fase ultima e più delicata, quella appunto che esige una autentica capacità tecnica e finanziaria. Si tratta infatti di centinaia e migliaia di miliardi che, per essere immessi nel mercato economico e diventare usufruibili, debbono passare attraverso una serie di operazioni legali che li assorbano e magicamente li riproducano come ricchezza. Ci vuole talento, ci vuole fantasia, competenza tecnica. Non a caso abbiamo parlato di un salto nella cultura mafiosa.
Gli strumenti essenziali sono due: le banche e le grandi imprese economiche.
Anzitutto le banche: ricevono il denaro, lo fanno proprio, lo celano, lo amministrano, conservano, proteggono, reimpiegano (cento miliardi provenienti dalla droga, alle cui spalle sono decine di persone miseramente morte o uccise, e migliaia di infelicità umane, possono essere impiegati per la costruzione di un grattacielo, un ponte, una diga, un’autostrada). Le banche gestite e controllate dallo stato difficilmente potrebbero (ma non è detto che non possano) poiché c’è sempre il rischio di un funzionario di vertice che indaga, spia, riferisce, protesta, accusa. Le banche private.
Talune banche private ovviamente. Non a caso Sindona aveva la vocazione di creare banche, ne aveva l’estro, la fantasia. Il giorno in cui dovesse decidere di raccontare finalmente tutta la verità, molti imperi finanziari vacillerebbero. E in realtà Sindona, invecchiato, gracile, stanco, terrorizzato, preferisce starsene in un tiepido carcere americano. All’aria aperta, in libertà, non avrebbe certamente più di un giorno di vita! Per decifrare perfettamente la tragedia mafiosa sarebbe interessante sapere appunto quante banche e quali banche con il suo vertiginoso talento, per cui riusciva a sconvolgere persino gli alti burocrati della Banca d’Italia, Michele Sindona, piccolo ragioniere di provincia, riuscì in meno di quindici anni a creare in tutta Italia e soprattutto in Sicilia. Banche che fiorivano, si moltiplicavano, esplodevano letteralmente nelle grandi città e nei centri di periferia dove per gestire gli affari economici, i micragnosi affari della piccola borghesia commerciale e agricola sarebbe stata già d’avanzo un’agenzia del Banco di Sicilia. Banche invece che spalancavano di colpo i battenti: “Eccomi qua, io sono la nuova banca! A disposizione!”, tutto l’apparato già pronto, direttori, impiegati, casseforti, banchi di metallo, sistemi elettronici, computerizzazione, vetri antiproiettile, uscieri, gorilla con la divisa di sceriffo e la Smith Wesson, epiche cerimonie inaugurali con interventi di parlamentari, sottosegretari, ministri, questori, prefetti, “Taglia il nastro la gentile signora di sua eccellenza”, fiori, applausi, banchetto, champagne, capitali già depositati nelle casseforti.
(Da “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, I Siciliani, gennaio 1983)
La Fondazione Fava
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Il sito “I Siciliani di Giuseppe Fava”
Pubblica tesi su Giuseppe Fava e i Siciliani, da quelle di Luca Salici e Rocco Rossitto, che ne sono i curatori. E’ un archivio, anzi un deposito operativo, della prima generazione dei Siciliani.
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