Appunti di viaggio con la Mehari di Giancarlo Siani
Sono le 21 di una serata di inizio autunno del 1985. Una piccola automobile Méhari di colore verde, simbolo della spensieratezza e della libertà degli anni ’80, si ferma in piazza Leonardo a Napoli con il suo carico di speranze e quasi certamente di paure. A guidarla c’è Giancarlo Siani, un giovane giornalista “abusivo” – precario si direbbe oggi – de “Il Mattino”, il più importante quotidiano della città. Paure tenute per sé o forse riferite a qualcuno di sua fiducia. Di certo Giancarlo Siani qualcosa ha scoperto e ne porta il peso. Ad attenderlo sotto casa i killer della camorra che lo crivellano di colpi proprio nella sua piccola auto.
La sua colpa? Aver scritto tre mesi prima un articolo. Questo il titolo: Camorra: Gli equilibri del dopo – Gionta. Occhiello: Marano. Il capoclan catturato a Marano sarà interrogato dal magistrato sui retroscena della strage di Torre Annunziata – Gli investigatori cercano ora il fratello e il suocero del padrino. Sottotitolo: Cosa cambia nella geografia del crimine con l’arresto del boss.
“La cattura di Gionta potrebbe essere il prezzo pagato dai Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan della Nuova Famiglia, i Bardellino”. Questa, invece, è la frase di ventiquattro parole – una frase che appare persino prudente, tanto che usa il condizionale “potrebbe” – di un articolo di settanta righe, pubblicato sul suo giornale il 10 giugno del 1985, che è stata sufficiente per il tribunale della camorra per decretarne la condanna a morte.
Di Giancarlo Siani, della sua morte, dei suoi detrattori e dei tentativi di offuscarne la memoria, delle false piste e dei veri depistaggi, dei processi ai suoi assassini e della loro condanna si è detto e scritto molto. Forse troppo poco si è scritto delle carriere di certi personaggi e dei dossier spariti. Ma della sua Méhari, l’auto sulla quale è stato ucciso e che il 23 settembre del 2013 si è rimessa in moto cosa sappiamo? Certamente che è stata protagonista durante le riprese del film di Marco Risi “Fortapàsc”, ma nient’altro. Del resto a chi poteva interessare il destino di una semplice automobile?
Dell’auto di Giancarlo Siani, per circa un quarto di secolo, infatti, si erano perse le tracce. Poi all’improvviso è ricomparsa. Ma come ricompare? Me lo racconta Michele Caiazzo, già sindaco di Pomigliano d’Arco, uomo impegnato sin da giovane nei movimenti anticamorra e amico di Paolo Siani, fratello di Giancarlo. In quegli anni conobbe Giancarlo Siani e l’Osservatorio sulla camorra di Amato Lamberti, il sociologo che fu il maestro di Giancarlo Siani e di tanti di noi.
Qualche anno fa – mi riferisce Michele Caiazzo – mi fu regalato dall’editore Phoebus, quel bel cofanetto che la sua casa editrice aveva pubblicato dal titolo Le parole di una vita. Gli scritti giornalistici. Da allora tengo l’opera che raccoglie gli scritti di Giancarlo, in bella vista sulla scrivania del mio ufficio. Un giorno mi venne a trovare un amico, che di mestiere fa il commercialista, ma vuole rimanere anonimo, il quale, vedendo l’opera, mi chiese come mai la tenessi così in evidenza. Gli risposi che Giancarlo Siani lo avevo conosciuto e che quell’opera rappresentava per me qualcosa di molto importante.
Lui di punto in bianco mi disse: Vuoi sapere una cosa? Io ho l’auto sulla quale Giancarlo Siani fu ucciso.
Con grande freddezza, gli chiesi: dove la tieni?
A Filicudi, l’isola dell’arcipelago delle Eolie, dove vado in vacanza.
Che ci devi fare?
Al momento niente! Mi rispose.
Portamela, gli dissi, mentre in me si accendeva l’idea di far diventare quell’auto un monumento della legalità.
Il mio amico non poté dirmi di no e dopo un mese e mezzo la macchina mi venne consegnata. Chiamai Paolo Siani e gli dissi che la macchina del fratello, se la voleva, era di nuovo sua. Dopo un breve periodo di riflessioni e naturali tentennamenti accettò l’idea che l’auto del fratello diventasse simbolo della legalità. Poi le riprese del film di Marco Risi furono girate con l’auto originale di Giancarlo.
Qualche tempo dopo il concorso di idee per l’installazione artistica della Méhari in un luogo simbolo della città di Napoli al quale hanno partecipato una quarantina di artisti ed infine l’idea del viaggio con la Méhari. Un viaggio che il 23 settembre dell’anno scorso è partito dal luogo dove Giancarlo fu ucciso ed ha percorso l’intera Europa. A distanza di un anno, mentre ci accingiamo a ricordare la sua morte dopo ventinove anni con altre interessanti iniziative, voglio offrire ai Siciliani Giovani i miei appunti di quel viaggio con la Mehari.
Per volontà del fratello di Giancarlo, ho avuto in consegna quell’auto quasi sin dal primo momento in cui è arrivata a Napoli. Mi sono occupato della sua manutenzione, dei suoi spostamenti nelle officine per la revisione e nei depositi che l’hanno custodita, della sua messa in strada in totale sicurezza e legalità. In questo lavoro ho incontrato la disponibilità vera, sincera, spontanea di tante persone. Dai tecnici agli autotrasportatori, dall’associazione Antiquariauto di Napoli – che ha concesso la targa prova in tutti i suoi spostamenti – al lavoro dei volontari impegnati a programmare le tappe del suo viaggio. Per strada ho incontrato l’incredulità e la commozione di molte persone che mi chiedevano se quella fosse davvero l’auto del giornalista, segno che la memoria di Giancarlo, ucciso 28 prima, a soli 26 anni, è rimasta ancora viva.
L’auto con molta probabilità non è più la stessa. Forse anche il colore non è proprio il suo. Dello stereo estraibile da dove Giancarlo ascoltava la musica di Vasco Rossi è rimasta solo una slitta vuota, ma sedermi alla sua guida e tenere stretto tra le mani il volante dell’auto che Giancarlo ha dovuto troppo in fretta interrompere di guidare, è stata una sensazione davvero indescrivibile.
Il 23 settembre scorso, poi, ho avuto la fortuna, il privilegio ed una emozione indescrivibile, di quelle da far salire il cuore in gola, di essere a bordo della Méhari di Giancarlo Siani con Roberto Saviano, don Luigi Ciotti, Armando D’Alterio, Alfredo Avella, Gianni Minoli e Daniela Limoncelli e percorrere tutta Napoli e vedere le persone commuoversi ed applaudire al suo passaggio, ma anche qualche mugugno.
Un privilegio che non posso non raccontare, fermare in una istantanea di uno dei giorni più emozionanti della mia vita. La notte tra il 22 e il 23 settembre la passo praticamente sveglio. Il programma prevede che la Méhari parta dalla municipalità Vomero – Arenella alle ore 9 del mattino. Alle 7,30 sono già lì. Non c’è nessuno. Compro i giornali e leggo tutte le notizie sull’evento che da li a qualche ora avrà inizio. C’è grande attesa. Trovo su Repubblica un bell’articolo di Roberto Saviano: “Io, al volante della Méhari di Siani per far ripartire anche la speranza”. Letteralmente lo divoro!
Alle nove precise partiamo, per il punto stabilito dove salirà a bordo Roberto Saviano. A guidarla è Mario Coppeto, il presidente della Municipalità Vomero – Arenella che in questi mesi l’ha avuta in custodia. Siamo entrambi ansiosi che non basti la benzina che l’autofficina ha messo nel serbatoio. Meglio essere certi che basti. Ci fermiamo ad un distributore per rifornire. Appena ripartiamo incontriamo Carmela, la moglie di Paolo Siani, che visibilmente commossa ci saluta. Poco più avanti ecco Paolo, il fratello di Giancarlo. Ci fa cenno con la mano di proseguire e gli si legge chiara in faccia la commozione, ma anche la compostezza che lo contraddistingue.
Alle 10, nei pressi delle Rampe Siani, è Roberto Saviano ad avviare il motore. Parte al primo tentativo anche se, come commosso mi ricorderà più avanti il giornalista Maurizio Cerino, amico e collega di un tempo di Giancarlo, spesso ne richiede due. Il solo pensiero che mi sarei trovato lì, a tu per tu con lo scrittore che ha rivoluzionato il comune sentire intorno alle questioni delle organizzazioni criminali in Italia, mi dava una sensazione di ansia, di preoccupazione, di timore di non riuscire a dire nulla. Mi sbagliavo! Mi è bastato guardarlo in faccia per un momento e vederlo più emozionato di me a stringere forte il volante tra le mani che mi sono accorto di essere accanto ad una persona normalissima, un ragazzo di appena 34 anni, che la sua condizione di persona sottoposta a tutela e i media hanno trasformato in un qualche cosa di irraggiungibile, una sorta di mito sacro che vive su un Olimpo che agli umani non è consentito vedere, né toccare. In quei 10/15 minuti che abbiamo impiegato per raggiungere il Liceo Gian Battista Vico, in mezzo ad una folla di uomini della sicurezza, di giornalisti e di cittadini che seguivano il corteo, abbiamo avuto modo di chiacchierare con molta tranquillità. Sapevo che era uno come noi. E in quel breve viaggio ne ho avuto la conferma. Parliamo della sua mancanza di libertà. Sapevo che aveva poca dimestichezza con le auto in genere. Lo vedo impacciato nella guida. Gli dico di essere tranquillo che lo aiuterò io ad ingranare le marce di quel cambio inusuale della Méhari e che lui si deve preoccupare solo della direzione dell’auto e, naturalmente, di frenare all’occorrenza. Ad un certo punto, mentre cerca di districarsi nel groviglio di persone, auto, moto e biciclette, mi dice: “anche se sono anni che non guido un’auto, con te accanto mi sento sicuro”. Lo ammetto, approfitto per parlargli del mio libro su Federico Del Prete. Ne faccio appena cenno e, con mia enorme sorpresa, mi dice: l’ho letto ed è molto bello. Ci devi far fare un film! Poi, però, rammaricato, mi avverte che comunque sarà difficile perché i fondi per realizzare un’opera del genere, che racconta la vita e la morte di un venditore ambulante, quasi certamente non si riuscirebbero a trovare. Mi rassicura che la lettera che ha scritto postuma a Federico Del Prete – stralci della quale ho inserito nel mio libro – è autentica. Mi dice che è rammaricato per il fatto che uno dei figli di Federico Del Prete se la sia presa con lui e lo abbia criticato. Lo rassicuro che si tratta certamente di fraintendimenti e che in fondo il figlio di Federico Del Prete lo apprezza come lo apprezzano molti di noi. Solo che al figlio di Federico la camorra ha sottratto più di quanto ha sottratto a noi.
Inevitabilmente finiamo per parlare della sua condizione di persona a rischio. Mi dice che questa non è più una vita che può continuare a fare, delle troppe limitazioni alla sua libertà, dei suoi progetti futuri in giro per il mondo.
Mi confida la sua delusione nel non vedere la città di Napoli esplodere davanti ad un evento così simbolico e dirompente, come la ripartenza dell’auto di Giancarlo Siani. Si aspettava, ci aspettavamo tutta la Napoli onesta a questa manifestazione in memoria di Giancarlo Siani. Invece eravamo in pochi. Troppo pochi per il male che da secoli la attanaglia, la camorra. Ed il pensiero, il suo ed il mio, insieme alla conclusione della breve chiacchierata, non può che andare alla chiosa del suo articolo che avevo appena letto: Io non credo più da tempo nella possibilità di cambiamento di una città, di un territorio così incattivito anche in quelle che dovrebbero essere le sue parti sane, le sue parti migliori. Credo però negli individui, in quella singola ragazza, in quel singolo ragazzo, in quella persona che si sottrae, che non diventa crudele, che non si lascia mangiare dai giudizi facili. Che non arriva a invidiare persino la morte di una persona. Credo nel professionista che facendo bene il proprio lavoro sa che sta cambiando le cose in meglio. Riaccendere la Méhari mi sembra questo: permettere che il lavoro di un ragazzo, che il lavoro fatto bene di un ragazzo, fatto talmente bene da procurargli una condanna a morte, non si interrompa con la sua morte. Capire, ricercare, comprendere, raccontare, vivere, questo non è stato possibile fermarlo. E oggi riparte.
Arriviamo troppo presto al liceo Gian Battista Vico, dove scendendo dall’auto e mentre ci abbracciamo e ci ringraziamo a vicenda, gli dico: è inutile dirti che per me è stato un vero piacere ed un onore. Anche per me, mi risponde. Qui al liceo che è stato di Giancarlo Siani parla ai ragazzi che lo attendono, consegna le chiavi della Méhari a Don Luigi Ciotti, per poi essere caricato nelle auto blindate dai suoi ragazzi della scorta e ripartire. Non l’ho più rivisto né sentito.
Con Luigi Ciotti ripartiamo alla volta di piazza Dante. Con don Luigi ci conosciamo da troppi anni e la guida è più sciolta, anche perché i giornalisti non sono più tanto interessati alle altre tappe della Méhari. Hanno riempito i taccuini, le loro foto/camere non hanno più niente di interessante da inquadrare. È la incomprensibile logica della comunicazione!
A piazza Dante, al Convitto Vittorio Emanuele è Armando D’Alterio, il magistrato che ha dato una svolta alle indagini sull’omicidio di Giancarlo Siani, che la conduce sino al monumento a Salvo D’Acquisto che per coincidenza è stato anche lui allievo del Vico e fu ucciso proprio un altro drammatico 23 settembre, quello del 1943.
Si prosegue fino a Piazza Matteotti, dove insieme al Questore, davanti all’ingresso della Questura centrale, dietro ad uno striscione, ci aspetta una delegazione del Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità. Qui il rammarico di Alfredo Avella, presidente del Coordinamento, è evidente: non c’è più quasi nessuno a seguire la staffetta. Pochi i giornalisti e dei cittadini neanche l’ombra. Questo è il riconoscimento che la città offre a chi ha pagato un tributo tanto alto alla società, commenta, con un pizzico di amarezza. Avvolge lo striscione e, dopo un breve colloquio con il Questore Luigi Merolla, sempre attento e disponibile nei confronti di persone colpite dalla criminalità, si mette alla guida della Méhari e raggiunge il piazzale del Teatro di San Carlo. Qui Gianni Minoli la conduce a piazza Amedeo dove consegna l’auto ad una persona molto speciale. È Daniela Limoncelli, amica di Giancarlo: l’ultimo volto amico che Giancarlo vide la sera del 23 settembre di 28 anni fa.
É emozionatissima e tesa Daniela. Non l’avevo mai incontrata prima di allora, ma c’è stata subito intesa. Alcuni consigli sulle marce e sulla condotta e si parte alla volta di quelle che in passato erano le rotative del quotidiano “Il Mattino”, dove dopo il nostro arrivo si procederà alla consegna dei riconoscimenti ai vincitori del Premio dedicato a Giancarlo Siani. Non sale su quell’auto da 28 anni ed i ricordi riaffiorano prepotenti con il loro carico di emozioni. Alla guida, nonostante tutto, è abbastanza disinvolta. “Perché questa macchina l’ho guidata molte volte”, mi dice. Quando stiamo per imboccare il tunnel che porta alle rotative mi confessa che non sa se ce la farà a non piangere. La rassicuro che certamente non lo farà, ma che quand’anche dovesse succedere sarebbe la cosa più normale che le potesse accadere. Entriamo nel tunnel e qui la folla, i giornalisti ed i flash dei fotografi sono tornati ad essere tanti. La Méhari viene letteralmente avvolta dalla folla e Daniela, almeno fino a quando non la perdo di vista, riesce a non piangere. La sera mi manda questo messaggio: Caro Paolo, ti ringrazio immensamente. Mi hai dato forza e serenità, davvero. Anche perché pensavo che al mio posto sarebbe dovuto esserci Giancarlo e proprio non riuscivo a farci i conti con questa cosa. Sono stata fortunata ad avere te al mio fianco.
La Méhari di Giancarlo ora è tornata. Ognuno ci ha visto quello che ha voluto vederci. Come sempre qualcuno ha voluto polemizzare. Altri hanno criticato chi ci è salito sopra. Molti altri hanno apprezzato l’iniziativa. Altri hanno visto solo un’auto, quella che guidava un giovane di soli 26 anni, con la radio accesa mentre ascoltava le canzoni di Vasco Rossi.
Poi, “In viaggio con la Méhari” di Giancarlo Siani, la sua auto è ripartita ed è arrivata sino a Bruxelles al Parlamento Europeo dove è stata accolta dal Presidente Martin Schulz, passando per la Camera dei Deputati e dal Senato dove è stata accolta dai Presidenti Laura Boldrini e Pietro Grasso. È ripartita in un viaggio che non ha voluto essere, come alcuni avrebbero voluto, un circo equestre, dove tutti manifestano la voglia di essere protagonisti o una giostra, dove in molti aspettano di salire. In viaggio con la Méhari è stato un percorso all’insegna della libertà di stampa, in memoria dei giornalisti uccisi dalle mafie e dei tanti cittadini uccisi innocentemente dalla criminalità. È stato un viaggio per far riflettere sulla necessità di un cambiamento, di una presa di coscienza di un problema, quello delle mafie, della corruzione, della libertà di stampa e dei diritti delle persone vittime innocenti della criminalità da affrontare. Molti politici vorrebbero accaparrarsi questo simbolo, ma sappiano che non gli servirà esporlo nelle sedi istituzionali nazionali o comunitarie per sentirsi apposto con la coscienza. Occorre che prendano vera consapevolezza che le mafie, la corruzione, la libertà di stampa e i diritti delle vittime sono problemi che si affrontano nei Parlamenti, con leggi serie che vadano nella direzione del vero contrasto e del vero cambiamento. Sì, perché la lotta alla mafia si fa varando leggi rigorose e mettendo in capo politiche sociali e per il lavoro e non con i proclami, con le passerelle o peggio ancora con la propaganda. Resto convinto che né sopra né intorno alla Méhari ci debba essere posto per i teatranti della legalità. Lo stesso Giancarlo non lo vorrebbe.
Poi la Méhari si è fermata al Palazzo delle Arti di Napoli, dove l’architetto Antonella Palmieri (molto vicina a Giancarlo ed alla sua famiglia) ha allestito una mostra sui giornalisti minacciati e sulla figura del giovane cronista. Intorno alla Méhari si è realizzato un intenso programma di dibattiti sui temi della libertà di stampa e della legalità, che ha visto alternarsi numerose personalità del mondo della cultura, tra i quali spiccano Peppe Lanzetta ed Erri De Luca e Giulio Cavalli, un altro intellettuale costretto a vivere sotto scorta perché nei teatri racconta le mafie. Nel frattempo si è aggiunta un’altra tappa molto significativa, quella del 30 settembre scorso a Palazzo Serra di Cassano, quando l’auto sulla quale Giancarlo Siani fu ucciso, è entrata nel cortile dell’Istituto italiano per gli studi filosofici dove è salito a bordo Gerardo Marotta, l’uomo che più di ogni altro è stato l’espressione più alta della cultura napoletana, italiana ed europea, che sventolando il cofanetto degli scritti di Giancarlo Siani ed il libro che racconta la storia di un altro uomo coraggioso che la lotta alla camorra l’ha fatta veramente, quella dell’ambulante Federico Del Prete.
Adesso, senza rischiare di cedere alle lusinghe di quanti vorrebbero trasformare questo viaggio in una sorta di processione della Madonna dell’Arco (con tutto il rispetto per i devoti di questa santa), il viaggio dovrà continuare. Dovrà continuare, ma solo per dire che il Paese deve cambiare e che occorre adottare provvedimenti seri per garantire la libera espressione della stampa, per l’adozione di misure che impediscano alle mafie di governare il Paese e per riconoscere alle vittime il significato, valore e i diritti finora negati.
Sono passati 29 anni e Giancarlo Siani vive. Vive nelle iniziative di tanti giovani, che nonostante non l’abbiano mai conosciuto ne hanno fatto una bandiera di impegno civile. Buon compleanno Giancarlo!
Ancora oggi è un esempio comportamentale per i giovani giornalisti che si formano presso il nostro periodico mensile…La società non ha bisogno di eroi… ma di esempi positivi … Giancarlo lo è ancora. Grazie