Appunti di un diario collettivo
Dopo la sentenza della Cassazione sull’affidamento di un figlio alla madre lesbica
– Pronto, Fabio?
Quella mattina, prima di leggere sui giornali la sentenza della corte di Cassazione, mi era arrivata la telefonata di questa mia vecchia amica di cui vi racconterò fra un poco.
Questa telefonata inaspettata, un po’ maldestramente mi aveva messo l’ansia di scrivere qualcosa, come se qualcuno si aspettasse da me un’azione, un’azione che “religiosamente, e lo sottolineo per ironia, doveva prodursi qui e ora.
La mia amica, la mia anziana amica mi conosceva da piccoletto, aveva in qualche modo seguito tutta la mia “sformazione” da cattolico ortodosso a laico più pazzo che mai.
Da giovinetto ad ora, a parte una frequentazione periodica e iniziale di un paio di anni, ci eravamo visti tante volte, ma sempre in modo inaspettato; i nostri incontri per strada erano sempre casuali, ma di volta in volta mi rendevano il piacere dell’amicizia.
Lei oggi ha più o meno ottanta anni, e io più di quaranta. E per ricordamelo scrivo diciotto dopo il mio coming out: da ganzo sciupafemmine a gay dichiarato.
Perciò quella mattina, aprendo il motore di ricerca, sono andato a leggermi la notizia della corte di Cassazione.
Il diritto all’ affidamento, penso leggendomi la notizia, è solo una delle questioni che hanno a che fare con la vita reale di tante donne e uomini in Italia. Con la mia e con la tua che leggi.
C’è anche il diritto alla vivibilità, alla visibilità, a non essere discriminati, a non dover dissimulare stile di vita per non dovere essere licenziati nel lavoro, o per essere semplicemente assunti come tutti.
Il diritto alla visibilità, le nuove generazioni lesbiche e gay in Italia a mio avviso se la sono un po’ dimenticato. Perchè è un diritto che non serve, che non funziona in un sistema sociale come al nostro. Perchè non serve? Perchè prima o poi ti può relegare all’esclusione.
Questo però è un giudizio di parte, che va confrontato con la vita singola di ognuno, e con i veloci cambiamenti collettivi. Ed io di professione non faccio il sociologo ma il volantinatore.
Poi c’è anche la questione della violenza di ogni giorno, quella dell’intolleranza culturale, o quella straodinariamente reale delle botte di ogni genere, in una strada solitaria, o in un pub, o allo stadio, negli angoli della città dove il diritto ha a che a fare con la sopraffazione.
Mi giudicherete drammatico. Vi sfido a vivere due decenni in un quartiere di periferia catanese con la gente che ti ha visto andare a vent’anni in televisione, a trenta a fare il cameriere, a quaranta con uno zaino per le strade a spartire pubblicità.
E comunque, con questi toni pressocché drammatici (“ah ah” avremmo scritto in chat), io faccio questa domanda: “Quando, nel nostro paese, il termine gay indicherà davvero una felicità sociale e solidale per tutti? Ma ora torniamo all’oggetto iniziale, alla sentenza.
Leggendo e rileggendolo, mentre scrivo, lavoro, torno a casa, cucino, chatto su skype, lavoro con Antonio ed Andrea e gli altri alla pagina facebook LGBTQfobia?nograzie e telefono con gli amici, mi domando perché, perché mai fino ad ora nessuna legge per la tutela di uomini e donne, perchè le proposte di legge fino ad ora non sono state approvate, la vita e le relazioni ferme all’interno degli spazi privati, e solo rese come fatto mediatico, o come appartenente alla politiche dei movimenti.
Questi diritti appartengono a tutto il paese, così come tutte le altre battaglie per la trasformazione politica dell’Italia.
Allora penso che prima del matrimonio gay in Italia avremo molti figli di coppie lesbiche e gay, figli che hanno per la legge un solo genitore, e che ancora non possono essere adottati dall’altro compagno. Senza il passaggio da compagni a coniugi perderanno il diritto alla tutela globale, queste nuove generazioni. Questo passaggio non sarà indolore, e non lo è stato – implicitamente o no – per tanti fino ad ora.
Ma ritorniamo alla telefonata che mi ha svegliato qualche giorno fa, per spiegarvi la mia ingenua felicità a proposito della sentenza. E allora:
– Pronto, Fabio.
Segreto svelato, l’anziana amica è la mia vecchia catechista di cresima. Si chiama Ida, e ha pressapoco ottanta anni. Ha gli occhi allegri e quando la vedi ti ricorda Papa Giovanni se fosse stato donna.
“Pronto Ida!”.
– Pronto Fabio! Come stai, stai scrivendo? Stai lavorando? Come sta il fidanzato? Salutamelo, guarda che stiamo diventati vecchi, riguardatevi!
La telefonata finisce brevemente, e a me viene in mente quel dialogo di qualche mese fa con Gabriele, uno dei miei cari amici dell’adolescenza, che oggi fa il francescano dove vuole Iddio.
– Fa Fa, quando lo fai un figlio?.
“Gabri, ma mi devo ritrovare con lo zito prima, e poi c’è bisogno di un’amica con cui farlo il figlio; e le spese e l’inseminazione, tutta sta cosa qui ah ah . Banalizziamo, dai!
– Fallo, che stai diventando vecchio!”.
“ E lo faccio, lo faccio come? L’ultimo problema è che il compagno sta a Monaco, in Germania, ma figli virtuali ancora no, vero? E che cazzo, mi traferisco! Si?
Non si tratta soltanto di Ratzinger. Io penso a quei comportamenti e le reazioni che si attuano all’interno delle singole parti della Chiesa Cattolica, che creano omofobie e disagi per tutti, oltre che per noi che subiamo un’ esclusione, un rifiuto implicito, ma concretisssimo.
Qui ci vogliano tante donne e uomini come Ida, e Gabriele o l’altro amico prete Giovanni che dal di dentro ai rapporti umani sanno superare quella incapacità intriseca e che sanno spiegare alla gente che ogni relazione di per se è bella e positiva quando è vissuta serenamente.
Poi, oggi in Italia la Corte di Cassazione mi dice “no, no non scappare all’estero, qui il diritto c’è”.
Però la politica quando ci metterà a spiegare che il diritto, si si il diritto alla famiglia e ai figli è di tutti? Che siamo dentro alla Costituzione, e all’Europa dei popoli e dei diritti?
Lo sappiamo bene che in ogni stato, il diritto e la vita della gente viaggiano con tempi diversi, ma qui in Italia, bisogna passare dal giudizio della Cassazione all’estenzione del diritto al matrimonio, e all’adozione come un fatto sistemico, intregato con la vita della gente e del paese.
Qui, in Italia non abbiamo solo bisogno di cambiare il diritto, ma anche il disagio di una pressione che viene da quella parte della Chiesa, che non vuol cambiare.
Qui in Italia non basta solo il si della Cassazione. Ci vuole una affermazione di esso dentro la politica dei partiti. Prima ancora quel si sincero della società civile. E infine il nostro, quello della nostra mente, e delle nostre azioni specifiche, che ci mettono in condizioni di affrontare un processo di cambiamento.
In questi giorni, me la sono discussa con un tanti amici. Vorrei finire con due riflessioni, la prima è di Luigi Malerba ventisei anni; questa è una parte del suo diario, postato nel suo blog, e risponde alla domanda “che ci manca come gay e come giovani, in questo paese”.
“In teoria non mi manca nulla. Ho un lavoro, ed ho pure la fortuna che faccio il lavoro che desidero. Ho una famiglia e sto bene e non ho problemi nè di salute nè di altri tipi. Ho degli amici, non tantissimi, ma nemmeno pochi; anzi penso che siano proprio il giusto. Con loro mi diverto e anche adesso che son lontano li sento ancora come se ogni sera ci stiamo mettendo daccordo per uscire, per spassarcela. E potrei continuare questa lista inserendo tantissime altre cose scontate, passando dalla buona salute ad altre banalita che non voglio nemmeno soffermarmi, non perche non voglio pensare chissà che e non voglio nemmeno piangermi addosso. Voglio solo riflettere perche alle volte dentro di noi sentiamo certi vuoti. Ci manca cosa? L’affetto di una persona al nostro fianco? Ci manca l’amore? O forse è solo colpa di questo brutto tempo?”.
La seconda è di Guido Alabiso, che vive a Bergamo. Eccola qui:
“Io ho sofferto da sempre nel dover accettare il fatto di non diventare padre; io un figlio lo adotterei subito se potessi, anche se sarebbe difficile e complicato farlo crescere e vivere nella nostra società. Ma ammetto che dell’ultima frase non ne sono pienamente convinto. Perchè sulle mie spalle ho provato che ad essere se stessi si riceve sempre tanto bene”.
Scheda
LA SENTENZA 601
La Prima sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 601, ha affrontato il caso dell’affidamento di un figlio. La Corte d’appello di Brescia, con la sentenza del 26 luglio 2011, aveva affidato il bambino alla madre. Il padre si era opposto, con la motivazione che l’ex moglie conviveva con una nuova partner, e che il bambino sarebbe stato inserito in una famiglia omosessuale con «ripercussioni negative sull’equilibrio emotivo e psichico del bambino». La Cassazione ha confermato l’affidamento esclusivo alla madre, evidenziando che alla base delle lamentele «non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale».
Daniela Tomasino
Arcigay Palermo