Antimafia e politica Lo Stato ha “trattato” sempre. Prima, durante e dopo
Davvero l’antimafia”non ha politica”? Ma la mafia una sua politica l’ha sempre avuta…
“L’antimafia non è nè di destra nè di sinistra!”. Sbagliato. L’antimafia nasce nettamente di sinistra, anzi – poiché a quei tempi la parola “sinistra si usava poco – direttamente “comunista”.
Sono già comunisti, negli anni ’20, Nicolò Alongi e Giovanni Orcel, il sindacalista contadino e quello metalmeccanio ammazzati dalla mafia. E sono “socialcomunisti”, dal Quarantatrè in poi, tutti i militanti antimafia – Accursio Miraglia, Placido Rizzotto, Turiddu Carnevale… – assassinati a decine dai mafiosi di allora, come anche i grandi e popolarissimi leader (Mommo Licausi, Michele Pantaleone) dell’antimafia di quel periodo.
Il motivo è semplice. La mafia, allora, era in sostanza il braccio armato dei latifondisti; e i partiti socialista e comunista riunivano soprattutto i contadini poveri e i braccianti. Lo scontro era frontale. Ed era uno scontro senza mediazioni. Anche in altre parti d’Italia le lotte sociali erano dure e a volte sanguinose. Ma in nessun’altra regione esisteva un’organizzazione padronale armata come la Cosa Nostra dei primordi.
La mafia, per la cultura ufficiale, era “un’invenzione dei comunisti per diffamare la Sicilia”, come dichiarò a un certo punto un cardinale e la stampa antimafia si limitava a “il L’Ora”, il giornale comunista. C’erano eccezioni: ad esempio Pasquale Almerico, un sindaco Dc, fu ucciso nel ’57 per essersi opposto all’ingresso dei mafiosi (che allora non si appoggiavano su Andreotti ma su Fanfani) nel suo partito. Ma erano, appunto, eccezioni.
I filo-mafiosi “in buona fede”
Molti dei filo-mafiosi – coloro che, nell’ansia di contrastare il “comunismo” sostenevano più o meno apertamente il sistema mafioso – erano persone perbene e in buona fede. Ma erano mossi in primis da un’antichissima concezione classista, di disprezzo totale verso i viddani, creature subumane da tener lontano da qualsiasi contatto con la politica e le faccende “civili”: a fine ‘800, dopo una sommossa contadina, i proprietari terrieri della provincia di Caltanissetta firmarono una petizione per impetrare dal governo l’abolizione dell’istruzione elementare obbligatoria (da poco introdotta) che instillava idee di “novità” ai figli dei contadini.
In secondo luogo, i galantuomini erano mossi da un anticomunismo paranoico, senza mezze misure, per cui qualunque organizzazione di sinistra, anche la più moderata, non era che l’anticamera di una feroce tirannia: non avversari politici, ma nemici da combattere a morte, con ogni mezzo. Lo stalinismo degli anni ’30 in Russia – va detto per equità – era stato effettivamente una dittatura feroce, per quanto difficilmente apparentabile ai “comunisti italiani.
La mafia al centro
In terzo, ma non ultimo, luogo la Sicilia allora era un avamposto di guerra. La terza guerra mondiale, fra l’America e la Russia. L’isola, proprio al confine fra i due imperi, era appena stata strappata dagli americani ai nazisti con perdite gravissime, e usando anche mezzi poco ortodossi, fra cui la mafia. Gli americani, che vedevano l’intera faccenda su un piano non politico ma militare, erano decisissimi a tenere la posizione impiegando, anche stavolta, qualunque mezzo.
Questi tre fattori – la lotta di classe fra latifondisti e bracciani, la lotta politica interna, la lotta militare all’esterno – misero la mafia al centro degli equilibri politici siciliani. Siciliani, bisogna precisare, non nazionali.
I rapporti fra i boss mafiosi e Andreotti, acclarati al di là da ogni dubbio dalle inchieste di Gian Carlo Caselli, erano in questo senso fisiologici. Non erano una tabe personale di Andreotti.
Giolitti – cinquant’anni prima – fu accusato non senza fondamento di essere in Sicilia “il ministro della malavita”.
I fascisti di Mussolini, tolto l’episodio iniziale (e rapidamente rientrato) del prefetto Mori trattarono tranquillamente coi mafiosi. Gli americani li usarono per lo sbarco del ’43, e poi per la gestione dell’Isola conquistata. Fanfaniani e andreottiano ne fecero uno strumento politico ed elettorale.
Lo stesso onestissimo La Malfa, epigono del buongoverno repubblicano, in Sicilia aveva il suo Aristide Gunnella; quando i probiviri del Pri proposero di espellerlo, a essere espulsi furono i probiviri. Nè Andreotti fu l’unico a incontrarsi fisicamente, e sistematicamente, coi boss mafiosi.
Ai boss, libertà di movimento
Il rapporto mafia-politica era strettissimo, ma geograficamente e istituzionalente limitato. Compito della mafia era: a) “fare le elezioni” in Sicilia per i partiti di governo; b) uccidere o altrimenti mettere in condizione di non nuocere gli oppositri del latifondo, cioè i “comunisti”; c) presidiare militarmente l’Isola in appoggio ai presidi ufficiali (non solo le Forze armate americane e italiane ma anche i vari Gladio, Stay Behind e copagnia armata) nell’eventualità di una qualsiasi emergenza.
Ai mafiosi, nel cambio, veniva concessa una certa libertà di movimento dell’Isola, e in ispecie nella sua parte occidentale. Sindaci ed altri importanti esponenti vennero tratti direttamente dalle loro file; magistratura e forze dell’ordine vennero sostanzialmente dissuase dall’applicare la legge nei loro riguardi.
Tutto ciò riguardava l’Isola, e non doveva oltrepassare lo Stretto: cosa che nè i mafiosi erano proclivi a chiedere, nè i politici a prendere in esame. La “trattativa” era limitata, ma era permanente.
Gli omicidi dei “comunisti”
E arriviamo così, in un quadro tranquillo e senza scosse – salvo le decine di omicidi di “comunisti” o di violatori del controllo territoriale – fino alla metà degli anni ’70: quando quasi contemporaneamente si verificano tre fenomeni, indipendenti fra loro ma infime convergenti.
Il primo è l’urbanizzazione della Sicilia dagli anni ’60 in poi e lo spostamento del baricentro sociale dalle immense campagne dei latifondi alle città che rapidamente crescevano insieme alla Regione.
Il controllo dei latifondi diventò secondario, per i boss più avveduti, rispetto alle succulente speculazioni edilizie delle città, dove rapidamente si svilupparono violentissime “guerre di mafia” (per esempio, a Palermo, la strage di viale Lazio) per il controllo degli appalti.
Il monopolio dell’eroina
Il secondo elemento è l’apertura – di solito per opera di componenti più moderne di Cosa Nostra – di nuovi e più redditizi mercati dei traffici di droga. Questi ultimi, nella mafia tradizionale, erano stati una componente accessoria e non centrale; per lo più si trattava di rifornire via Palermo i mercati americani.
Fra la metà e la fine degli anni ’70 venne intensificata (grazie anche alle strutture paramilitari americane sul posto) l’acquisizione di morfina-base dal Triangolo d’Oro ai confini della Thailandia; venne aperto un massiccio mercato europeo; venne istituito (soprattutto grazie agli emergenti catanesi) uno stretto rapporto coi fornitori di Cocaina della Colombia e di morfina-base della Turchia; venne sviluppata una rete di “raffinerie”, per lo più in Sicilia, in cui la morfina-base veniva trasformata in quantitativi industiali di eroina pronta per la distribuzione.
La Sicilia diventò rapidamente monopolista quasi assoluta di questa importante sostanza, nel cui mercato assunse una rilevanza pari – ad esempio – a quella del Giappone per le elettroniche.
Tutto questo trasformò radicalmente non solo le strutture di Cosa Nostra, ma anche la figura tipica del boss mafioso: dal vecchio “uomo di rispetto”, non ricchissimo, forte soprattutto di una lunga e riconosciuta capacità di mediazione, si passa un un nuovo tipo di boss, basato più sui gruppi di fuoco che su un’autorevolezza accumulata negli anni, e soprattutto straordinariamente dotato – grazie al monopolio di fatto dei traffici di eroina – di capitali liquidi, che gli davano un peso non solo criminale ma anche politico assolutamente sconosciuto ai suoi predecessori.
Questo significò, fra le altre cose, l’immediato squilibrio del rapporto mafia-politica, in cui la parte debole e periferica assunse rapidamente un ruolo molto superiore.
La crisi della politica Usa
Il terzo elemento di trasformazione dela metà degli anni ’70 è la crisi mediterrana della politica americana. Col senno di poi, si trattò d’una crisi tutto sommato limitata nel tempo e nello spazio; ma l’America in guerra non la percepì affatto così. Le basi Nato francesci buttate fuori da De Gaulle; persa la Grecia con la caduta dei colonnelli; perso il Portogallo di Salazar; in crisi il regime di Franco; in pericolo – con le avanzate elettorali di sinistra del 74-64 – la stessa Italia; e, sullo sfondo di tutto, le effervescenze sociali degli anni ’70.
A che cosa serviva la P2
Non è strano che i circoli responsabili Usa (impegnati, ripetiamo, non in una competizione ideologica ma in quella che secondo loro era una guerra) abbiano battuto l’allarme. E non è strano neanche che, tutti o alcuni, abbiano pensato di ricorrere agli stessi strumenti adoperati, in una crisi italiana analoga, nel 46-47.
E cioè:
– affidamento a settori “affidabili” (o creati ex novo) di Cosa Nostra di un più rigido controllo del territorio;
– infiltrazione massiccia nella maggiore organizzazione semi clandestina, la massoneria (nell’ultima fase della P2, la maggioranza dei nuovi aderenti erano siciliani o operanti in Sicilia; ma già nel dopoguerra tutti i dirigenti separatisti, usati dal governo Usa per premere su quello italiano, erano massoni di alto grado);
– inaugurazione di una fase per così dire “di movimento”, d’attacco, e non di semplice conservazione dello status quo.
L’antimafia degli anni ’80
Questa nuova fase dei rapporti mafia-politica, dalla fine degli anni ’70 in poi, non viene però contrastata principalmente dalla vecchia antimafia “comunista”, che si era intanto allentata per le trasformazioni intervenute nei partiti che le avevano originariamente dato vita.
L’antimafia degli anni ’80, che pur comprende i residui della vecchia (la prima grossa manifestazione antimafia degli anni ’80, per dalla Chiesa, fu ancora organizzata dallaFgci), è prevalentemente u’antimafia nuova, urbana, con una forte componente cattolica e un riferimento “ideologico” alla società civile. Meno perseguitata di quella degli ann ’40-’50, pagò tuttavia un alto ccntributo di sangue. Le sua radici sociali sono nel nuovo ceto medio, soprattutto giovanile, delle città.
Gli uomini della nuova antimafia
Gli uomini della vecchia antimafia furono il contadino comunista, il segretario di sezione, il militante sindacale. Quelli della nuova antimafia lo studente, il magistrato, l’insegnante, il prete di periferia.
Non più “comunista”, l’antimafia restò tuttavia solidamente di sinistra, una sinistra non-partitica, sociale, con un implicito anelito, che non l’abbandonò mai, a produrre soggetti “politici” che tuttavia mantenevano un’autonomia e una diffidenza nei confronti della politica ufficiale.