All’Università di Catania… Mi laureo in Propaganda
Sono stati migliaia gli iscritti all’Università di Catania a ricevere, lunedì 17 settembre, la mail elettorale in cui un giovane, tale Daniele Di Maria, invitava a votare Maria Elena Grassi, dirigente scolastico dell’istituto secondario Lucia Mangano di Acireale, candidata alle prossime regionali in Sicilia per l’Udc, partito che sostiene Rosario Crocetta insieme al Pd.
Una email non richiesta, classico spam elettorale. Solo che questa volta è stata inviata dai server dell’Università di Catania come è ben visibile nel codice della email. Parte il tam-tam sui social network, e la Grassi, sentita telefonicamente sembra sorpresa. Ma si scusa: «I miei sostenitori», sostiene la ormai ex candidata, ritiratasi dalla competizione elettorale proprio a seguito di questo scandalo, «hanno fatto tutto da sé, non ne sapevo nulla, e mi scuso con chi ha ricevuto la mail non richiesta».
Peccato che Daniele Di Maria non sia solo un semplice ammiratore, ma il figlio della Grassi, come scoprono ben presto i ragazzi del Movimento studentesco catanese visitando i locali del Rettorato martedì 18. Le stanze sono piene di santini elettorali della professoressa. Del resto proprio a fianco del rettore Antonino Recca, ex coordinatore regionale del partito della Grassi, lavora Nino Di Maria, marito della Grassi e padre dello «studente» Daniele.
Alcuni studenti denunciano il fatto alla polizia postale e chiedono spiegazioni all’Ateneo, che tuttavia tace. A parlare invece è nuovamente Daniele Di Maria, il figlio della candidata. E lo fa ancora una volta via email. Si difende puntando sulla libertà del web, ma non evita di allegare anche in questo caso il santino elettorale della madre.
Come abbia fatto Daniele Di Maria a utilizzare gli indirizzi email dell’Ateneo è oggetto di una indagine della Procura di Catania. Il sostituto procuratore Michelangelo Patané ha infatti iscritto Di Maria nel registro degli indagati per violazione della legge sulla privacy, un’imputazione che potrebbe costargli il carcere da tre mesi a tre anni
Il rettore: “Una ragazzata”
Come abbia fatto Daniele Di Maria a utilizzare gli indirizzi email dell’Ateneo è oggetto di una indagine della Procura di Catania. Il sostituto procuratore Michelangelo Patané ha infatti iscritto Di Maria nel registro degli indagati per violazione della legge sulla privacy, un’imputazione che potrebbe costargli il carcere da tre mesi a tre anni
L’uso del database dell’università per inviare gli indirizzi sembra tutto fuorché una «ragazzata», definizione usata dal rettore Antonino Recca per archiviare la vicenda. Recca minimizza, si giustifica nascondendosi dietro errate considerazioni tecniche. Ma in realtà la sua difesa fa acqua da tutte le parti.
«Chi si collega dall’ateneo, anche da rete wireless, utilizza i nostri server di posta», spiega Recca in una email inviata ai docenti il giorno successivo allo scoppio del Mailgate. Un’eventualità facilmente smentita dal codice della email che, esaminato da un utente mediamente esperto, mostra chiaramente che il ragazzo non era fisicamente collegato alla rete dell’Università, ma aveva solo usufruito del server email per inviare il messaggio a gran parte degli oltre 50 mila iscritti all’Università di Catania.
Con tanto di autorizzazione
Qualcuno all’interno dell’Università, insomma, ha abilitato l’indirizzo email di Di Maria figlio, garantendogli l’accesso all’intero archivio di contatti dell’ateneo. Ipotesi confermata da fonti interne all’Ateneo e che apre un quadro preoccupante. Perché le normali prassi amministrative di Unict prevedono moduli da riempire e permessi a tempo anche solo per inviare una mail tra gli uffici. E da quando è in vigore il nuovo statuto che centralizza i poteri del rettore «tutte le comunicazioni passano per l’amministrazione centrale», come conferma un docente. Era dunque impossibile inviare l’email, se non con l’intervento dei tecnici d’Ateneo, autorizzati normalmente proprio dall’amministrazione o dal Rettorato. Lo stesso posto dove lavora il padre di Di Maria, marito dell’ex candidata Udc Maria Elena Grassi.
«Nessuno ha avuto accesso ai dati degli studenti», dichiara Lucio Maggio, direttore amministrativo dell’Università di Catania. Una risposta che non esclude altre imputazioni.
«E’ un caso di scuola, tanto che è stato oggetto di parere all’ultimo esame di avvocatura – spiega Luca Caldarella, procuratore legale – Un carabiniere che, sfruttando la sua posizione, accedeva all’anagrafe per individuare potenziali patentati per l’autoscuola di sua moglie al fine di inoltrare materiale pubblicitario».
Funzionari coinvolti?
Se si accertasse la responsabilità di un funzionario dell’università, potrebbe scattare l’accusa di abuso d’ufficio, punito, ricorda Caldarella, «con la reclusione da sei mesi a tre anni e il licenziamento». La polizia postale di Catania, su ordine della Procura, starebbe indagando proprio in questa direzione.
In attesa della verità giudiziaria, il Movimento studentesco catanese chiede di «conoscere le responsabilità del Rettore nella vicenda», mentre l’associazione Arché pone pubblicamente cinque domande a Recca. Una su tutte: «Maria Elena Grassi è la sua candidata?».
Lei intanto s’è ritirata
In realtà la Grassi è ormai un’ex candidata, visto che il giorno dopo la notizia dell’avvio delle indagini, ha annunciato il suo ritiro. «Le polemiche di questi giorni – comunica – mi inducono a ritirarmi dalla imminente campagna elettorale e a continuare a prestare il mio servizio nel mondo della scuola». Secondo la segreteria provinciale dell’Udc si è trattato di «una decisione autonoma».
Ma, come spiega un avvocato penalista – che preferisce restare anonimo – «il ritiro della candidatura servirà a salvaguardare il figlio Daniele Di Maria, nel caso si accertasse il reato di violazione della privacy, e il padre nel caso di una imputazione per abuso di ufficio».
Secondo il legale, venendo meno lo scopo dell’invio della email, ovvero la promozione della candidatura, cade anche il vantaggio derivante dall’occupazione di una determinata posizione all’interno dell’amministrazione. Il caso del Mailgate, dunque, potrebbe essere archiviato senza mai arrivare a un processo.