Abruzzo, il proconsole alla guerra dei colori e i cittadini pagano il conto
Rossa, arancione e gialla. Negli ultimi due mesi l’Italia intera ha conosciuto la classificazione in colori davanti la seconda ondata della pandemia. L’obiettivo nazionale era arrivare ai giorni prima di Natale con tutto il Paese in “zona gialla”. Obiettivo non raggiunto per una regione: l’Abruzzo.
La regione adriatica, governata da Marco Marsilio di Fratelli d’Italia, originario abruzzese ma da tanti anni romano (tanto che molti, soprattutto nelle opposizioni, lo considerano un proconsole meloniano venuto dal Lazio), non avrà un solo giorno nella fascia di rischio più bassa, quella arancione. Il giorno più caotico e bollente è stato sicuramente il 12 dicembre: dopo giorni di scontri con il governo il TAR ha riportato, pochissime ore prima gettando nel caos attività economiche, scuole e cittadini, la regione addirittura in zona rossa. La domenica precedente, due giorni dopo aver avuto gli ultimi dati sui contagi, Marsilio aveva emanato un’ordinanza per trasformare la regione da rossa ad arancione. Provvedimento impugnato al TAR dal governo dopo giorni di scontro con Marsilio stesso.
Due mesi prima, il presidente della Regione Marsilio e l’assessore alla sanità Veri (Lega Nord) hanno affermato che l’Abruzzo stava reggendo meglio di altre regioni l’urto della seconda ondata della pandemia e il numero di posti nelle terapie intensive non presentava nessuna criticità. In meno di due settimane, invece, le criticità e l’emergenza hanno preso nettamente il sopravvento. Il DPCM del 3 novembre, che divise le regioni in 3 fasce di classificazione con gli ormai famosi colori, collocò l’Abruzzo in “zona gialla”. Una settimana dopo la regione finì in zona arancione per essere destinata, a distanza di pochissimo tempo, addirittura a zona “rossa”. Una scelta governativa che Marsilio anticipò di cinque giorni dichiarando che così l’Abruzzo avrebbe anticipato anche il ritorno prima alla “zona arancione” e poi alla “zona gialla”. Non è stato così: l’Abruzzo si è ritrovata per alcuni giorni addirittura ad essere l’unica regione rimasta in “zona rossa”.
L’ultimo decreto governativo per le feste ha portato la beffa finale: la regione che doveva uscire prima ed è uscita ultima dalla zona rossa arriverà all’anno nuovo senza nessun giorno nella fascia di minor rischio e almeno fino al 7 gennaio sarà di fatto isolata. Abbiamo già raccontato in passato la situazione disastrosa, un pandemonio come la definì l’Unione Sindacale di Base durante la prima ondata della pandemia, della sanità in Abruzzo. Queste ultime settimane non hanno visto cambiare sensibilmente il quadro: nei giorni della guerra dei colori ci sono state notizie di ritardi e scarsità dei vaccini anti-influenzali con proteste da parte dei medici, ospedali sotto forte stress, ad Avezzano addirittura allestimento di una tendostruttura che è stata rammendata con soluzioni di fortuna ed evacuata perché ci pioveva dentro come documentato dal giornale online Site.it, scontri tra sindaci e asl per la collocazione dei drive in per i tamponi. Nei mesi scorsi, mentre la seconda ondata della pandemia già stava iniziando ad irrompere a fine estate, i partiti che sostengono la giunta regionale, così come quelle comunali di L’Aquila, Pescara e Chieti fino alle elezioni di settembre, sono stati impegnati a litigare ed egemonizzare le cronache per poltrone e incarichi di potere. Mentre ci si sarebbe aspettati interesse massimo per la riorganizzazione e rafforzamento della sanità, Fratelli D’Italia e Lega si sono preoccupati di liste elettorali, incarichi di assessori e simili. Oltre che, tra le altre, pensare ad occupare 8 milioni di fondi pubblici per un ritiro calcistico.
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