Reato di Vangelo
La storia di padre Carlo, che si schierò con gl’immigrati e per questo venne accusato di essere un “capobanda”
“Sono stato accusato – dichiara padre Carlo poche ore dopo l’assoluzione – di reati gravissimi, ovvero di aver creato un’associazione a delinquere e che avrei dato un contributo essenziale a tale associazione, consentendo l’elezione a domicilio di diversi stranieri. Mi si accusava di aver tratto un ingiusto profitto predisponendo false storie personali e false attestazioni di domicilio. Sono stato in pratica accusato di essere stato coinvolto in quella parte del campo dove giocano le culture e le persone che da sempre ho osteggiato e condannato, dichiarando guerra aperta, senza diplomazia, senza ipocrisia e senza calcoli di convenienza”.
Sono queste le parole che padre Carlo D’Antoni, parroco della comunità di Bosco Minniti, pronuncia poche ore dopo la sentenza che lo assolve da un’accusa ignobile e che conclude una vicenda che aveva amareggiato non solo la comunità, che mai ha avuto dubbi sull’onestà del parroco e dell’opera di accoglienza svolta, ma anche centinaia di cittadini, intellettuali, uomini di fede che, dall’Italia e dall’estero, hanno indirizzato a padre Carlo fax, lettere e mail di solidarietà e stima.
Un appello firmato da artisti, giornalisti, studiosi, scrittori, filosofi ha circolato in rete per tutti i 38 giorni nei quali il prete siracusano è rimasto ai domiciliari. Anche l’indimenticato don Andrea Gallo, nell’apprendere dell’arresto di Carlo, come raccontò a una scuola catanese in visita nella sua comunità, si mise a piangere per l’ingiustizia commessa ai danni di un uomo di fede come lui.
“Mi ha sostenuto l’attestazione di stima – confida il prete siracusano – che incredibilmente mi è arrivata da ogni parte d’Italia. Meno male, altrimenti sarei sprofondato in un gorgo di solitudine nera proprio nel momento in cui scoprivo di essere indagato quale ‘regista’ di una trama perversa di sfruttamento e perversione”.
L’accusa apparve, sin da subito, assurda, priva di qualsiasi fondamento, disorientando tutti coloro i quali conoscevano da vicino quella realtà che da sempre è riparo di poveri di strada, disoccupati, clochard, ex tossicodipendenti e, soprattutto, migranti.
“Un numero considerevole di stranieri – afferma il sacerdote – nel corso degli anni e fino a due giorni dal mio arresto, mi è stato accompagnato in chiesa, in modo informale, da personale della polizia di Stato, assistenti sociali, da personale dell’ospedale cittadino, da dipendenti della prefettura, da qualche assessore comunale. All’improvviso è stata calata un’ombra sulla parrocchia che veniva descritta dal pubblico ministero come un paravento per far prosperare i traffici di una associazione a delinquere con me come capo banda. La gente, i volontari, erano annichiliti, oltraggiati. Quello che più mi ha offeso è stato leggere nell’ordinanza che le mie azioni erano finalizzate al ‘prestigio sociale’ di difensore di poveri e padre di derelitti”.
Gli interrogativi sulle ragioni per cui padre Carlo sia stato arrestato per un reato inesistente, sono ancora tutti aperti, soprattutto considerando il modo in cui l’Ufficio Immigrazione della questura di Siracusa si rapportava alla parrocchia.
Scheda
La Comunità di Bosco Minniti
La Comunità di Bosco Minniti è un’oasi di accoglienza gratuita e solidarietà umana alla periferia di Siracusa, una parrocchia povera ed essenziale anche nella sua architettura. È guidata da padre Carlo D’Antoni, il “prete degli ultimi”, che in 12 anni ha accolto quasi 20mila migranti e poveri di strada, facendo leva soltanto sul suo stipendio, sull’aiuto di fedeli e amici e sul sostegno della diocesi di Siracusa. Il 9 febbraio 2010, Padre Carlo fu arrestato, con l’accusa di aver predisposto false storie personali e false attestazioni di domicilio, ricavandone profitto. Un’accusa assurda, visto che il rilascio di attestazioni di domicilio è avvenuto sempre nel rispetto della legge e con la costante interazione con questura, ministero degli Interni e Unhcr. Dopo 38 giorni di domiciliari, il Riesame di Napoli ne dispose l’immediata liberazione, esprimendo perplessità sull’operato dei colleghi della procura di Catania e sull’accusa mossa a padre Carlo. Il 30 gennaio scorso è finalmente arrivata l’assoluzione per non aver commesso il fatto.