Roma – un reportage
“Una città senz’anima, che ha perso il treno per diventare davvero capitale. Cupa, egoista, provinciale, sporca di una sporcizia immateriale. Una sporcizia morale. Questa la città che ci riconsegna la peggiore amministrazione comunale che si è insediata al Campidoglio dopo quella che si credeva insuperabile del sindaco Giubilo negli anni 80”
Dopo tre anni e mezzo di Era Alemanna
Una città senz’anima, che ha perso il treno per diventare davvero capitale. Cupa, egoista, provinciale, sporca di una sporcizia immateriale. Una sporcizia morale. Questa la città che ci riconsegna la peggiore amministrazione comunale che si è insediata al Campidoglio dopo quella che si credeva insuperabile del sindaco Giubilo negli anni 80. Roma è questo. Oggi. Non era così tre anni fa. E non è solo a causa della crisi, che colpisce duro e non solo la capitale. È colpa di chi si è preso il Campidoglio giocando fin dalla campagna elettorale, in modo incosciente, la carta della paura per gli immigrati. Tutti violenti, parassiti, ladri, stupratori. Nel 2008 Roma era la capitale europea più sicura. Oggi è quello che ci racconta la cronaca.
Il 105. Una torre di Babele su quattro ruote che dalla stazione Termini ti porta fino a Torbellamonaca. Lungo la Casilina, attraversando piazza Vittorio, costeggiando il Pigneto, incrociando Torpignattara. Cingalesi, indiani, somali, tunisini, senegalesi, italiani, cinesi, peruviani. Un coro di mille lingue impastate in un dizionario nuovo di culture. Il 105 è la metafora di questa città che, cambiata dalla storia e dall’avanzare di un epoca nuova, si censura, si nega. Attraverso l’esclusione, la rimozione della realtà e alla fine la violenza.
“Romano, romanista e italiano”
“Sono romano, romanista e italiano”, proclama l’adolescente, il ‘pischello’ con i genitori somali. “So’ nato qua. E l’amici mia so’tutti der quartiere”. Torpignattara. Che ora sembra sotto assedio, ma che fino a poche settimane fa era esempio di integrazione “fai da te”. Che funzionava. Nascosta, negata, rimossa da un’amministrazione comunale che invece di investire su un welfare popolare ha creato tutte le condizioni perché prendesse il sopravvento il degrado, la paura e il sangue. Il sangue che per due giorni è rimasto su quel marciapiede. Il sangue di un padre e di una figlia di sei mesi. Ammazzati per una rapina finita “no schifo”. Dicono che fossero “du pischelli” italiani. Altri parlano di due dell’est. Alla fine la polizia, grazie a una telecamera, li avrebbe identificati: due marocchini. Ma rimane la scena del crimine a rendere chiaro come sia stato possibile che questa tragedia succedesse.
La strada era buia. Ci aveva pensato “er sindaco” a lasciarla così. Da quasi un mese era al buio e nonostante le chiamate di centinaia di cittadini romani non era arrivato nessuno. Come non era arrivato nessuno da mesi per i tombini sfondati, per le buche piene “de zoccole lunghe tanto” (i ratti che popolano ogni luogo degradato). “Ma devi vedè come so’ arrivati subito a mette a posto li lampioni e le buche ‘sti pezzi de merda – ti racconta un ragazzone di Torpignattara doc, che il padre ha pure conosciuto Pasolini -. C’era er sangue fresco ancora pe’ strada ma nun te poi immaginà che prescia che c’aveveno de rimette tutto a posto per le telecamere e li fotografi. Erano mesi che protestaveno tutti, ma qui mica è Roma. Noi potemo pure morì per li cazzi loro. Questa è Torpignatta. Per ‘sti infami nun valemo ‘n cazzo”.
Torni indietro verso il centro e ti ritrovi una delle sale bingo più grandi di Roma dove c’è gente che si brucia i pochi soldi che ha alle slot machine inseguendo un sogno da Las Vegas. Ogni tanto ci scappa una rissa. Vola qualche coltellata, che a Roma da qualche anno sono tornate di moda “le lame”. E le lame le trovi ovunque, non solo allo stadio, ma per strada. E si usano senza pensarci tanto. Qui dove si spinge la coca, dove lo strozzino si piglia le pensioni sociali, dove si organizzano i raid contro i romeni che sono il nemico numero uno “pe’ chi se vo’ fa li cazzi sua”.
E da un anno a questa parte a Roma, e non solo a Roma, c’è chi ha ritirato fuori “er ferro”. La pistola. Ma non per fare una rapina finita male come a Torpignattara. No, a Roma si spara e si uccide, una trentina di morti nel 2011, per il controllo del territorio. Perché a Roma è in corso una vera e propria guerra di mafia, anzi di mafie. Ci sono tutte a Roma. Quelle tradizionali, campane, calabresi e siciliane e pure la “quinta”, tutta romana. Forse figlia dell’eredità della banda della Magliana (e qualche superstite di questa c’è finito, infatti, nella guerra in corso, insieme a qualche ex estremista nero), forse una roba nuova ma che comunque una sua capacità militare, evidente, l’ha messa in atto. Non solo sparando. Non solo con i morti e i feriti e i gambizzati per “lezione”. Ma anche con gli attentati alle aziende che lavorano ai cantieri di “Roma Capitale” (quanti sono i mezzi che si sono rotti o hanno preso fuoco nessuno lo sa) e gli esercizi commerciali che prendono fuoco non certo per autocombustione. E sono tanti.
Ed è tornata l’eroina
Racket, appalti. Tradizione delle mafie. E poi droga. Non solo il “fumo” e la coca che ormai sono mercati stabili e sicuri. Oggi, dopo una lenta penetrazione in provincia, è tornata l’eroina. E con la ricomparsa dell’eroina è scoppiata la guerra per il controllo del territorio. E l’amministrazione comunale che fa? Nega, si defila, per mesi. Aiutata finora da un governo che pur di non toccare il bacino elettorale del presidente della Regione Renata Polverini ha fatto di tutto per non sciogliere il consiglio comunale di Fondi, nonostante le centinaia di pagine di relazione del locale prefetto. Che è stato punito con fulminante trasferimento dal ministro leghista Roberto Maroni. Fondi. La porta di Roma. Dove le mafie si spartiscono gli affari, e lo sanno anche i sassi, fin dagli anni 70.
Poi in strada si ammazza una bambina di sei mesi e suo padre e il sindaco Gianni Alemanno dichiara candidamente che “ci sono troppe pistole in giro”. Ma guarda te che strano. E prima? Quando solo 24 ore prima del doppio omicidio si gambizzava un ex NAR poi Forza Nuova e Casa Pound, implicato nello scandalo parentopoli dell’Atac, sospeso dal servizio per dichiarazioni razziste e reintegrato in silenzio? Prima niente. Episodi.
La violenza è diventata linguaggio in questa città. Con ragazzini che si ammazzano per una lite in un centro commerciale. Con episodi continui contro immigrati e senza tetto che quasi mai vengono denunciati. Con lo spaccio, l’usura, le estorsioni, il degrado, i gruppi neofascisti in gran fermento e riorganizzazione, le sparatorie in pieno giorno e in ogni parte della città anche nei quartieri “bene” della borghesia. E con la crisi economica che sta per dare il suo colpo finale. Creando sacche incontrollabili non di disagio sociale. Ma di disperazione.