Giovane antimafia in rete
Anche qui è arrivata la mafia. Ma siamo pronti a combatterla,tutti insieme
Una regione da sempre multiculturale con in testa il suo capoluogo, Bologna. E’ qui che dagli anni ’50 in poi sono stati portati a “svernare”, boss del calibro di Procopio Di Maggio e Tano Badalamenti, è da qui che parte tutto.
Il resto è storia di ora: otto mafie straniere e quattro italiane, con ndrangheta, camorra e Cosa nostra in testa.
Pippo Fava la definiva la più grande “lavanderia” d’Italia ma sono occorsi più di trent’anni affinchè politica, istituzioni e gente comune iniziassero ad occuparsi realmente del fenomeno mafioso in una delle regione più ricche d’Italia. E’ stato “necessario”, tra l’altro, che un giornalista venisse minacciato di morte (Giovanni Tizian: ctzen.it/2012/01/11/ndrangheta-un-altro-giornalista-sotto-scorta-la-storia-di-giovanni-tizian) e che degli studenti (coordinati da Gaetano Alessi) in collaborazione con l’Università di Bologna, scrivessero due dossier (puro volontariato, ovvio): www.diecieventicinque.it/2012/08/07/ii-dossier-sulle-mafie-in-emilia-romagna .
Le mafie in Emilia-Romagna si sono radicate ma questa è una regione che è riuscita anche a farsi, in parte, dei buoni anticorpi. Esiste una rete di associazioni totalmente libere che all’interno dei loro manifesti hanno messo in chiaro una cosa: “La mafia è una montagna di merda”.
Addirittura l’Università di Bologna, grazie soprattutto alla professoressa Stefania Pellegrini, ha istituito un vero e proprio corso di “mafie e Antimafia” (www.mafieeantimafia.it) e ha dato vita al primo Master in gestione e riutilizzo di beni confiscati alle mafie, intitolato a Pio La Torre
I beni confiscati ad oggi sono 112, buona parte a Bologna e in provincia, e almeno l’8,6 % tra commercianti e imprenditori è coinvolta in attività di prestiti a strozzo.
Parlare di organizzazioni criminali in Emilia-Romagna vuol dire, soprattutto, parlare di grande economia. Un fatturato annuo di 20 miliardi di euro, quasi il 10 % rispetto a quello di tutta Italia
Una regione, l’Emilia-Romagna, prima in Italia per i lavoratori “in nero” e seconda sul fronte dei lavoratori irregolari: sono rispettivamente 7.849 e 16.586. Il 30% delle imprese di autotrasporti (2.599 su 9.083) non risultano proprietarie di alcun veicolo, mentre circa 900 imprese risultano “non titolate a poter svolgere questa attività”. Un settore, quello del trasporto, spartito soprattutto tra ‘ndranghetisti e casalesi.
A Reggio gli incendi dolosi “da novembre sono stati oltre 30” dice Elia Minari, giovanissimo redattore di un coraggioso giornale studentesco, Cortocircuito di Reggio Emilia che il 30 luglio, dopo l’ennesimo incendio di cantiere, s’è recato sul posto con gli altri giovani cronisti: minacciati e cacciati e le attrezzature pestate.
www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/31/reggio-emilia-incendio-in-cantiere-studenti-giornalisti-minacciati-video/672365/
E’ un processo di radicamento lento e costante, silenzioso, che ha portato singoli, associazioni ed enti pubblici ad occuparsi del fenomeno direttamente.
La regione Emilia-Romagna, tra le varie attività di contrasto alle organizzazioni criminali e l’ultima legge sul gioco d’azzardo ha costruito, il progetto “Concittadini”, un percorso mirato a diffondere la cultura della legalità tra memoria e informazione.
Una regione, questa, dove si è formata una piccola rete di singoli e associazioni che collaborano, si scambiano le informazioni, fanno inchieste, vanno nelle scuole a raccontare le mafie.
Da Rimini a Piacenza
Da Rimini a Piacenza, dal Gruppo Antimafia Pio La Torre a “100 x 100 in movimento”, dalla Rete Noname al Presidio Universitario di Libera, dal Gruppo dello Zuccherificio ai progetti di Caracò editore, una casa editrice di impegno civile dislocata tra Napoli e Bologna che proprio qui, grazie a dei percorsi di informazione e teatro riesce a raccontare ai ragazzi cosa sono le mafie e come operano. Dalla prostituzione allo spaccio di droga, dall’edilizia al riciclaggio. Questo e tanto altro raccontano Alessandro Gallo e Giulio Di Girolamo nel loro ultimo libro.
L’antimafia in Emilia-Romagna non è soltanto quella che si oppone alle mafie, quella fatta da giovani e associazioni che stimolano comunità e istituzioni. E’ anche gioia di vivere, è una forte presa di posizione per provare a essere “militanti, non spettatori”.
DAI “SICILIANI” A “DIECIEVENTICINQUE”
GIORNALI CONTRO: TRENT’ANNI, PIU’ DUE
Metti un Direttore che non è mai cambiato, gli amici, i colleghi di una vita, l’amata Sicilia e un’Italia ancora da fare. I giovani di prima, ora cresciuti, e quelli di dopo: noi.
Metti Riccardo che c’è e quasi quasi si nasconde dopo aver chiuso il palinsesto. E poi Giovanni con il Gapa, che è qualcosa di simile ad una brigata partigiana. Un’allegra banda di giornalisti e “scassaminchia” sparsi per l’Italia che credono fortemente nell’Articolo 21 della Costituzione, macchiati di quello Stampo antimafioso che respira di libertà, movimento, verità. Tutti Clandestini (con permesso di soggiorno) sparpagliati nel paese con l’Antimafia nel cuore. Figli di una stessa Mamma, fatta di satira e verità, conosciuta ai tempi de iCordai.Uomini e donne d’altri tempi, uniti da un forte senso di giustizia e dello Stato che li rende uguali e fratelli, da Palermo ad Aosta. Qualcuno come Giancarlo è stato al sud, qualcuno invece viene Da Sud, e altri, come Giulio, sono nati in Lombardia. Lì, i ragazzi di Nando hanno dato vita ad un’enciclopedia, Wikimafia. Come nelle Agorà dove si da voce a chi ha qualcosa da dire. Una Generazione (zero) mai stanca, che corre, lotta. Anche La Domenica. Una Liberainformazione per una pubblica verità, fatta di inchieste e Reportage, che da il volatore di Marsala passa in quella città dove le lancette della stazione sono rimaste ferme, bloccate alle Dieci e Venticinque. Anche oggi, nell’era del Citizen journalism, con la Periferica per i lettori che è cambiata e si è adattata ai tempi. Ma questa come direbbe quell’uomo con i baffi di Telejato, è un’altra storia.
E’ il Direttore che tiene il filo di questa rete, come il racconto (‘u cuntu) di una storia molto più lunga di questi trent’anni che ci dividono. Una storia che torna a Catania, ogni 5 gennaio, dove si ferma, per poi ripartire e crear coscienza, come sempre.
(S.Ogn.)