Non mollare
Nel ’93, tornarono i Siciliani…
Allonsanfàn
Un giorno d’autunno del 1943, su una montagna vicino Genova poco oltre il Bisagno, quattro uomini s’incontrarono per fondare il movimento partigiano in Liguria. Erano un operaio di Sampierdarena, un appuntato sardo dei Regi Carabinieri, un soldato della provincia di Agrigento e un antifascista genovese con sei anni di carcere alle spalle. Il soldato aveva con sé due moschetti sottratti all’armeria del reggimento, l’appuntato una vecchia rivoltella; sedici colpi in tutto.
Lontano, nelle città, vecchi notabili e gerarchi “dissidenti” ordivano improbabili manovre per salvare quel che si poteva del regime; i generali preparavano già gli abiti borghesi per la fuga; tedeschi e fascisti venivano tranquillamente avanti, fra i bombardamenti e lo sbando. Passarono gli anni. Il venti aprile 1945, il presidio tedesco di Genova si arrese alla Divisione garibaldina “Pinan-Cichero”. Dei quattro, uno soltanto era sopravvissuto fino a quel punto. Ed è stato lui a raccontarci, molti anni più tardi, questa storia.
Non servono grandi parole, nell’anno di grazia 1993, per spiegare perchè tornano “I Siciliani”. Caduto Craxi, fuggito Andreotti, naufragati i tentativi golpisti di Cossiga e quelli “rinnovatori” di Martelli, siamo all’otto settembre. Non ne usciremo con improbabili alleanze, più o meno ribollite, di vecchi notabili e gerarchi. Se ne esce con una Resistenza.
Noi, questa parola, la possiamo usare. Abbiamo avuto tredici anni di tempo per misurarne il significato, per pagarne i prezzi, per comprenderne il peso. Sappiamo cosa vuol dire: ribellione, e unità.
Abbiamo visto migliaia di palermitani, nelle giornate di luglio, sollevarsi spontaneamente contro il potere mafioso: decine di migliaia di operai, a ottobre, scendere di forza in piazza per il loro pane. Se i leader antimafiosi, divisi da antiche liti, avessero saputo raccogliere la sfida – se i capi degli operai, sindacalisti e Cobas, “estremisti” e moderati, fossero riusciti a trovare un minimo d’unità – se avesse potuto incontrarsi, la collera popolare, dal Nord al Sud!
Tante cose si muovono, dopo tredici anni. Noi possiamo tornare in edicola oggi con “I Siciliani” anche grazie all’esistenza di un giornale libero e autogestito come “Avvenimenti”: che a sua volta difficilmente avrebbe potuto crescere se non avesse avuto alle spalle l’esperienza dei “Siciliani”. Oggi contiamo sull’aiuto, in quaranta città, di un movimento giovanile come “L’Alba”; che è nato e si è sviluppato, quest’estate, riprendendo elementi dei Siciliani-Giovani degli anni ottanta. Abbiamo fra i nostri primi interlocutori testate e associazioni come il Coordinamento antimafia di Palermo, Società Civile di Milano, la “Voce della Campania”, e altre ancora; ciascuna di esse ha imparato qualcosa dai “Siciliani”, e da ciascuna a nostra volta abbiamo imparato qualcosa. Decine di giornalisti, e centinaia di militanti civili, in giro per l’Italia sono nati in quegli anni. E’ il momento di unirsi, diciamo a tutti loro, di fare qualcosa di più grande ancora.
Si vedono tante cose, in tredici anni. Si vedono funerali di Stato – i mandanti, diceva Giuseppe Fava, schierati compuntamente in prima fila -, si vedono funerali di serie B, con pochi amici attorno e una rabbia immensa. Si vedono Chinnici e Cordova che lottano, traditi dai loro stessi governi, senza illusioni e senza paura. Si vede il ragazzo Robertino Antiochia che torna in Sicilia per morire, come un partigiano di Vittorini, accanto al suo amico Cassarà. Si vede Rosario Di Salvo che quando sente la moto dei killer tira fuori la pistola e muore sopraffatto dai mitra accanto a Pio La Torre, combattendo. Si vedono i liceali di Palermo, in quel durissimo inverno dell’ot- tantatré, che difendono contro i politici Falcone, e sono i soli. Si vedono accademici e scrittori, siciliani d’anagrafe, che voltano dall’altra parte lo sguardo e disquisiscono sulla Sicilia “irredimibile” nei salotti. E operai e gesuiti, e giudici ragazzini e professoresse e bancarellari della Vucciria e poliziotti: e dietro a loro, dispersi sulla faccia del mondo, milioni e milioni di esseri umani nati in Sicilia che cercano, per un giorno ancora,di vivere umanamen- te, di guadagnarsi onestamente un pane.
Queste sono le nostre radici. Per esse, nel momento in cui il nostro progetto si fa nazionale, riteniamo di conservare, una volta ancora, il nostro vecchio nome di “Siciliani”. Sicilia come frontiera, Sicilia come memoria, ma soprattutto Sicilia co- me luogo simbolico dello scontro italiano.
“Ma che c’entro coi Siciliani io che sono di Milano?”. E che c’entravano con la Marsigliese – a quei tempi – i cittadini di Parigi?
Allons, enfants…
I Siciliani
(marzo 1993)