giovedì, Novembre 21, 2024
-mensile-

Tutti a scuola!

Scrivere e lavorare coi ragazzi

E’ estate inoltrata, quando in una giornata di quelle calde e appiccicose un’allegra marmaglia si riunisce. E’ la redazione catanese dei Siciliani giovani. Si devono discutere le iniziative per l’anno venturo, con molte scadenze im­portanti di fronte. C’è anche da pensare a come ricordare il Di­rettore. “Sono già passati trent’anni”.

Bisogna organizzare qualcosa di diver­so, essere concreti e pratici. L’idea è di per sè ovvia, quasi scontata guardando il nome della nostra rete. Bisogna andare nelle scuole, tra i giovani.

E a scuola ci siamo andati veramente. “Chiami tu la professoressa? Io cerco di fissare un appuntamento con il dirigente scolastico. Speriamo non ci facciano trop­pi problemi.” “io vado al Majorana”. “Ot­timo, io parlo con la mia ex prof al Bog­gio Lera.” “Com’è andata?” “Alla grande, i ragazzi ci sono, possiamo partire.”

Ed è così che ci troviamo catapultati tra banchi e lavagne, a raccontare chi era Fava, quale fosse il suo modello di gior­nalismo, cos’era Catania negli anni ’80 e cosa è diventata adesso. In quelle aule, in maniera ingenua, raccontiamo di impren­ditori che vivevano in ville circondati da piccoli eserciti con mafiosi e politici a loro copertura, che ne garantivano così il successo economico.

Parliamo di una cosa, la mafia, che a quei tempi per alcuni gior­nali esiste­va e per altri no, di una magi­stratura che non in­dagava su chi doveva in­dagare e che si lasciava depistare da un giornalismo di infima vigliaccheria e op­portunismo.

Un drappello di giornalisti

Raccontiamo di una lotta tra quattro ca­valieri e un drappello di giornalisti, dove sullo sfondo si affacciano mafiosi che non vogliono che il loro nome finisca sui gior­nali e politici pronti a difendere sia mafio­si sia cavalieri.

Gli occhi degli studenti si riempiono di stupore, tra letture e video interviste. Sembra proprio che per loro, seduti sulle loro sedie, sapere che la mafia non è solo il brutto ceffo con la pistola è una scoper­ta. Ora sanno che la mafia è anche altro. Lo sa Maria che dice di essere venuta per­ché le piace scrivere, lo sa Filippo che, con aria impacciata, afferma che la mafia semplicemente non gli piace.

Quello che sappiamo sui cavalieri del lavoro, Rendo, Costanzo, Finocchiaro e Graci, quello che è stato scritto sulla guer­ra di mafia tra i Santapaola e i Ferlito, quello spicchio insanguinato della storia di Catania e di tutto il paese, lo dobbiamo all’attività giornalistica di un gruppo di uomini e donne che prendevano il nome de I Siciliani e al loro direttore, Giuseppe Fava.

Ma se adesso grazie a quella meravi­gliosa esperienza di verità e di libertà ab­biamo imparato a conoscere il vero fun­zionamento del potere, sappiamo an­che che i cancri da questa terra non sono stati estirpati. Anzi, continuano ad avvele­nare le trame più profonde del paese, diventand­o endemiche, invadendo ambiti territoriali prima inconcepibili. Dopo averlo spolpato, le mafie hanno valicati i confini del meridione, estendendosi in tut­ta Italia.

Gli insegnamenti di Fava ci hanno for­nito degli strumenti preziosi, quanto mai attuali, per continuare a smascherare la corruzione e il malaffare, per snidare la menzogna dove si incontrano sprezzanti “qui la mafia non esiste”, così come si fa­ceva a Catania trent’anni fa, quando chi non esisteva decidette di piantare cinque pallottole in testa a chi cercava di dimo­strarne l’esistenza.

La maniera migliore di ricordare Fava

La maniera migliore (e più utile) per ri­cordare Giuseppe Fava è lavorare e scri­vere assieme a decine di ragazzi e ragazze nelle scuole, costruendo gruppi di studio, spiegando loro quel giornalismo particola­re, appassionato, profondo, del quale Fava è stato raro esempio.

Tornamo a raccontare la società dal bas­so, dallo sguardo di chi la vive, partendo dal particolare fino ad arrivare al genera­le. Forse abbiamo piantato dei semi, e speriamo che questi germoglino. Giovani menti che rifletteranno e raccoglieranno dati e informazioni. Nuove sentinelle, in una Catania così simile a quella che trent’anni fa uccise Giuseppe Fava, con lo stesso monopolio dell’informazione, con la stessa collusione tra politica e affari, sempre sull’onda di una speculazione edi­lizia che sembra non finire mai.

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