Raccontò il “terzo livello”
Il cavaliere Costanzo in Emilia. Finanziato dallo Stato. Ma smascherato dai “Siciliani”
Pippo Fava non era conosciuto solo in Sicilia, io sono emiliano, di Bologna e dalle mie parti il fondatore de “I Siciliani” era noto perchè ci aveva aiutato a identificare le famiglie mafiose arrivate al Nord, quelle del “salto di qualità”, dal commercio della droga erano passate agli affari “leciti”, infiltrate nel tessuto economico dell’Emilia-Romagna per poi invadere il Nord Italia.
Fu all’inizio degli anni Ottanta che nella nostra regione cominciò ad accadere quello che per la Sicilia, la Calabria e la Campagna era all’ordine del giorno: l’omertà. Da noi si andò anche oltre al silenzio, si arrivò alla negazione dei fatti.
A Bologna era avvenuta una vicenda clamorosa. Un’impresa di costruzioni, i Fratelli Costanzo, aveva vinto l’appalto dell’ampliamento dell’aeroporto. Un appalto, ancora in lire, super miliardario.
Durante una mia inchiesta scoprii che nella regione non era mai stata applica la legge antimafia sugli appalti (Rognoni-La Torre), in vigore dal 1982, che se messa in atto, avrebbe reso inaccettabile l’offerta della ditta catanese.
I rapporti fra Santapaola e Costanzo
Fava aveva scritto su “I Sicilani” che Carmelo Costanzo, uno dei due fratelli, teneva rapporti con il boss della mafia Nitto Santapaola (condannato poi all’ergastolo per essere stato il mandante dell’omicidio di Fava) e che era uno dei “cavalieri dell’Apocalisse mafiosa”, insieme a Francesco Finocchiaro, Gaetano Graci e Mario Rendo, i cavalieri del lavoro che gestivano l’imprenditoria catanese e siciliana e non solo.
Successivamente nel rapporto presentato all’alto commissario antimafia Sica risultò che la ditta Costanzo lavorava prevalentemente per lo Stato: gli Istituti Autonomi Case Popolari di Reggio Calabria, Caltanisetta, Palermo, Messina; il ministero dell’Interno e quello della Pubblica Istruzione; l’Ente nazionale Energia elettrica; i comuni di Catania e Messina. Per un totale, nel 1986, di 165 miliardi di lire; nel 1987 di 195 miliardi.
Morale, come aveva scritto Fava alcuni anni prima, lo Stato era uno dei maggiori finanziatori della mafia. In quell’articolo il giornalista raccontò, come mai era stato fatto, il “terzo livello del sistema mafioso”, cioè il potere politico.
“I mafiosi veri sono in ben altri luoghi”
Qualche giorno prima di essere ucciso il direttore de “i Siciliani” fu intervistato in tv da Enzo Biagi e approfondendo l’intreccio tra politica, mafia e Stato, disse: “I mafiosi veri stanno in ben altri luoghi, in ben altre assemblee. I mafiosi sono in parlamento, a volte sono quelli ai vertici della nazione (…) Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che ti impone la piccola taglia sulla tua attività; questa è roba da piccola criminalità che ormai abita in tutte le città italiane e europee. Il problema della mafia è molto più tragico e importante, è un problema di vertice nella gestione della nazione che rischia di portare alla rovina e al decadimento culturale”.
Il processo sulla “trattativa”
Sono le stesse parole che rimbombano nell’aula del tribunale di Palermo durante le udienze del processo sulla “trattativa” tra Stato e mafia, che il pm Nino Di Matteo e i suoi colleghi, nel silenzio generale dei media, a rischio della loro vita, stanno portando avanti. Se oggi su quel banco degli imputati tra i mafiosi sono seduti, per la prima volta, politici e rappresentanti delle istituzioni, una parte del merito lo si deve a Pippo Fava.