Settembre
Ogni volta che mi chiedono di scrivere del direttore il mio primo ricordo è questo: siamo sulla riva del mare, da qualche parte sotto Taormina, e stiamo per tuffarci in acqua.
Il cielo è un po’ coperto e c’è vento. Io e Claudio ridiamo lamentandoci del freddo. Il direttore prende tra le mani l’acqua di mare e si bagna il viso. Poi si gira verso di noi e dice: “Non c’è niente di più bello del mare a settembre”. Lo dice nel suo modo veloce di mettere le parole una dietro l’altra, con la voce calda, un po’ velata, che immagino piaccia molto alle donne. Una voce dolce e autorevole.
Poi si tuffa e nuota, un po’ scomposto, ma agile. Io gli vado dietro, e quando siamo al largo, e facciamo il morto tra le onde, lui dice un’altra cosa: “L’acqua fredda brucia il grasso della pancia”.
Questa cosa mi è rimasta impressa più della prima. Da trent’anni, ogni volta che mi tuffo in acqua, se l’acqua è fredda penso: “Bene, così brucio un po’ di grasso della pancia”.
Perché ogni volta che penso al direttore questo è il primo ricordo? Credo sia una cosa che riguarda l‘amicizia.
Ne “La peste”, di Camus i due protagonisti, Rieux e Tarrou, una notte si lasciano alle spalle le mura di Orano, la città della peste, e vanno al mare, si tuffano insieme. Lottano fianco a fianco contro il contagio ormai da tempo, ma è in quel bagno che si riconoscono amici.
Ecco perché ricordo quel bagno in mare, perché è una cosa da amici. Anche noi abbiamo la nostra peste, e la chiamiamo mafia. Ma quel giorno la mafia non è nei nostri pensieri, la teniamo fuori dalle mura e ci regaliamo questo momento di amicizia.
Perciò quando io penso a Giuseppe Fava, prima di pensare alle cose giuste e belle che ha fatto e scritto, a quelle che mi ha insegnato e che abbiamo fatto insieme, a quelle che abbiamo fatto dopo di lui in suo nome, prima di tutto io penso a quella frase: “Non c’è nulla di più bello del mare a settembre”.