giovedì, Novembre 21, 2024
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Settembre

Ogni volta che mi chiedono di scrivere del direttore il mio primo ricordo è que­sto: sia­mo sulla riva del mare, da qualche parte sot­to Taormina, e stiamo per tuffarci in acqua.

Il cielo è un po’ coperto e c’è vento. Io e Clau­dio ridiamo lamentandoci del freddo. Il direttor­e prende tra le mani l’acqua di mare e si ba­gna il viso. Poi si gira verso di noi e dice: “Non c’è niente di più bello del mare a settem­bre”. Lo dice nel suo modo veloce di mettere le parole una dietro l’altra, con la voce calda, un po’ velata, che immagino piaccia molto alle donne. Una voce dolce e autorevole.

Poi si tuffa e nuota, un po’ scomposto, ma agile. Io gli vado dietro, e quando siamo al lar­go, e facciamo il morto tra le onde, lui dice un’altra cosa: “L’acqua fredda brucia il grasso della pancia”.

Questa cosa mi è rimasta impressa più del­la prima. Da trent’anni, ogni volta che mi tuffo in acqua, se l’acqua è fredda penso: “Bene, così brucio un po’ di grasso della pancia”.

Perché ogni volta che penso al direttore que­sto è il primo ricordo? Credo sia una cosa che riguarda l‘amicizia.

Ne “La peste”, di Camus i due protagoni­sti, Rieux e Tarrou, una notte si lasciano alle spalle le mura di Orano, la città della peste, e vanno al mare, si tuffano insieme. Lottano fianco a fian­co contro il contagio ormai da tempo, ma è in quel bagno che si riconosco­no amici.

Ecco perché ricordo quel bagno in mare, per­ché è una cosa da amici. Anche noi abbia­mo la nostra peste, e la chiamiamo mafia. Ma quel giorno la mafia non è nei nostri pen­sieri, la te­niamo fuori dalle mura e ci regalia­mo que­sto momento di amicizia.

Perciò quando io penso a Giuseppe Fava, prima di pensare alle cose giuste e belle che ha fatto e scritto, a quelle che mi ha insegnato e che abbia­mo fatto insieme, a quelle che abbia­mo fatto dopo di lui in suo nome, prima di tut­to io penso a quella frase: “Non c’è nulla di più bello del mare a set­tembre”.

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