Aziende sequestrate e Tribunale Un rapporto fiduciario?
Come vengono gestiti, nell’imediato, i beni sequestrati alla mafia?
Il tribunale di Palermo gestisce circa il 40% di tutti i beni sequestrati per un valore complessivo stimato superiore ai 50 miliardi di euro. Sostanzialmente una finanziaria.
Da mesi ci occupiamo dell’amministrazione giudiziaria delle aziende sequestrate alla mafia. Il tema è grave ed importante sia per la portata del fenomeno, calcolabile in diverse decine di miliardi di euro, che per il significato simbolico che porta con sé.
Un’azienda sotto sequestro, a differenza di una confiscata può essere restituita al proprietario; e nel caso questo avvenga, le condizioni devono essere le medesime di quando l’impresa è stata fatta oggetto del provvedimento di prevenzione.
Ovvero se viene sequestrata un’azienda florida, con un certo numero di dipendenti, una liquidità e delle proprietà, queste devono essere conservate, se non ampliate fino al termine del sequestro; sia che questo si tramuti in confisca, sia che venga revocato.
Per far questo, la giustizia si avvale degli amministratori giudiziari.
Chi sono costoro?
Il meccanismo di nomina
Normalmente dei professionisti: avvocati, ragionieri, commercialisti di comprovata esperienza e competenza.
Qual è il meccanismo di nomina?
Nel 2010, la cosiddetta legge Alfano stabilisce che ogni tribunale debba istituire un albo degli amministratori giudiziari, redatto secondo criteri, appunto, di competenza ed esperienza.
Questa normativa è ad oggi per lo più inapplicata, e ci si rifà ancora alla legislazione precedente.
Prima del 2010, la legge stabiliva che gli amministratori dovessero essere nominati con l’unico criterio del rapporto fiduciario tra presidente della Sezione Misure di Prevenzione del tribunale di competenza e professionista.
Questo dava, e dà ancor oggi, un potere enorme al magistrato competente, che affidandosi unicamente al libero arbitrio e, si spererebbe, al buon senso, gestisce un immenso patrimonio.
Quattromila professionisti
Sempre al tribunale di Palermo, la dott.ssa Saguto, presidente della Sezione Misure di Prevenzione, ha a disposizione circa quattromila professionisti fra cui scegliere.
Nonostante una così ampia schiera di personale disponibile, ad amministrare le aziende sequestrate sono poche decine di professionisti. Viene da chiedersi il perché. Sono solo loro quelli “di fiducia”? Sono i migliori sulla piazza, e quindi è bene affidarsi per lo più, anche se sarebbe meglio dire esclusivamente, ad essi?
Qualche dubbio in più sorge quando si prova a scavare nell’operato di alcuni di loro.
Prendiamo ad esempio l’avv. Cappellano Seminara. Titolare di un importante studio palermitano, amministra, tra gli altri, i beni di Ciancimino in Italia e all’estero.
A lui è stata affidata, nel marzo 2012, la gestione delle società del porto di Palermo che si occupano di logistica e, secondo un’informativa della DIA, infiltrate da Cosa Nostra.
Il caso dei 24 portuali
Nel 2011, in seguito ad un provvedimento della prefettura, 24 portuali vengono sospesi dal lavoro in via cautelare dal consiglio d’amministrazione, perché sospettate di avere rapporti con gli ambienti mafiosi. Le prove a supporto sono per lo più legami di parentela.
I 24 portuali non possono recarsi sul posto di lavoro, ma vengono comunque pagati, perché il provvedimento è solo cautelare, non punitivo. Il buon senso vorrebbe che una situazione di questo tipo durasse il meno possibile.
O licenziati o reintegrati
Accertati i fatti, caso per caso, e decisa una linea, nella concertazione fra tribunale ed amministrazione, i lavoratori dovrebbero essere licenziati o reintegrati.
Diversamente si ha un enorme spreco di denaro per pagare gente che non lavora, e le famiglie coinvolte giacciono in un limbo con l’angoscia di non conoscere il proprio destino.
Per il porto questo stato di cose dura 24 mesi, per lo più sotto l’amministrazione Cappellano Seminara, decorsi i quali, a seguito di una nuova nota della Sezione Misure di Prevenzione del tribunale, ovvero della dott.ssa Saguto, vengono sospese le retribuzioni, ma non viene assunta alcuna decisione definitiva.
I lavoratori – e le loro famiglie – restano senza sostentamento, ma non perdono il posto. Unica possibilità è dimettersi e cercare una nuova occupazione, oppure lavorare in nero.
Cosa devono pensare le persone coinvolte? Che si stava forse meglio quando c’era la mafia?
Non c’è peggior sconfitta per lo Stato.
Nel frattempo, l’amministratore continua a percepire un lauto stipendio, per sé e per i suoi collaboratori. Dove stanno competenza, esperienza e affidabilità?
Il caso dei beni Sbeglia
Altro amministratore, altro caso. Il commercialista Salvatore Benanti è uno dei maggiori amministratori giudiziari della provincia di Palermo. Per conto del tribunale si occupa della gestione di numerose cave di cemento e di alcune grandi aziende. Amministra tra gli altri i beni del mafioso Sbeglia. Trovandosi nella situazione di vendere alcuni immobili, manda il vecchio proprietario a condurre le trattative.
La conferma di Benanti
La cosa viene denunciata e il mandato di amministrazione viene revocato. Fin qui tutto bene, verrebbe da dire, se non fosse che Benanti viene confermato negli altri suoi incarichi, anzi, ad oggi continua a ricevere nomine da parte del Tribunale di Palermo. Dobbiamo dedurre che, nonostante questi fatti, permane il rapporto fiduciario fra la dott.ssa Saguto e l’amministratore.
Partinico
NANIA IL TESORIERE
Personaggi. Francesco Nania, 39 anni, di Partinico, bloccato nel 2008 nell’aeroporto di Fiumicino appena giunto con un volo dagli Stati Uniti, dove si era rifugiato nel 2005 per evitare l’arresto disposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Era stato individuato dall’FBI, che lo aveva bloccato e fatto imbarcare su un volo diretto a Roma, e al suo arrivo a Fiumicino lo ha consegnato ai carabinieri.
Nania è considerato il tesoriere della cosca mafiosa dei Vitale di Partinico. Stava scontando a Pescara una condanna a 2 anni di casa-lavoro per associazione mafiosa. Ma il magistrato di sorveglianza gli ha concesso i benefici della sorveglianza speciale, non conoscendo i fatti della nostra cittadina, dove non basta il vincolo del controllo degli organi di polizia bisettimanali e l’obbligo di orario di entrata e uscita dalla sua abitazione per evitare che i pericolosi affiliati a Cosa Nostra riorganizzino nuovamente le fila delle famiglie mafiose.
Con Giuseppe Giambrone – Pino “Stagnalisi”- implicato in vari omicidi nei territori di Partinico e Borgetto, da poco Nania è tornato in libertà per scadenza dei termini di custodia cautelare. Con Nicolo’ Salto, che passeggia per le vie di Borgetto, seppur colpito da una malattia che gli consente di camminare soltanto col sacchetto appresso.
Con qualche “scassapagghiara”, insomma, che si permette pure di gestire attività commerciali nel centro del paese, su cui non possiamo ancora sapere se il commercio di cui si occupano è reale o soltanto una copertura ad attività come lo spaccio di droga
Il clima si potrebbe fare di nuovo incandescente e qualcuno potrebbe ritentare la scalata al potere mafioso del comprensorio; nonostante i pezzi da novanta popolino le patrie galere, le famiglie sentono sempre l’esigenza di entrate economiche per potere soddisfare i fabbisogni dei congiunti, che si trovano reclusi nelle carceri di mezza Italia
Ricordiamo che erano due le fazioni che si erano create dopo che l’operazione “Terra Bruciata”, del 2005, e che si contendevano il potere.
Da una parte c’era quella di Salvatore Corrao, che godeva dell’appoggio del supervisore del mandamento, allora latitante ma oggi detenuto per associazione mafiosa, Domenico Raccuglia; dall’altra, quella di Giuseppe Giambrone, sostenuta appunto dal capo mandamento di Partinico Francesco Nania, che si trovava negli Stati Uniti. Una situazione che non piaceva a diversi associati e che metteva persino in discussione la leadership di Domenico Raccuglia, decretata in passato dalla storica famiglia mafiosa dei Vitale.