giovedì, Novembre 21, 2024
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Numeri sulle mafie in Emilia Romagna

Cosa Nostra, la ‘ndran­gheta, camorra e Sacra Corona Unita hanno or­mai piantato salde radi­ci in quella che una vol­ta era la terra del buon vino e delle vecchie sedi di partito. Cosa ri­mane oggi di quel pas­sato tranquillo, di sana e democratica convi­venza civile?

Esiste una terra magica dove il multi­culturalismo è già una realtà. Bellemilia di buon vino, vecchie sedi di partito, con le carte sempre in mano e una fola pia­no piano, scrive Luca Taddia in una sua bellissima canzone.

Il problema è che il multiculturalismo è quello mafioso, che le carte sono spesso dentro le bische clandestine gestite dalle cosche e che la “fola” a cui aggiungerei, come espediente narrativo, una elle, è quella delle ‘ndrine che hanno ormai arti­gliato parte del tessu­to economico della Regione.

Ora, per evitare che lo scriba venga defi­nito “mitomane” e “fissato”, aggettivi amorevolmente rivoltimi da politici di tut­to lo Stivale, vi racconterò una storia che ha come protagonisti boss silenti, politici distratti, imprenditori pavidi e Società Ci­vile “opulenta”.

In questa storia una parte importante la faranno i numeri. Non per uno sperticato amore dell’auto­re verso quei meravigliosi segnetti inven­tati dagli arabi, ma perché fanno da corni­ce ad un quadro che altri­menti resterebbe, con grande gioia della criminalità, nel sol­co del folklore.

A calcare le terre emiliane sono in que­sto momento undici organizzazioni mafio­se. Resto del mondo batte Italia per 7 a 4, schierando nell’ordine mafia Nord Africa­na, Nigeriana, Cinese, Sud Americana, Rumena, Ucraina e Albanese.

L’Italia risponde con Cosa Nostra, Ca­morra, Sacra Corona Unita e la ‘Nranghe­ta, suddivise in 62 cosche, 34 della mafia calabrese, 12 di quella siciliana a pari me­rito con quella Campana e una dell’onora­ta società pugliese ben trapiantata in rivie­ra dove gestisce il traffico di stupefacenti.

Ma quando è cominciato?

Da dove arrivano queste realtà e quando hanno cominciato ad agire?

Se fosse una fiaba l’incipit d’apertura potrebbe essere “C’era una volta”.

Già, “c’era una volta”, espressione sem­plice ma convincente per dire che certe cose oggi non succedono più, per buttare sulle spalle del passato ogni vergogna, ogni cosa che non ci piace ed assolvere il presente.

Il nostro quotidiano è però figlio di quel passato e in quel passato “C’era una volta” la legge sui sorvegliati speciali, ereditata dal fascistissimo “confino”. E fu seguendo quella legge che dal 1958 fino quasi ai giorni nostri l’Emilia Roma­gna è stata ter­ra di migrazioni, non di po­veri disperati arrivati con i barconi, ma di mafiosi paten­tati e potenti, inviati dallo Stato nella “Rossa Emilia” per “ravveder­si”. Dal pri­mo, nel 1958, Procopio Di Maggio, capo mandamento di Cinisi (Pa), a cui è seguito un vero e proprio tsunami mafioso che ha fatto approdare in Regione oltre 3.600 uo­mini e donne, appartenenti alla cosche.

Riina, Badalamenti, Schiavone…

Gente qualunque? E quando mai! Tanto per fare qualche nome: Giacomo Riina, Tano Badalamenti (che secondo la Crimi­nalpol dal ’74 al ’76 gestiva da Sassuolo (Mo) i traffici illeciti nella provincia di Modena), Barbieri e Ventrici (tra i leader mondiali del narcotraffico), Pasquale Con­dello, il “supremo Boss” di Reggio Cala­bria (cuore in Calabria e portafoglio a Ce­sena si diceva) e il buon “Sandokan”, quel Francesco Schiavone noto per le sue “sim­patie” nei riguardi di Roberto Saviano.

E la Società Civile che cosa ha fatto? Li ha respinti? Pare di no, anzi! Essendo l’Emilia Romagna una terra ospitale, capi­tava che il boss della ‘Ndrangheta Antonio Dragone, uscito dal carcere di Reggio Emilia, venisse omaggiato da imprenditori ed impresari del luogo che fecero la fila per consegnargli quasi un milione di euro, tanto per fargli capire che non c’era biso­gno di nessuna opera di estorsione, tanto gli imprenditori si estorcevano da soli!

E mentre le mafie s’ingrassano la rea­zione dello Stato è lenta. Tanto per fare un esempio, nel 2009 a Parma il Prefetto dell’epoca Paolo Scarpis, poi divenuto vice capo dei servizi segreti (siamo in buo­ne mani), disse che la mafia nella città Du­cale “Era una sparata”.

E le mafie educatamente rispondono “obbedisco”, tanto che Raffaele Guarino (2010), Salvatore Illuminato (2003), Anto­nino D’Amato (2011) e Gabriele Guerra (2003) vengono “sparati” in giro per la Regione.

Il sindaco: “Un fatto occasionale”

Ma Scarpis non è il solo, anche il Sin­daco di Ravenna, Fabrizio Matteucci, ad ogni arresto, attentato, intimidazione, di­chiara che è “un fatto occasionale”.

Di certo “occasionale” non è la presen­za delle aziende mafiose nella gestione di opere pubbliche.

Tantè che le mafie negli ultimi trent’anni gestiscono, tra le altre cose, la ristrutturazione della Pinacoteca Naziona­le di Bologna, l’ampliamento e la ristrut­turazione dell’aeroporto di Bologna e vi­sto che c’erano dal 2004 al 2007 anche i ser­vizi a terra dello stesso scalo e il pro­getto di ristrutturazione di Piazza Maggio­re a Bologna.

La discarica dei rifiuti di Poiatic­a nel comune di Carpiteti (Re): qui l’azienda, il gruppo Ciampà, ha da anni il certificato antimafia per smaltimento di sostanze tos­siche ritirato in Calabria (ope­razione Black Mountains) e tranquilla­mente da anni continua a lavorare in Emi­lia.

E ancora: realizzazione del sottopas­so di collegamento di via Cristoni e Perti­ni oltre la Casa della Conoscenza di Casalec­chio di Reno (Bo), alloggi e auto­rimesse a Budrio (Bo) e Forlì, case popo­lari a Bolo­gna, Reggio Emilia e Mo­dena.

Sasà e il camorrista

Le aziende delle cosche hanno bei nomi: Icla, Promoter, Ciampà, Doro Group, Enea, e spesso buoni soci, CCC, SaB, Gruppo Ferruzzi.

Mangiano bene gestendo ristoranti alla moda come il Regina Margherita a Bolo­gna.

Ed hanno, o millantano, amicizie im­portanti. La telefonata che riportiamo tra Sasà D. direttore del ristorante Regina Marghe­rita di Bologna e Marco Iorio (camorrista dal buon curriculum) è del 13 febbraio 2011.

È Sasà a chiamare Iorio, che lui defini­sce “il capo in assoluto” del Regina Mar­gherita Group. Dopo alcune battute sull’andamento del locale Iorio chiede a Sasà del nuovo questore di Napoli, dottor Merolla (questore a Bologna fino a feb­braio 2013, ndr) e si accerta se è un suo ami­co.

Sasà: “L’amico mio… sì, sì, gli ho già parlato!”.

Iorio: “L’amico tuo?”

Sasà: “Sì, tengo il numero di telefono… quando viene a Napoli… già ho organizza­to!”.

Poi nasce un equivoco. Iorio confonde Merolla con Francesco Cirillo, ora nume­ro due della Polizia: “Ma io già lo conob­bi, quel signore di carnagione scura e ca­pelli brizzolati…”.

Replica Sasà: “No, tu hai conosciuto Ci­rillo, quello adesso è capo della Polizia… poi sto Merolla, mo’ è diventato questore di Napoli”,

Sasà: “E’ quello là che, io stavo a casa tua, ti feci parlare al telefono!… tu hai par­lato al telefono con questo!”.

Iorio: “Lo so!”

Sasà: “E comunque gli ho detto: ‘dotto­re, lui dal primo marzo sta a Napoli, lo vado a prendere, stiamo insieme e poi ven­go al Regina Margherita (quella di Na­poli, ndr) da te!’ Deve stare da te, già è tutto programmato… già ho fatto, è venuto ve­nerdì a mangiare qui, due pizze… è tut­to tranquillo, gira molto per i ristoranti”.

Iorio è affamato di informazioni sul nuovo questore di Napoli. Chiede se “è pe­sante o compagno”, Sasà dice che “è com­pagno” tre volte, “proprio nostro ami­co… il figlio è un primario, no, è tutto a posto Marco!”. E termina con lo zelo del sotto­posto: “Già lo sapevo che dovevo fare così”.

L’ex Questore ed il numero due della Polizia, non proprio un quadretto edifi­cante dello Stato in Regione.

Minacce e bombe

Ma la storia si sposta nel 2013. Dopo il sequestro del locale e la gestione di un ba­rista locale, il Regina Margherita è stato nuovamente assegnato. Indovinate a chi? Ai gestori di Rossopomodoro, anche loro a suo tempo sotto inchiesta per “amicizie” pericolose e al timone del locale torna Sal­vatore D’Ascia. Chi è? Il Sasà delle in­tercettazioni.

Unico commento: siamo un paese fanta­sioso.

Ma la “favola” assume connotati dark, dato che le mafie in Emilia Romagna sono silenti per lo più, ma se s’incazzano assal­tano Caserme dei Carabinieri (Sant’Agata Bolognese), mollano bombe all’agenzia delle entrate (Sassuolo), elar­giscono pro­iettili (tra gli altri Massimo Mezzetti as­sessore regionale di SeL), ta­gliano gomme (liquidatore Sapro nel for­livese), danno fuoco con grande maestria (un mezzo meccanico esplode in media ogni tre gior­ni), minacciano giornalisti (5 casi negli ul­timi anni con Giovanni Tizian che finisce sotto scorta e David Oddone che non può dato che San Marino non prevede “prote­zioni” per i giornalisti che fanno il loro mestiere).

L’8,6 per cento paga il pizzo

Vantano avvocati di grido, come Libero Mancuso difensore di quel Giovanni Co­sta che per anni ha ripulito soldi della ma­fia dal suo attico con vista tribunale di galle­ria Falcone-Borsellino a Bologna.

E la So­cietà Civile che cosa fa? Si co­sterna, s’indigna e s’indegna senza gran dignità.

Per SoS impresa l’8,6% degli esercizi commerciali o paga il pizzo o è vittima di usura. Ma nessuno, o quasi, denuncia.

Se­condo il Magistrato Lucia Musti, me­moria storica dell’antimafia emiliana, l’omertà è una costante della regione dato che “le intimidazioni de­nunciate sono sta­te pochissime, quello che abbia­mo tro­vato l’abbiamo trovato grazie alle opera­zioni di ascolto, alle intercettaz­ioni”.

Ma non basta, la Dia (Direzione Investi­gativa Antimafia) ha evidenziato che non c’è provincia o zona della Regione che non sia contaminata dal nesso inscindibile tra gioco d’azzardo, indebitamento e suc­cessiva estorsione e usura.

Mentre lo Sta­to ammorba l’etere con la frase “Ti piace vincere facile” le mafie si arricchiscono a dismisura aprendo sale Slot e gestendo le macchinette in bar ed esercizi tra l’indifferenza più o meno complice dei proprietari delle atti­vità, ma anche di certe parti dello Stato stesso.

Può anche capitare, quindi, che Nicola Femia, ’ndranghetista rico­nosciuto uni­versalmente con condanna nel 2002 per narcotraffico, potesse cammina­re libera­mente e far gestire attività intesta­te ai figli nella tranquilla Conselice (Ra), dove in pochi si chiedevano come questo uomo venuto da fuori possedesse tutto questo potere economico. Per fortuna a to­gliere dall’imbarazzo chi doveva vigila­re ci ha pensato la magistratura, che ha sbat­tuto il Femia in galera sequestrando, nell’operazione Black Monkeys (gennaio 2013), beni per 90 milioni di euro.

Traffico di armi e droga

E dato che appalti, usura, traffico di uo­mini e donne e droga c’erano, non poteva mancare il traffico d’armi, con partenza dal porto di Ravenna e ultima meta le co­ste della Somalia. Il traffico di armi è una sorta di ricompensa verso chi si occupa dello smaltimento di rifiuti tossici nelle acque del Golfo di Aden, a nord dello sta­to africano, ma anche nell’oceano India­no, a sud. Uno scambio di morte che parte dalle gioiose coste romagnole.

Cose turche! Direbbe Franco Franchi, cose nostre potremmo aggiungere, perché il quadro della presenza mafiosa in Emilia Romagna non è ancora finito dato che la Regione è la prima in Italia per lavoro nero e la seconda sul fronte degli irregola­ri.

Il 70% degli appalti viene dato in sub appalto e sempre più spesso viene utiliz­zata, per assegnare le gare, la formula del “massimo ribasso”. Ad esempio, il Cie di via Mattei a Bologna (assegnato di forza dalla Prefettura ad un’azienda siciliana, il consorzio “Oasi” con il 70% di ribasso, collassato in pochi mesi con il risultato che la Procura ha aperto un fascicolo con­tro la Prefettura e i lavoratori sono finiti tutti per strada); tutto questo crea, nel si­lenzio, l’humus che permette il radica­mento nell’edilizia (e non solo) delle for­ze cri­minali.

Anche per il traspor­to su gomma, dove per anni mafiosi come Ven­trici, quello del “Contro di noi la guer­ra non la vince nep­pure il Papa”, hanno ge­stito il business anche per multinazio­nali come la Lidl, av­viene il miracolo eco­nomico per eccellen­za. Quale? Quello del trasporto merci, senza mezzi di trasporto! Mi spiego.

Su 9.083 imprese di trasporto in Emilia Romagna 2.599 (il 30%) risultano non possedere neppure una bicicletta! L’arca­no lo spiega Franco Zavatti della Cgil di Mo­dena “Alcune di queste sono le ditte fanta­sma attraverso cui la malavita orga­nizzata fa il pieno d’infiltrazioni nei can­tieri. En­tra ed esce e controlla il territorio, la ma­nodopera, minaccia chi lavora one­stamente e la butta fuori dal mercato”.

Poche proteste e tanto silenzio

Anche qui pochissime proteste e tanto silenzio della comunità anche di fronte alle minacce verso Cinzia Franchini, pre­sidente CNA Fita di Modena, che per le sue prese di posizione si è vista recapitare dei proiettili in sede.

Il silenzio è una costante. Nel silenzio le organizzazioni criminali riciclano il de­naro tramite, per esempio, il proliferarsi di compro oro e sale Vtl; le mafie straniere gestiscono la prostituzione, l’immigrazio­ne clandestina e lo spaccio di stupefacen­ti; il paradiso fiscale di San Marino dà ri­cetto a tutti i traffici al grido di “pecunia non olet”. Per i beni confiscati, oltre 100, non si trova ancora la chiave legislativa per re­stituirli alla comunità.

Ma il motore economico che fa girare tutti gli affari della criminalità è la droga.

Il 34,2 % degli emi­liano romagnoli tra i 15 e i 64 anni ha fatto o fa uso di canna­bis. Visto che di legalizzazione non se ne parla le mafie – ‘Ndrangheta in testa – han­no trasformato Bentivoglio (Bo) e Oz­zano (Bo) in centri del nar­cotraffico internazion­ale.

Luoghi da cui Francesco Ventrici e Vin­cenzo Barbieri in un decen­nio, 2001-2011, hanno messo sul campo un’organiz­zazione capace di tratta­re alla pari con i Narcos di qualunque par­te del mondo inondando l’Europa di coca e mi­lioni di euro sporchi.

Il 2013 è anche l’anno delle morti per “eroina bianca”. Solo su Bologna 15 de­cessi con una media di un morto al mese fino all’esplosione estiva con quattro mor­ti ad agosto e tre a settembre. Da quando a Bologna ha iniziato a girare la “bianca”, è scattata l’emergenza.

Questo tipo di eroina, allo stesso prezzo di una dose “normale”, si parla di 25-30 euro, contiene un principio attivo del 70-80%, una quantità molto maggiore rispet­to agli standard abituali a cui gli utilizza­tori non sono abituati.

Questa piccola ecatombe in un territorio gestito “militarmente” dalla ‘Ndrangheta, che al principio del silenzio deve la sua ricchezza, suona davvero strana e potreb­be essere il segnale che in Regione si sta aprendo una crepa nel monolite della ma­fia made in Calabria, sfidata da mafie emergenti e con talmente pochi scrupoli di immettere nel mercato “cocktail” assas­sini pur di ritagliarsi uno spazio.

Se questo segnale fosse vero ci trove­remmo ad affrontare per la prima volta in terra emiliano romagnola una guerra di mafie e sarebbe la fine dell’illusione che la mafia in Emilia Romagna è un “proble­ma degli altri”.

La nuova Resistenza

Nel quadro fin qui disegnato vi è però una punta di colore, sono gli anticorpi de­mocratici che stanno venendo su veementi negli ultimi anni. Nati in periferia, nelle piccole cantine dove si riuniscono le asso­ciazioni di base come il Gruppo dello Zuc­cherificio di Ravenna, Gap di Rimini, Sui Generis di Parma, Cortocircuito e Par­tecipazione di Reggio Emilia, NoName e Die­ci e Venti­cinque di Bolo­gna per fare al­cuni nomi. Le Anpi di molte zone della Re­gione che hanno avuto l’intuizione di co­niugare la Resistenza al nazi-fascismo con quella alla mafia: Carpi, Marzabotto e Da­niele Civolani a Ferrara, per esem­pio.

E Libera, l’Arci, Articolo21 e parte del­la Cgil, alcuni politici illuminati come Anto­nio Mumolo e Thomas Casedei. Una serie di piccoli “nidi di ragno” capaci di incri­nare il silenzio e mettere sotto gli oc­chi della politica e dell’opinione pubblica una situa­zione esplosiva ma non ancora esplo­sa. La fortuna è anche quella di aver trovat­o nell’Università di Bologna ed in Stefan­ia Pellegrini il mezzo – il corso ”mafie e Anti­mafia” ed il laboratorio di giornali­smo an­timafia che ne fa parte inte­grante – dove in­canalare in percorsi di di­fesa de­mocratica (perché soprattutto que­sto è l’antimafia so­ciale) una serie di sen­sibilità che nascono dal territorio.

Si lotta per il futuro di queta terra

Da questo lavoro hanno preso vita due leggi regionali ed il protocollo sulla rico­struzione, ma soprattutto una consapevo­lezza oramai generalizzata: che le mafie in questa regione ci sono, sono presenti e po­tenti, e che non fanno sconti.

Ed un ulteriore certezza: che se l’anti­mafia vuole contrastare questo impero cri­minale fatto di droga, prostituzione, rici­claggio, usura, colletti bianchi e sangue deve avere la stessa determinazione.

Non è una partita tra gentiluomini, ma una vera e propria nuova Resistenza, dove in palio non c’è nessun premio, ma il fu­turo di una terra straordinaria come l’Emi­lia Romagna.

Dossier 2011-2012 mafie in Emilia Romagna:

www.gaetanoalessi.blogspot.com

 

 

Un pensiero su “Numeri sulle mafie in Emilia Romagna

  • Sellek romagna

    Non bisogna dimenticare che l’Emilia romagna ospita da tanti anni anche piccole etnie appartenenti a gruppi provenienti dalla sardegna,non sono organizzati con sistemi piramidali con al vertice un boss ma bensì in bande dove l’unico fine e la sparrtizione dei profitti illeciti. Non dimentichiamo i gruppi criminali facenti capo a Davide Deiana,Pietro Moro,e Angelo Ortu,tutti esponenti di quella realtà che ha contribuito alla destabilizazione del territorio.Oltretutto queste persone si sono sempre nascoste bene in territori come la Repubblica di San Marino o entroterra riminese,mantenendo sempre un profilo basso.

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