Mafie a Roma
Il prossimo libro di Pietro Orsatti
La necessità di fare il punto, fino a dove è possibile, sulle mafie a Roma si sta facendo sempre più pressante. Perché ogni scenario, descrizione, passaggio che faticosamente possiamo fare per capire non tanto le infiltrazioni quanto la presenza strutturata e pluridecennale delle organizzazioni mafiose nella capitale, diventa difficile e incompleto se non si fa un lavoro di sintesi nel racconto di almeno trent’anni della Roma criminale.
Questo è quello che sto facendo con Floriana Bulfon in questi mesi, attraverso un lavoro di ricerca, documentazione, inchiesta giornalistica. Un lavoro per nulla facile, perché per descrivere il fenomeno mafioso nella capitale è necessario raccontare la storia di tutte le organizzazioni mafiose italiane (e non solo) che nella capitale sono radicate e presenti attraverso un rapporto stabile di sistema, scavare anche su vicende che hanno visti coinvolti pezzi dello Stato, politici, imprenditori, apparati di inteligence, massoneria deviata e perfino ambienti del Vaticano.
Fin dall’inizio del nostro lavoro abbiamo capito che dovevamo evitare di cadere nelle suggestioni di Romanzo Criminale. Perché la storia è da un lato più semplice e dall’altro più complessa di quella descritta sia dal libro che dal film.
In primo luogo perché abbiamo chiaramente percepito, nel nostro lavoro e analizzando con attenzione il conflitto sanguinoso in corso a Roma da alcuni anni, che la Banda della Magliana è tutt’altro che finita, capitolo chiuso dopo la morte di “Renatino” De Pedis e gli arresti e i processi. E allo stesso modo che la figura di Pippo Calò (nel libro, zio Carlo) era sì centrale ma non monolitica e unica.
E quindi andiamo alla ragione per la quale con Floriana mi sono messo a lavorare su questo scenario così gigantesco. Anticipando il frammento del nostro lavoro.
Politica, finanza, massoneria e…
Fin dalle prime fasi di insediamento tutte le organizzazioni operano di concerto e in continuo accordo, chi sgarra è nemico di tutti e non solo di qualcuno. I rapporti con la politica, la finanza, pezzi della massoneria e di apparati dello Stato deviati e perfino con settori della Curia romana si condividono. Con un fattore in più a favorire il lavoro di tutti: la Banda della Magliana. Quella nata dalla trasformazione genetica di un pezzo della malavita capitolina, le “batterie”, in criminalità organizzata e poi in sodalizio di matrice mafiosa. La Banda dei misteri italiani e dei legami con la zona grigia. La Banda che non è mai morta.
«Esiste ancora, ha usato e continua ad usare i soldi di chi è morto o è finito in galera. Forse non ha più bisogno di sparare. O almeno, di sparare spesso», raccontava nel 2010 “Nino l’Accattone”, al secolo Antonio Mancini. Una dichiarazione ampiamente sottovalutata e che oggi, forse, ci fornisce una chiave di lettura in più per capire cosa sta avvenendo a Roma.
I soldi della Magliana
In pochi si domandano che fine abbiamo fatto i soldi della Banda. Perché, come a Palermo non si è mai capito dove finì il colossale capitale di Stefano Bontade, scomparso letteralmente dalla faccia della terra dopo la morte del boss per mano dei Corleonesi, con l’inizio della mattanza e la presa di potere di Totò Riina, così nessuno è riuscito finora a capire dove siano andati i soldi, un immenso capitale mai quantificato, del capo Enrico “Renatino” De Pedis e dei suoi Testaccini. Puff! Svaniti.
Eppure questa guerra ha una caratteristica particolare. Gran parte dei “caduti” sono pezzi della vecchia organizzazione delle “batterie” degli anni Settanta o, a questo punto inutile girarci intorno, della nuova Banda della Magliana se è finita mai sul serio quella “vecchia”.
Una guerra che fin dalla sua prima fase sembra unidirezionale, un’offensiva verso i “romani” e i loro soci da parte di tutte le altre organizzazioni presenti in città. I capi stanno facendo pulizia dei cani sciolti e lo fanno perché non si deve mettere in crisi il sistema di controllo della città eterna. Nel suo evolversi questo conflitto pare modificare, giorno dopo giorno, equilibri consolidati in decenni. Perché qui, da anni, siedono tutti allo stesso tavolo.