Imparare l’Italia
In una scuola d’italiano per stranieri, la drammatica gara fra cultura e permessi di soggiorno. In palio, la vita di alcuni esseri umani…
Una grande stanza in cui campeggia sul fondo un albero di cartapesta da cui partono lunghi rami, una lavagna pulita, pronta per l’uso. Alla spicciolata cominciano ad arrivare gli studenti.
Hanno facce “diverse” e nomi come Issa, Bassirou, Shadi, Jessica che riportano a luoghi, culture e lingue lontane, una storia, un passato che, a volte, vorrebbero anche dimenticare, sogni e aspettative nel paese in cui hanno scelto di vivere.
Le luci del set si accendono sui loro volti, illuminano la scena, i tecnici sistemano i microfoni, allineano banchi e sedie. Si comincia a girare.
Parte così, tra fiction e documentario, o forse nessuna delle due cose, La mia classe, di Daniele Gaglianone, sceneggiatura di Gaglianone, Gino Clemente e Claudia Russo; negli intenti il “diario di bordo” di un insegnante, interpretato da Valerio Mastandrea, in una scuola di italiano per stranieri.
E’ stato presentato alle giornate degli autori della Mostra del Cinema di Venezia ed è ispirato ai “Diari di un maestro” di Vittorio De Seta.
Una scuola vera
Tempi stretti per la lavorazione, come supporto l’esperienza delle scuole di italiano per stranieri della capitale, contatti con gli insegnanti, contatti con gli studenti, ricerca di luoghi in cui girare e giù con la sceneggiatura scritta nei dettagli dall’inizio alla fine… senza però fare i cosiddetti “conti con l’oste”, ovvero loro, gli studenti-attori non professionisti le cui vite e la cui spontaneità irrompono visibilmente e a volte prepotentemente all’interno della fiction.
Realtà e finzione si muovono allora su piani paralleli intrecciandosi senza soluzione, del resto, vera è la scuola (il Ctp di Torpignattara) veri gli studenti scelti fra i tanti incontrati durante la fase di scrittura, vere le storie individuali, i vissuti, che tra una lezione e l’altra vengono tracciati senza timore della telecamera.
I deserti attraversati
C’è chi studia e chi lavora, e chi lo cerca, un lavoro, chi gioca a calcetto perchè ha la passione per lo sport, chi ascolta musica neo-melodica e così ha imparato a parlare con un forte accento napoletano ma non sa scrivere, chi ha fatto un viaggio nel deserto rischiando di morire e ha il coraggio di raccontarlo con un sorriso, chi ha visto morire un amico durante la rivolta a Piazza Tahrir e non riesce a dirlo se non con una voce spezzata dal pianto, chi vorrebbe solamente far felice la propria famiglia…
Tutti accomunati dall’obiettivo di apprendere la lingua, sospesi su questo ponte ideale che è un’aula scolastica, il maestro da una parte, come figura amica, punto di riferimento, italiano, il ricatto costante del permesso di soggiorno da rinnovare, dall’altra.
Un film di denuncia
Ed è qui che la realtà si impone definitivamente sulla finzione, per quel permesso di soggiorno che non viene rinnovato e porta all’allontanamento di uno degli attori creando scompiglio reale dentro tutto il cast e costringendo a modificare la sceneggiatura fino a rendere La mia classe un film di denuncia, diverso da quello che si erano prefigurati sceneggiatori e regista.
Di fronte alla contraddizione e alla scelta tra cosa è giusto e cosa è lecito, sottolinea lo stesso Gaglianone nel corso di alcune interviste, la scelta risulta obbligata e allora è bene che lo spettatore ne sia partecipe e pienamente consapevole, è bene che quella contraddizione gli esploda di fronte e renda un po’ più scomoda la poltrona in cui è stato comodamente seduto fino a quel momento.