Odissea emigrante
La storia di Ibrahim, fuggito dagli “squadroni della morte” delle Costa d’Avorio, e di tanti e tanti emigranti come lui in un nuovo toccante film-documentario del regista di “Mare Nostrum”
Cosa accade prima e dopo gli sbarchi a Lampedusa? Da cosa fuggono i migranti che arrivano in Italia e qual è l’approdo finale della loro odissea? Il regista Rai e giornalista indipendente Stefano Mencherini torna ad occuparsi, dieci anni dopo “Mare Nostrum”, dell’immigrazione in Italia, e cerca di rispondere a queste domande.
Con lo sguardo e con la voce
“Mare Nostrum” nel 2003 raccontò la realtà dei Cpt, Centri di Permanenza Temporanea – o ggi divenuti CIE, Centri di Identificazione ed Espulsione – documentando le violenze e gli abusi che si perpetravano nel Cpt di Lecce, gestito da Cesare Lodeserto, responsabile della Fondazione Regina Pacis e allora segretario particolare del locale vescovo Cosmo Ruppi.
Il nuovo documentario, presentato in anteprima al Festival di Venezia e prodotto dalla Flai CGIL e dalla onlus Less di Napoli, va oltre e racconta per intero l’odissea disumana di cui sono protagonisti i migranti. Schiavi– le rotte di nuove forme di sfruttamento è un titolo che già da solo è evocativo di tutte le vicende raccontate e prepara lo spettatore alle fortissime denunce, alla gravità di quanto racconta.
Protagonista è Ibrahim, uno delle migliaia e migliaia di migranti fuggito dalla Costa d’Avorio. Stefano nel documentario lascia parlare Ibrahim in prima persona, cercando di guardare e raccontare tutta la vicenda con lo sguardo e la voce.
Ibrahim è fuggito dagli “squadroni della morte” nel suo Paese approdando in Libia. In Libia viene ridotto in schiavitù ed è vittima di atroci violenze da parte di un proprietario terriero. Riesce a fuggire e scappa verso Lampedusa.
Sono i mesi che precedono la caduta di Gheddafi, i mesi in cui in Italia si avvia il programma “Emergenza Nord Africa”. Ed Ibrahim conosce la realtà dell’emergenza Nord Africa, una realtà che agli italiani allora non raccontò quasi nessuno: un enorme spreco di denaro pubblico e tantissime violazioni dei diritti umani dei migranti (moltissimi in condizione di vera e propria schiavitù), “ospite” di un albergo di Napoli scelto dal governo italiano come “centro di accoglienza”.
Un’accoglienza fatta di pasti serviti con cibo avariato, sfruttamento per lavori non pagati o coinvolgimento in giri di prostituzione e sfruttamento del lavoro.
L’odissea di Ibrahim vede il suo approdo finale in Puglia, nei campi di angurie dove caporalato e sfruttamento del lavoro migrante dominano.
Caporalato e sfruttamento
E qui il film incrocia il primo processo in Europa, a Lecce, nel quale datori di lavoro e caporali di Nardò sono accusati di riduzione in schiavitù. Il film è arricchito anche di altre autorevoli testimonianze. Una di queste è proprio quella di Elsa Valeria Mignone, il Gip dell’inchiesta della Procura di Lecce che ha portato al processo. Schiavi si apre con le parole pronunciate da Papa Francesco nella sua visita a Lampedusa, mentre la chiusura è affidata ad un appello del Ministro dell’Integrazione Cécile Kashetu Kyenge, un appello all’Europa per la tutela collegiale da parte dei vari Paesi dei diritti dei migranti, con leggi europee che permettano il superamento della sola logica repressiva di programmi come Frontex e di legislazioni come quella italiana.