giovedì, Novembre 21, 2024
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La ‘ndrangheta arriva al Monte Bianco

Droga, affari, riciclag­gio, casinò: il gioco dei poteri è arrivato anche quassù

“In Valle d’Aosta è stata accertata la presenza di elementi collegati alle cosche reggine IAMONTE di Melito Porto Salvo, NIRTA di San Luca, FACCHINERI di Cittanova, LIBRI di Reggio Calabria, ASCIUTTO-NERI-GRIMALDI di Taurianova, TORCASIO di Lamezia Terme (…). La situazione di confine stimola attività di riciclaggio da parte delle presenze criminali allogene, rappresentate da articolazioni della ‘ndrangheta (…). Punto di attenzione rimane il Casinò di Saint-Vincent, che vede il coinvolgimento dei cambisti in attività di riciclaggio e di usura e il transito di soggetti a rischio, anche criminalmente qualificati”.

Il documento da cui sono state estrapolate queste informazioni è la relazione annuale della Commissione parlamentare antimafia, approvata il 30 luglio 2003 e dalla quale si evincevano le informazioni relative alla presenza della ‘ndrangheta anche in Valle d’Aosta. Un’infiltrazione fortemente negata dal punto di vista istituzionale, come sottolineava la relazione in questione: “Risulta, peraltro, un approccio tecnicamente mediocre da parte dei rappresentanti delle forze dell’ordine e della magistratura agli elementi rilevatori della presenza e della attività della criminalità organizzata, anche sotto il profilo dell’uso della regione come zona di transito per altri traffici illeciti o per investimenti finanziari”.

Un vero e proprio muro – di gomma – eretto per “difendere” l’immagine della Valle d’Aosta quale paradiso terrestre, isola felice dove gli unici episodi delittuosi sono legati alla microcriminalità.

Così, l’11 giugno 2009, moltissimi valdostani sono sobbalzati alla notizia che quattro persone erano state arrestate con l’accusa di traffico internazionale di stupefacenti: Giuseppe Nirta, Domenico Nirta e i loro nipoti Franco Di Donato e Roberto Di Donato. Secondo l’accusa, le partite di droga provenivano dalla Colombia ed arrivavano in Italia passando per Spagna e Olanda.

I quattro arrestati – e condannati in primo grado nel 2010 – sono molto conosciuti ed apprezzati ad Aosta. Basti pensare che Franco Di Donato era allenatore della squadra giovanile di calcio del Saint-Christophe (comune della cintura aostana), oltre che operaio presso la principale industria siderurgica valdostana. Secondo i capi d’accusa, invece, gli imputati apparivano “professionalmente dediti ad attività delittuose ed avevano stabili e molteplici collegamenti con ambienti criminali della ‘ndrangheta calabrese”.

All’inizio del 2013, la Dda ha predisposto il sequestro preventivo dei beni riconducibili a Giuseppe Nirta: tre immobili siti nel comune di residenza (Quart), un magazzino, due conti correnti bancari e un’utilitaria, una Fiat Panda. Si aggiungono quattro terreni (tutti ubicati a Quart), tre immobili a Bovalino, tre conti correnti bancari e una Fiat 500 riconducibili alla moglie, mentre ai figli risultano essere intestati ai figli due magazzini ad Aosta, sette immobili a Quart, una polizza assicurativa, un deposito titoli, tre conti correnti bancari e due postali. Gli inquirenti ipotizzano che il possedimento di detti beni sia frutto di attività illecite, considerando la sproporzione tra il valore degli stessi e i redditi dichiarati dalla famiglia. Giuseppe Nirta si difende, asserendo che si tratta di beni «frutto del sudore della mia fronte». Il tribunale di Aosta, lo scorso 22 maggio, ha confermato la misura di prevenzione dell’omologo torinese. Si tratta del primo caso di confisca di beni in Valle d’Aosta. I legali della famiglia Nirta sono già ricorsi in appello.

Il capofamiglia Nirta è conosciuto anche per essere, ad Aosta, tra i principali promotori della messa in onore della Madonna di Polsi.

Altra festa di tradizione, altro soggetto – stante la sentenza di primo grado – riconducibile ad attività criminali. Si tratta di Giuseppe Tropiano, presidente del “Comitato Festeggiamenti Santi Giorgio e Giacomo”: un organismo fondato venti anni fa per organizzare una processione commemorativa dei protettori rispettivamente della Calabria e di San Giorgio Morgeto, paese di origine di migliaia di calabresi che hanno scelto la Valle d’Aosta come meta della propria emigrazione. Una festa che nel corso degli anni è mutata, affiancando all’aspetto religioso una kermesse culinaria e festante: la ventesima edizione si è conclusa lo scorso 28 luglio (era iniziata il 17 luglio). Da undici anni a questa parte, Tropiano è, appunto, a capo del “Comitato” che ottiene finanziamenti comunali e regionali come contributo per le spese organizzative e che ha la sede – in virtù della sua genesi – presso la parrocchia del quartiere che ha dato i natali alla festa.

Giuseppe Tropiano, però, è anche altro. Imprenditore edile, lo scorso 30 gennaio 2013 è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Torino per favoreggiamento nei confronti della ‘ndrangheta, così come due dei suoi tre fratelli. Perché?

Per rispondere, è bene fare un passo indietro, riprendendo le motivazioni della sentenza “Tempus Venit” nell’ambito della quale è stato condannato. “Tropiano opera nel settore dell’edilizia. Nel maggio 2009 ha costituito, con altri imprenditori e professionisti valdostani, la Saint Bérnard Srl (…) per l’acquisto, dall’Immobiliare Santa Margherita Srl, facente capo all’imprenditore Marletti Valter, di un immobile in disuso nei pressi dell’ospedale di Aosta, noto come ex residence Mont Blanc. L’acquisto si è perfezionato con rogito notarile del 29/06/2009; dopo l’acquisizione dell’immobile da parte della Saint Bérnard Srl, la Regione Valle d’Aosta ha deciso di acquistare dalla stessa società il costruendo parcheggio per la somma di 16.900.000 euro; dopo l’accordo con la Regione, il progetto edilizio è stato variato al fine di prevedere, oltre gli alloggi ed i box auto di relativa pertinenza, anche un parcheggio multipiano con 510 posti auto. Il vantaggio economico per la Saint Bérnard Srl era considerevole: la concessione aveva un valore complessivo stimabile in circa 4.000.000 di euro”. Un appalto milionario che non avrebbe potuto non far gola alla ‘ndrangheta. Ecco dunque che Tropiano ha ricevuto una serie di lettere estorsive con le quali gli si chiedeva il 3% sul valore degli appalti. La condanna per favoreggiamento è scaturita poiché Tropiano, anziché denunciare subito i propri estorsori, si è rivolto a “un amico”. I carabinieri sono intervenuti il 20 dicembre 2011, intercettando una lettera indirizzata all’imprenditore, con evidenti minacce di morte.

Le condanne: ai tre fratelli Tropiano non è stata riconosciuta la finalità mafiosa, aggravante contestata invece agli altri quattro condannati: Giuseppe Facchinieri (6 anni e 8 mesi), Giuseppe Chemi (5 anni e 8 mesi), Roberto Raffa (5 anni e 10 mesi) e Michele Raso (5 anni).

Da “Tempus Venit” è scaturito un altro filone di indagine, “Usque Tandem”, che ha portato a sette avvisi di garanzia per altrettante persone. Avvisi che – è notizia di venerdì 26 luglio – non sono stati archiviati ma sono sfociati in rinvii a giudizio. Le accuse sono di abuso d’ufficio aggravato e turbativa d’asta. Nel mirino degli inquirenti, l’acquisto di “cosa futura” (del parcheggio) siglato dalla Regione e un appalto di un milione e trecento mila euro che la stessa ha affidato alla ditta di Tropiano (per costruire un cunicolo di collegamento tra il parcheggio e il nosocomio valdostano) senza regolare gara. Tra i sette indagati, oltre all’imprenditore troviamo anche Augusto Rollandin, attuale presidente della Regione Valle d’Aosta che, come da statuto, svolge anche funzioni prefettizie. Il capo della giunta valligiana, che già negli anni passati è stato coinvolto (e condannato) in vicende giudiziarie, si è detto «estraneo ai fatti che non mi sono stati contestati. Comunque il rinvio a giudizio è fisiologico, essendoci stato un avviso di garanzia».

Infine, sulla vicenda del parcheggio dell’ospedale “Umberto Parini” di Aosta, sta indagando anche la Corte dei Conti, per verificare se vi siano eventuali danni erariali. Attualmente, non sono state indicate specifiche responsabilità individuali.

 

SCHEDA

L’Osservatorio sulle mafie

La Valle d’Aosta avrà un osservatorio permanente sulle mafie. Nella terza ed ultima giornata del consiglio regionale (26 luglio), il consesso ha approvato all’unanimità la mozione presentata compatta dalle forze di opposizione.Si tratta di una prosecuzione naturale dei lavori della “commissione regionale antimafia”, durati solamente nove mesi e al termine dei quali è stata presentata una relazione al consiglio regionale. Un organismo nato all’indomani dell’inchiesta “Tempus Venit” e che ha suscitato alcune polemiche, legate alla sua composizione (esclusivamente politica), alla sua durata “a tempo determinato”, al fatto che non si sia avvalsa della collaborazione di esperti – a vario titolo e vario livello – della materia e, infine, all’aspetto della mancata trasparenza degli atti: per mesi, infatti, non è stato possibile visionare i documenti integrali relativi alle audizioni registrate in seno alla commissione.L’osservatorio raccoglie quindi idealmente il testimone della commissione, così come da suggestione di Giuseppe Pisanu, espressa quando incontrò una delegazione della stessa. L’osservatorio si avvale da esperti di diversa estrazione professionale attinente al fenomeno delle mafie e dovrà essere in capo alla presidenza del Consiglio regionale.Una decisione non affidata al caso, considerando che l’attuale presidente della regione Augusto Rollandin è rinviato a giudizio con l’accusa di turbativa d’asta e abuso d’ufficio aggravato, a seguito dell’indagine “Usque Tandem”. Augusto Rollandin, presidente regionale uscente, è stato nuovamente il candidato preferito dagli elettori valligiani alle ultime elezioni regionali del 26 maggio, raccogliendo 10.791 voti. L’opposizione politica, alla vigilia dell’insediamento della nuova giunta, aveva chiesto “un passo indietro per inopportunità” fino a quando la sua posizione non sarebbe stata chiarita. Analoga richiesta era stata avanzata dall’ufficio di presidenza dell’associazione Libera.

Proprio il coordinamento regionale valdostano (in collaborazione con altre associazioni ad esso aderenti) dell’associazione fondata e presieduta da don Luigi Ciotti, ha curato la pubblicazione del volume “L’altra Valle d’Aosta. ‘Ndrangheta, negazionismo e casi irrisolti ai piedi delle Alpi”, edito dal Gruppo Abele e diffuso da Libera a livello nazionale. Cento pagine per raccontare passato e presente di una regione che per troppi anni ha vissuto nella presunzione di verginità. E che adesso, come le altre regioni del Nord, sta pagando il conto.

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