La “pazza idea” di Officine Zero
Un complesso industriale abbandonato diventa il laboratorio di una “strana” – cioè solidale – idea di società
Una “pazza idea” si aggira da un po’ di mesi per le vie di Roma e nella rete: si può occupare e riconvertire ad altra funzione quella che per quasi cent’anni era state delle officine meccaniche adibite alla manutenzione dei treni. Si può: e c’è chi (ex lavoratori, precari, gente di quartiere) lo sta facendo.
Le officine RSI di via Umberto Partini a Roma, ferme dal 2008, vengono occupate dagli ex-dipendenti in cassa integrazione nel febbraio dello scorso anno: in gioco non c’è soltanto il posto di lavoro e la sicurezza economica di 33 persone con famiglia a carico, in gioco c’è ancora una volta la difesa di un territorio, quello della capitale, già fortemente marcato dalla speculazione edilizia, in una zona di snodo come Casal Bertone a due passi dalla stazione Tiburtina. A questo, denunciano gli stessi ex-operai nel documentario che riprende la “Pazza idea” di cui sopra, avrebbero puntato i Barletta dopo aver acquisito le officine: non alla loro riqualificazione e rilancio produttivo, ma alla loro completa dismissione.
E i lavoratori? Loro ormai non servono più; da quando Trenitalia ha deciso di tagliare il servizio dei treni notte a favore dell’alta velocità, le loro prestazioni sono “superflue” quindi ognuno a casa, con stipendio arretrato e cassa integrazione, finché dura.
Ed è qui però che nasce la pazza idea: gli operai a casa non ci vanno affatto.
Anzi, di fronte all’inerzia generale di istituzioni e sindacati, decidono di reagire e di occupare uno spazio di 4.000 metri quadri supportati da una rete sociale, fatta di associazioni, gruppi informali, spazi autogestiti (come l’adiacente Strike), singoli cittadini, che gli dà manforte. Quel posto può e deve essere riconvertito e restituito in forma diversa ad una comunità più ampia; il sapere degli operai specializzati può ancora avere un’utilità se messo a disposizione della collettività.
In breve tempo quelle che un tempo erano officine meccaniche vengono trasformate in un “cantiere”: cantiere di idee dove discutere e confrontarsi seduti attorno a un tavolo, ex-lavoratori, studenti e precari, proporre, progettare; cantiere dove spaccarsi la schiena per impedire che l’incuria e l’abbandono mandino in malora strutture e macchinari.
All’interno degli spazi ripuliti e risistemati le idee prendono progressivamente forma: la dove c’erano gli uffici prende pian piano corpo il progetto di coworking in cui lavoratori del mondo della conoscenza, dell’informazione, del cinema, per lo più precari e partite IVA, possano sperimentare un nuovo modo di lavorare in sinergia non solo per abbattere i costi ma per trovare nuove forme di collaborazione capaci di valorizzare le singole professionalità; la palazzina, ex abitazione del direttore, subito dietro l’ingresso, ormai è uno studentato (ribattezzato Mushrooms) occupato e autogestito stabilmente da una decina di universitari fuorisede.
Per le officine vere e proprie, i capannoni, la falegnameria, la tappezzeria, l’obiettivo finale e più ambizioso è quello di trasformarli in un nuovo polo del riuso – dalle piccole suppellettili all’abbigliamento, fino al materiale elettrico ed elettronico – che consenta alle professionalità maturate là dentro di sfruttare le proprie competenze misurandosi con un settore, il riutilizzo appunto, che L’OCSE e la Commissione europea considerano già uno dei pilastri per il rilancio economico e occupazionale in tutta Europa.
Si procede passo dopo passo, a cominciare dalla formazione e dall’autoformazione, con una serie di laboratori tematici che vadano esattamente nella direzione immaginata così da permettere anche a chi non possiede le competenze adatte di cominciare a farsi un’idea, e contemporaneamente va avanti la riflessione politica che mette al centro il mondo del lavoro. La CLAP (Camera del lavoro autonomo e precario), per esempio, nasce con lo scopo di offrire un punto di riferimento e un supporto a quei lavoratori che per antonomasia non solo non vengono rappresentati ( lavoratori autonomi e precari), ma sono “difficilmente organizzabili”.
Da qui l’esigenza di aprire uno sportello di consulenza che affianchi a momenti di discussione e di confronto, l’apertura all’esterno atta all’assistenza fiscale e legale, così come un altro sportello è quello a cui pensano e lavorano gli studenti di Mushrooms mentre stuccano pareti e sistemano infissi.
Perchè alle ex officine RSI, ribattezzate Officine Zero (dove zero sta per zero sfruttamento, ma anche zero padroni e zero baroni) si trova sempre qualcosa da fare, dal rastrellare le foglie nel cortile, a ripulire tetti e grondaie.
Il tutto senza trascurare l’apertura e il confronto col quartiere, le esperienze estere: dalle assemblee pubbliche, per discutere e rendere partecipe la cittadinanza dei progetti che si stanno avviando, accogliere proposte e suggerimenti, ai seminari di formazione, ai momenti ludici come nel caso del congresso dei disegnatori che ha visto decine di street writers dare libero sfogo alla loro creatività, alle iniziative di autofinanziamento, allo sguardo lanciato verso le occupazioni delle fabbriche argentine.