Cronaca di un successo annunciato
La ‘ndrangheta oggi è l’organizzazione criminale egemone in Italia
Attorno alla mafia calabrese c’è sempre stata una sottovalutazione storica che frequentemente non consente una corretta interpretazione del fenomeno.
Nando dalla Chiesa, in La Convergenza, illustra i periodi storici della ‘ndrangheta: attraverso la fase economica denominata dall’autore “accumulazione originaria”, nel decennio Settanta e Ottanta del Novecento, la mafia calabrese realizza degli investimenti strategici che pongono le basi per l’odierna egemonia sulle altre organizzazioni criminali presenti sul territorio italiano.
• La Salerno-Reggio Calabria
Con l’esecuzione dei lavori della nota autostrada si permette un collegamento più rapido tra la Calabria e il “resto del mondo”. Enzo Ciconte (‘Ndrangheta, edizioni Rubbettino) sottolinea che l’assegnazione degli appalti avviene anche con l’assenso di alcuni imprenditori del Nord Italia, attraverso la loro funzione di prestanome. Potenti ‘ndrine lavorano indisturbate nella realizzazione dell’autostrada. Dalla costruzione sino ad oggi, in base alla competenza territoriale, le cosche hanno “mangiato”, prosciugando le risorse pubbliche connesse ai lavori dell’opera.
• Il V centro Siderurgico
Il Quinto Centro Siderurgico di Gioia Tauro (Reggio Calabria) è un progetto mai portato a conclusione; i promotori dei lavori sono altissime cariche politiche del governo centrale e il boss della Piana di Gioia, Tauro Girolamo Piromalli, detto “Don Mommo Piromalli”.
Attorno al V centro siderurgico si creano svariate imprese edili, dalle quali emerge la figura dello ‘ndranghetista-imprenditore. “La grande torta”, cioè la spartizione dei lavori tra le ‘ndrine, può essere interpretata come un’intuizione da parte di Don Mommo Piromalli, reputato uno dei più carismatici boss della ‘ndrangheta.
Contemporaneamente ai lavori pubblici (V Centro Siderurgico e Salerno-Reggio Calabria) anche i sequestri di persona sono serviti ad accumulare denaro. Per realizzare questa parte del loro piano strategico, le cosche sfruttano le colonie presenti nel Nord-Italia. Non a caso, gran parte dei sequestri partono da lì e le vittime di questo meccanismo vengono poi nascoste in Aspromonte (San Luca, Platì e Africo soprattutto).
La Lombardia è la regione in cui si sono verificati più sequestri di persona; gli ‘ndranghetisti si focalizzano principalmente sui rampolli della buona borghesia del nord e, tra il 1977 e il 1984, eseguono oltre 100 sequestri. Gli introiti di queste attività illegali, in un futuro prossimo, vengono poi reinvestiti nel traffico di droga.
Lavori pubblici e sequestri di persona rientrano nella medesima strategia: investire e incrementare il patrimonio per aprire a nuovi mercati. I sequestri di persona però comportano alti rischi di pena detentiva e perdita di consenso, elemento fondamentale per la sopravvivenza delle organizzazioni mafiose. Cosa Nostra, infatti, nello stesso periodo, capisce che il sequestro non è la strategia giusta da perseguire. Nasce, quindi, la domanda spontanea: l’accumulazione primaria è stata oggetto di una strategia precisa? Sembrerebbe proprio di sì, perchè dopo i vari filoni citati, le nuove leve della ‘ndrangheta, sofferenti al ruolo che hanno sino ad allora ricoperto, vogliono fare un salto di qualità. Nasce così “la santa”, la prima dote della Società maggiore .
Il “santista” è soggetto alla doppia affiliazione; è, cioè, sia ‘ndranghetista che massone. Avviene, così, l’ingresso della criminalità organizzata calabrese all’interno della massoneria deviata, permettendo l’apertura di un dialogo con le figure di potere: architetti, ingegneri, magistrati, avvocati, banchieri, servizi segreti, forze dell’ordine, politici e imprenditori.
Chi possiede la santa può intrattenere tutti quei rapporti, impensabili in precedenza con il potere costituito, senza essere considerato un traditore. Infatti, il santista ha anche la funzione di delatore; ciò significa che se qualcuno inferiore di dote all’interno della sua ‘ndrina fa errori lo può segnalare persino alle forze dell’ordine.
Ulteriore elemento di novità è il nuovo giuramento del rito di affiliazione: non è più su San Michele Arcangelo (protettore della ‘ndrangheta) ma su Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e Alfonso La Mormora (tutti e tre massoni).
Il conflitto avvenuto tra il 1974 e 1977, combattutosi principalmente tra i clan di Reggio Calabria, causa oltre 230 morti. Uno dei motivi conflittuali è da ricercarsi tra le attività descritte nei primi due paragrafi e le vecchie correnti capeggiate da Antonio Macrì e Domenico Tripodo. Chi sono queste due persone? Antonio Macrì, detto Ntoni Macrì, era il capo bastone di Siderno (fascia jonica di Reggio Calabria), legato alle tradizioni ‘ndranghetiste, contrario ai sequestri di persona e alla ‘santa’; favorevole al mantenimento dell’attività principale delle cosche calabresi prima dell’acquisizione primaria: il contrabbando delle sigarette.
Come riportato in Fratelli di sangue, scritto dal Procuratore Aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri e dallo storico di organizzazioni mafiose, Antonio Nicaso, il collaboratore di giustizia Giacomo Lauro sottolinea che “Macrì era il capo dei capi, rappresentava l’onorata società” e in stretti rapporti con il clan dei corleonesi (da Michele Navarra, il quale viene mandato al confino a Marina di Gioiosa Jonica, fino a Luciano Liggio, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano).
Ucciso nel campo bocciofilo di Siderno a colpi di mitra nel gennaio del 1975, il suo assassinio viene ordinato dai De Stefano (Reggio Calabria), dai Cataldo (Locri) e dai Mazzaferro (Marina di Gioiosa Jonica). Domenico Tripodo, detto Don Mico Tripodo, il prediletto di Macrì, originario di Reggio Calabria, è uno degli ‘ndranghetisti più influenti della città; la cosca dei Tripodo si pone in conflitto aperto con i De Stefano (anche loro di Reggio Calabria) perché, come i Macrì, vuole mantenere le tradizioni mafiose del passato. Viene ucciso da due cutoliani nel carcere di Napoli, Poggioreale. In cambio del favore a delle cosche calabresi, il boss della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, ottiene i codici della mafia calabrese, da parte dei Mammoliti di Castellace. L’omicidio viene realizzato anche per via dei buoni rapporti tra Cutolo e il padrino Paolo De Stefano.
Altri omicidi rilevanti sono quelli di Giacomo Ferlaino (Lamezia Terme, 3 luglio ’75), avvocato generale dello Stato, ucciso per lupara bianca, il quale si oppone alla degenerazione dell’infiltrazione della ‘ndrangheta nella massoneria; i fratelli Giovanni e Giorgio De Stefano. I gruppi vincenti della 1° guerra di ‘ndrangheta sono i Cataldo, i Mazzaferro, i De Stefano, i Piromalli e i Mammoliti. L’esito di queste sanguinose faide è lo spartiacque tra la vecchia e la nuova ‘ndrangheta; questa fase storica consente ai clan calabresi un salto di qualità nello scenario criminale nazionale e internazionale.