Giovani scienziati antimafiosi
Quante volte avete sentito chiedere “ma io come faccio a combattere la mafia?”.
Ecco, la risposta giusta è una sola: conoscendola. Nessun avversario può essere combattuto e vinto senza conoscerlo, né il nemico in guerra né la rivale di Champions League. Solo il dilettantismo storico di una classe dirigente ha portato a ritenere (al netto delle complicità) che la mafia potesse essere combattuta senza saperne nulla o quasi; inventandosi di volta in volta, secondo ispirazione letteraria o spocchia narcisista, che cosa essa fosse “davvero”.
Per questo credo che oggi stia accadendo un fatto nuovo e importante: la nascita di una generazione di giovani che la studiano, la capiscono, ne discutono, riflettono sui suoi rapporti con la società circostante. Accennerò perciò a due esperienze che mi sembrano in questo senso quasi esemplari.
La prima è quella, assolutamente inedita, di formazione-vacanza realizzata quest’estate con una ventina di miei studenti e neolaureati all’Asinara, su cui Libera aveva avuto la gestione estiva del carcere bunker.
I giovani, tutti ben formati in sociologia della criminalità organizzata (corsi, tesi, laboratori), avevano il compito di guidare i turisti, più di cento al giorno, al carcere in cui sono stati ristretti i capi delle Brigate rosse, Raffaele Cutolo o Totò Riina. E di spiegare il ruolo dell’isola nelle fasi più aspre della democrazia repubblicana, compreso il soggiorno di Falcone e Borsellino per scrivervi l’ordinanza di rinvio a giudizio del maxiprocesso.
La sera, invece, partecipavano al cosiddetto “seminario sotto le stelle” per parlare dell’Italia civile dei “don”, da don Milani a don Ciotti. In mezzo, naturalmente, bagni in spiagge inimmaginabili e notti di discussioni e chitarre, tra cinghiali e asini bianchi.
E’ stata un’esperienza indimenticabile, che ha visto i partecipanti impegnati anche in un imprevisto esperimento di metodologia della ricerca per ovviare ad alcuni buchi o contraddizioni della leggenda locale sulle carceri di massima sicurezza.
Stare insieme, discutere in modo più approfondito, collettivo e continuo di legalità e di lotta alla mafia, ha rilanciato l’idea di una università che sappia essere anche itinerante, smuovendo progettualità inaspettate.
“Vedrà che cosa faremo in autunno” hanno promesso i miei studenti di Scienze politiche di Milano, che in ogni caso trasformeranno il materiale seminariale in un ciclo di lezioni popolari in università.
Nel frattempo dal 9 al 13 partirà un’altra esperienza, ossia la terza edizione della Summer school in Organized Crime che si tiene ogni settembre sempre a Scienze Politiche di Milano.
Titolo di quest’anno: “Talenti antimafiosi”, vale a dire i ricercatori sotto i 35 anni che lavorano, in Italia e all’estero, sulle diverse forme del fenomeno mafioso. Sono stati chiamati a raccolta (circa una trentina) per mettere a fuoco le nuove conoscenze che si vanno producendo in tema di mafia. E’ il primo raduno di questo genere.
E i movimenti antimafia ne hanno colto l’importanza, visto che molti quadri hanno chiesto di partecipare a quello che, nella mia immaginazione, è solo un primo gradino per arrivare nel tempo a una vera Woodstock dell’antimafia: scientifica, culturale, civile, artistica, musicale, giornalistica, televisiva…
Sta nascendo finalmente, questo è il punto, una larga comunità scientifica giovanile antimafiosa. Una comunità che si è dato come primo obiettivo quello di conoscere e di fare poi conoscere ad altri. Fino a fare della conoscenza l’arma di massa decisiva da mettere nelle mani della coscienza morale e civile della parte più avanzata del paese.
La politica e l’informazione queste cose non le vedono. Ma è in questi processi silenziosi e sotterranei che nasce il cambiamento.