Omicidio Caccia: il volantino di Cattafi
Una sera d’estate di trent’anni fa un uomo porta a spasso il cane dopo una giornata di riposo. Lo affianca una macchina con a bordo tre persone, aprono il fuoco con quattordici colpi di cui tre alla nuca.
Moriva così il 26 giugno 1983 il procuratore di Torino Bruno Caccia.
Magistrato integerrimo, completamente dedito alla sua professione, fu il primo a intuire quella che dieci anni dopo sarebbe stata l’inchiesta di Tangentopoli, il primo a capire quanto radicato fosse il sistema delle ‘ndrine a Torino. Caccia era estremamente pericoloso perché incorruttibile e inavvicinabile. Probabilmente era arrivato vicino a qualcosa di grosso, che forse avrebbe messo in crisi l’intero sistema mafioso cittadino.
La sentenza di morte quindi scattò inesorabile. Ad emetterla fu Mimmo Belfiore, boss indiscusso della ‘ndrangheta locale. Sconosciuti invece finora i sicari. Tutti, a partire dai figli di Caccia, sono convinti che ci sia ancora molto da scoprire e chiedono – attraverso il loro legale avvocato Fabio Repici – la riapertura del caso. Soltanto pochi giorni fa si sono aggiunte infatti domande alle domande.
“La Stampa” racconta di un’intercettazione del 2009 fra il Pm Olindo Canali e una giornalista con cui sta lavorando ad un’inchiesta sulla mafia. Nell’abitazione del boss di Barcellona Pozzo di Gotto, Rosario Cattafi, è stata ritrovato un volantino con una falsa rivendicazione BR per il delitto Caccia, ma documento e verbale di perquisizione non compaiono nel fascicolo d’indagine. Che fine hanno fatto? E qual è stato il ruolo di Rosario Cattafi – oggi al 41bis e sedicente testimone nel processo sulla trattativa Stato-mafia – ritenuto punto di contatto tra Cosa Nostra e i servizi deviati?