lunedì, Novembre 25, 2024
-mensile-Inchieste

Tre omicidi in un giorno e minacce a una sindaca coraggiosa

L’ombra della Banda della Magliana e l’incu­bo di una guerra di mafia negata

Castel Gandolfo è un paese alle porte di Roma con una vista mozzafiato sul lago da un lato, sulla capitale e la pianura fino al mare dall’altro. Un antico borgo cresciuto attorno a conventi e luoghi di culto e famoso in tutto il mondo come sede estiva del Papa. Un bel posto davvero.

A Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana, Castel Gandolfo doveva piacere assai visto che andò a comprarsi proprio sulle rive del lago una villa. Parliamo di quel Nicoletti che veniva considerato negli anni ’80 il genietto degli investimenti a rischio zero non solo dai suoi compari delle “batterie” che operavano all’ombra del cupolone, ma anche dalle organizzazioni mafiose che si erano insediate già dalla fine degli anni ’60 (come hanno raccontato fra l’altro i pentiti Buscetta e Calderone) o volevano accedere – tanto per fare un esempio i ragazzi del clan dei Casalesi – alla ricca torta romana. L’amico dell’onorevole e avvocato Vitalone, anche se quest’ultimo ha sempre negato, l’ex carabiniere che si alleò con i “testaccini”, uomo anche lui, come il capo Enrico De Pedis (ucciso in pieno centro nel ’90), con rapporti e contatti nelle aree dell’estremismo nero, con pezzi dei servizi, con i principi del foro all’opera nel tribunale delle nebbie, con la finanza oscura dello Ior, con le famiglie “formali” di Cosa nostra a Roma, con Calvi e Sindona e Pippo Calò. Quel Nicoletti lì, che iniziò da strozzino fino a diventare custode degli affari della Banda e dei suoi soci.

E torniamo a Castel Gandolfo, Enrico Nicoletti (diventato nel corso della sua attività illegale immensamente ricco) decise quindi un bel giorno di comprarsi la villa a Castelgandolfo. Un investimento benedetto, deve aver pensato, vista la santità dei luoghi. Poi quella casuccia vista lago gli è stata sequestrata (uno dei pochi casi dell’applicazione della legge La Torre nei confronti degli associati alla Banda della Magliana avvenuto nel ’96). E una donna – non sia mai – sindaco del paesino, applicando alla lettera la legge La Torre ha affidato due settimane fa a Libera che ai Castelli Romani è molto attiva con un bel gruppo la domus Nicoletti. Una bella cosa, no? Certo. Se non fosse che il 13 giugno esce la notizia di una busta con tanto di pallottola calibro 22 e grazioso bigliettino di accompagnamento indirizzata al sindaco: “Saluti dalla Magliana”. Tutto qua. Sembra di tornare indietro nel tempo. Ma non è così.

“Non mi faccio intimidire, anzi vuol dire che sono sulla strada giusta – ha commentato Monachesi – Potrebbe trattarsi di un’intimidazione politica, visto che a qualcuno dà fastidio la mia politica della trasparenza. Oppure di qualcosa di connesso all’inaugurazione del Castellett0, confiscato alla banda della Magliana nel ’96 e affidato a noi nell’ottobre 2012, e inaugurato in collaborazione con Libera domenica scorsa”. Bene la prudenza nell’indicare la mano dell’intimidazione, ma è evidente che il sindaco di Castel Gandolfo non sembra avere dubbi si chi possa essere la firma della missiva.

Da quel momento è diventato improvvisamente palese e pubblico quello che i romani (perfino quelli meno informati) sanno da tempo ma che nessuno osa dire: che la Banda non è finita con la morte e la strana sepoltura di De Pedis, che le “batterie” hanno scelto per più di un decennio di tenere un profilo basso ma certo non si sono sciolte. Che sia vecchie seconde linee della Banda della Magliana di allora che molte nuove leve hanno tenuto in piedi la tradizione criminale (organizzata) a Roma. L’organizzazione criminale, la Banda della Magliana, più vicina a una forma di struttura mafiosa. E che ai sodalizi tradizionalmente mafiosi fornirono per anni manovalanza, consulenze, gestione del territorio e accesso a rapporti e ambienti nella capitale. E Nicoletti, proprio per il suo ruolo all’interno di quell’organizzazione, per anni ne è stato simbolo e motore.

Nella guerra di mafie meno raccontata in Italia, quella in corso da almeno tre anni a Roma per il controllo del racket delle estorsione, degli appalti e del traffico internazionale di cocaina, di ex vecchi della Banda della Magliana e di nuovi emuli di De Pedis & co ce ne sono finiti parecchi. Come anche alcuni loro ex “soci” dell’eversione nera. Qualcuno è morto, qualcuno è stato ferito, altri si sono dileguati cambiando aria. Perché in questa guerra, come abbiamo già raccontato negli scorsi numeri de I Siciliani giovani, che ha già fatto 67 morti in 32 mesi fra Roma e hinterland di ex che ex non sono ne compaiono parecchi. E questo bilancio di sangue è estrapolato dalla cronaca e non da dati ufficiali che ad oggi non esistono, perché, e lo ripetiamo per l’ennesima volta la parola “mafia” a Roma è ufficialmente bandita. Nonostante gli ex della Magliana, Cosa nostra, Casalesi, camorra napoletana e ‘ndrangheta operino da decenni nella capitale e qui ingrassano e prosperano. Nel 2010 Antonio Mancini, detto l’accattone, durante un’intervista era stato molto esplicito: “La Banda della Magliana esiste ancora, ha usato e continua ad usare i soldi di chi è morto o è finito in galera. Forse non ha più bisogno di sparare. O almeno, di sparare spesso”. Poi ha avuto inizio un bagno di sangue. Nel silenzio generale. E proprio grazie al silenzio difficile da interpretare.

Si, difficile, se non impossibile quando la parola d’ordine sia da parte di polizia e magistratura che di politica e stampa è minimizzare. Come nel martedì di sangue. Tre omicidi in un giorno solo. Prime ore della mattina del 28 maggio nel quartiere di Tor Sapienza un uomo di 62 anni, pensionato con un piccolo precedente per droga risalente al 2004, ucciso per strada con un unico colpo di pistola alla testa. Un’esecuzione. Poche ore dopo, a Focene sul litorale nord vicinissimo a Fiumicino, un uomo suona alla porta di una casa. Apre un quarantenne. Un altro colpo alla testa. Un’altra esecuzione. Non è ancora finita. Anzio, sempre litorale questa volta a sud. Vengono sparati più colpi contro due giovani a bordo di un’automobile. I due cercano di fuggire ma vengono inseguiti e raggiunti dai killer. Bilancio, un 23enne morto e il suo amico di 22 anni in fin di vita in ospedale. L’ultimo omicidio del genere, un’altra esecuzione, era avvenuto poco tempo fa, la vigilia di Pasqua, in un bar di Tor Bella Monaca. Questa la cronaca, in sintesi. Difficile definire “una coincidenza” tre fatti di sangue del genere nello stesso giorno. Un giorno particolare, poi. Con i seggi per le elezioni amministrative di Roma appena smontati e con l’ufficializzazione dei risultati data solo qualche ora prima. Ma questa storia, quella che non prevede coincidenze, è ancora tutta da scrivere.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *