Lea Garofalo, la sentenza
Mercoledì 29 maggio, presso l’aula della Corte D’Assise d’Appello di Milano, si è svolta l’ultima udienza del processo per l’omicidio di Lea Garofalo
Si è assistito alle dichiarazioni spontanee di Carlo Cosco, alla replica del Procuratore Tatangelo e alle controrepliche dei difensori, ma soprattutto alla lettura del dispositivo della sentenza, verdetto finale per questo intenso grado di giudizio.
Ore 9:45, le porte si aprono ed ha così inizio l’udienza. L’imputato Massimo Sabatino decide di rendere davanti alla Corte delle dichiarazioni spontanee, con le quali non perde occasione per rimarcare il suo intento meramente intimidatorio nei confronti di Lea, durante l’episodio di Campobasso. Doveva solo”darle due schiaffi”, niente di più. Dichiarazioni, quindi, che tendono a voler smentire la circostanza paventata dal Procuratore Generale, secondo la quale Lea sarebbe dovuta essere sequestrata e poi portata a Bari, sminuendo in questo modo l’utilizzo del furgone, usato solamente per simulare un trasloco, nel caso in cui le forze dell’ordine avessero fermato il mezzo per un controllo. Segue poi l’intervento di Carlo Cosco. Questo ribadisce la mancanza di una logica omicida predeterminata e studiata da anni, volta ad uccidere l’ex compagna, e l’avvento improvviso di un raptus, di un momento di ira violenta, scatenato dalla minaccia di Lea di non fargli più vedere sua figlia Denise. Carlo confessa di aver provato amore e passione nei confronti di Lea: “se fossimo stati distaccati”, ribadisce l’imputato, “non sarebbe successo niente. Lei tanti anni fa mi ha lasciato, mi ha provocato tanto dolore, perché io a lei volevo bene. Ho sbagliato, conclude, se potessi tornare indietro non lo rifarei, ho perso la testa, la mia pena peggiore è l’odio di mia figlia, non finirò mai di pregare per avere il suo perdono”, “il Vangelo lo insegna, anche per un uomo come me”. L’ultimo a prendere la parola tra gli imputati è Carmine Venturino. Quest’ultimo riferisce alla Corte una circostanza particolare. Il collaboratore di giustizia racconta come Cosco Vito, dopo esser uscito dall’appartamento dove si è consumato l’omicidio, si sarebbe raccomandato con lui stesso di non chiamarlo sul suo cellulare, bensì sull’utenza di Janczara Damian (un giovane di origine polacca, che, durante una testimonianza resa in primo grado, si è definito amico dei Cosco). Episodio già noto al Procuratore Tatangelo, dato che era stato riferito dal Venturino in sede di interrogatorio.
Parte poi la replica del procuratore Marcello Tatangelo, durante la quale l’attenzione risulta del tutto concentrata su Cosco Vito. Durante l’omicidio di Lea, secondo la tesi esposta dal pm, questo non sarebbe stato in possesso del proprio cellulare ma, al fine di procurarsi un alibi, avrebbe optato per affidarlo ad una terza persona, e pertanto, durante quella fascia oraria tale utenza sarebbe stata usata da una terza persona. In altre parole, Vito Cosco, prima di andare nell’appartamento di via Prealpi, nel quale si è consumato l’omicidio di Lea, avrebbe dato il proprio cellulare ad un altro soggetto, accertandosi che questo si occupasse di effettuare diverse chiamate durante quel lasso temporale, in modo tale che se “qualcuno lo avesse cercato, Vito Cosco non avrebbe corso il rischio di essere rintracciato proprio durante i momenti del delitto”. Pertanto l’imputato, durante le fasi concitate dell’omicidio, avrebbe usato un’altra utenza telefonica, in particolare quella di Janczara Damian, e, proprio per questo motivo, avrebbe detto a Carmine Venturino di cercalo su questo numero e non sul proprio. Circostanza confermata dall’analisi dei tabulati telefonici, che rivelano inoltre numerose chiamate partite dall’utenza di Carmine Venturino dirette al numero di Janczara Damian, proprio dopo l’omicidio.
Il primo a prendere la parola è l’avvocato Roberto D’Ippolito, legale di Marisa Garofalo, sorella della vittima. Secondo il legale i sei imputati si sarebbero messi “d’accordo tra loro per contenere i danni, visto la mazzata di sei ergastoli che è arrivata dopo la sentenza di primo grado”. Circostanza subito contraddetta dal difensore di Giuseppe Cosco, l’avvocato Massimo Guaitoli, il quale replicherà dicendo che “Giuseppe Cosco non ha bisogno di essere salvato da Carmine Venturino, perché in questa storia non c’è mai entrato”. In seconda battuta l’intervento dell’avvocato Maira Cacucci, legale di Giuseppe Cosco, durante il quale viene ribadita la certezza dell’utilizzo da parte di Vito Cosco del suo cellulare, sconfessando così la tesi del procuratore generale. Inoltre, il fatto che il signor Janczara Damian si sentisse con Venturino , sempre secondo la tesi del legale, non è da considerarsi cosa anomala, dato il legame di amicizia esistente tra i due soggetti. L’avvocatessa conclude la propria replica chiedendosi: “perché non vogliamo credere a Carlo Cosco? Perché non ci rendiamo conto che Carmine Venturino ha detto la verità solo quando la sua versione coincide con quella di Carlo Cosco e che per il resto ha farcito il tutto? Non gli si vuole credere perché forse il processo perderebbe l’interesse mediatico? Perché sarebbe solo, lo dico con il massimo rispetto, un omicidio tra due ex?». Come controreplica in favore del suo assistito Carmine Venturino, l’avvocato Floriana Maris, ha di nuovo sottolineato la genuinità delle parole di quest’ultimo e, ancora, che “i Cosco sono un gruppo ‘ndranghetista, pertanto l’omicidio di Lea è stato commesso con metodo mafioso”. “Siamo di fronte ad un omicidio premeditato”, continua il legale, “come dimostrano le indagini svolte”. L’avvocato Daniele Sussman Steiberg, difensore di Carlo Cosco e ultimo a prendere la parola, ha in primis accusato di incoerenza il contenuto dell’intervento del Procuratore Tatangelo, controreplicando l’inesistenza di un piano omicidiario premeditato e l’esistenza di un momentaneo e letale raptus di follia.
Sono circa le 18 quando Anna Conforti, Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Milano, legge il dispositivo della sentenza di secondo grado, riformulando parzialmente il giudizio di primo grado.
Confermato l’ergastolo per Carlo Cosco con un anno di isolamento diurno e per Vito Cosco con otto mesi di isolamento diurno, Massimo Sabatino e Curcio Rosario. Venticinque anni di reclusione per Carmine Venturino con il riconoscimento delle attenuanti generiche e non dell’attenuante speciale della collaborazione. Assolto Giuseppe Cosco, per non aver commesso il fatto, il quale tuttavia non verrà subito scarcerato, data la condanna che grava sulle sue spalle di dieci anni per traffico di droga, pena confermata in secondo grado. La Corte ha inoltre confermato i risarcimenti per le parti civili: 200 mila euro per Denise Cosco, 50 mila euro alla madre e alla sorella di Lea Garofalo, 25 mila euro al Comune di Milano. Inoltre, tutti gli imputati, ad eccezione di Carmine Venturino, dovranno provvedere in solido al pagamento delle spese processuali. Adesso si attendono le motivazioni della sentenza, che dovrebbero essere depositate entro agosto.
Anche in quest’occasione, come per tutte le udienze del processo Garofalo, si è sentita la calorosa partecipazione di giovani, che, consapevoli dell’importanza della loro presenza in aula, hanno scelto di sostenere Denise Cosco. Questa scelta dà voce alla voglia di giustizia e verità che anima gli intenti di quelle decine di studenti e che esprime la parte migliore della società civile organizzata.
Denise, che ha assistito in aula alla lettura della sentenza, ” ha scelto di far celebrare i funerali di sua madre a Milano, perché Lea è stata uccisa in questa città e perché l’amministrazione comunale, che si è costituita parte civile, le è stata vicino”, spiega il suo avvocato, Enza Rando. Che poi commenta la sentenza: ” si è scritta un’ulteriore pagina di giustizia” .