Le larghe disattese
Lo capirebbe anche un bambino. Berlusconi non ha alcuna intenzione di tenere in piedi il governo Letta per l’intera legislatura e neppure per quell’anno e mezzo necessario, secondo il premier e il presidente della Repubblica, per condurre in porto le riforme. Il cavaliere non ha la minima intenzione di permettere a questo esecutivo di raggiungere perfino un abbozzo di successo. La sua strategia è semplice. Rimanere nella maggioranza immobilizzandola con continui ricatti e rilanci (sull’Imu, sull’Iva etc) per il tempo necessario a dissanguare il Pd e i centristi. E sarà un gioco di breve durata. Staccherà la spina prima che il M5S imploda grazie alla propria inconsistenza e alle sue contraddizioni interne liberando milioni di elettori di sinistra che lo hanno votato (per protesta o nell’illusione che Grillo rappresentasse una forza di cambiamento che scuotesse il ceto politico che immobilizza da anni il centro sinistra) e prima che la sentenza della Cassazione attesa in autunno lo renda ineleggibile per interdizione dai pubblici uffici. Non può e non vuole legare la caduta del governo alle proprie vicende giudiziarie (anche se questo legame nei fatti non è possibile dissolverlo) e non può consentite che il Pd rafforzi la sua posizione.
Lo capirebbe anche un bambino, si. E lo avrebbe dovuto capire in primo luogo Giorgio Napolitano e di conserva gli architetti (alla Fuffas) del correntismo Pd. L’ha capito perfino Grillo che dopo l’intimidazione (o meglio, la furia padronale) dell’espulsione surreale della senatrice Gambaro oggi sembra presentare un abbozzo di paternalistico dialogo cercando di evitare una scissione e quindi di offrire un’esigua ma funzionale ancora di salvezza a un governo a guida Pd sostenuto dal pattuglione di espulsi. Lo capirebbe chiunque ma il Pd no. Non che il partito guidato pro tempore da Epifani manchi degli strumenti per farlo. Il Pd non può cercare di interpretare la realtà in questa chiave perché affrontare questo scenario lo costringerebbe a prendere atto di 20 anni di errori strategici e la necessità di disegnare davvero – cosa che non ha mai fatto – un progetto politico, sociale e culturale progressista alternativo a quello che ci offre un ventennio di disastrosa seconda repubblica.
Non c’è una voce che sia una che si sia espressa in questa direzione (se non quella di Civati ma che rimane una mosca bianca). Renzi, Cuperlo, Epifani, il redivivo Veltroni, i teodem, Franceschini, i giovani turchi e così via: nessuno che si ponga il problema del dare anima a un oggetto vuoto come il Pd di oggi. Solo sopravvivenza e tatticismi per conservare o acquisire spazi di potere interni. Il progetto è accessorio. Gli elettori pure. Gli iscritti e attivisti più che mai.
Basterebbe andare a vedere come e con quali programmi e uomini abbia stravinto il centro sinistra nelle ultime amministrative per avviare un processo da troppo a lungo evitato dal gruppo dirigente del Pd nazionale. Alternativa radicale al centro destra e rifiuto del Berlusconismo, trasparenza amministrativa e tagli ai costi della politica e dei privilegi, verifica e tagli sulle spese inutili, ridimensionamento e controllo pubblico sulle partecipate, i beni comuni come volano di crescita e di partecipazione, inclusione sociale, equità e difesa delle fasce sociali meno protette, difesa e promozione dei diritti civili e del principio di cittadinanza (che va ben oltre lo ius soli), valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, sostegno e promozione del lavoro femminile e dei giovani, semplificazione amministrativa e regole ferree e controlli puntuali e trasparenza sugli appalti. E soprattutto chiaro posizionamento a sinistra attraverso alleanze e scelte comuni. Sembrerebbe la scoperta dell’acqua calda. Per il gruppo dirigente nazionale del Pd non lo è.
E allora eccoci ancora qui ad aspettare che Berlusconi stacchi la spina e nell’attesa a goderci i suoi ricatti. Rallegrati dal quotidiano delirio narcisista dell’altro protagonista del populismo padronale della scena politica, Grillo.
Lo capirebbe anche un bambino, ma sarebbe troppo facile.
Ps. (rileggo Galíndez di Manuel Vázquez Montalban dopo 20 anni. Un libro bellissimo e terribile sul potere. Ritrovo un brano che mi sembra perfetto per descrivere una parte della fase che stiamo attraversando e il modo in cui per vent’anni si è esercita l’azione politica dentro e fuori i partiti e dal ceto politico. “Fino a qui il pesce ha aperto la bocca e per la bocca muore il pesce. Il solo verdetto possibile è di colpevolezza, colpevole del delitto di lesa maestà”)
Nota: colonna sonora della scrittura di questo post “All Along The Watchtower” di Bob Dylan nella clamorosa versione live (Central Park 2003 NYC) della Dave Matthews Band