venerdì, Novembre 22, 2024
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La mafia c’è, ma chi non vuole non la vede

Inquietanti notizie di cronaca giudiziaria col­legano Palermo e Abruzzo. E un nuovo maxisequestro conduce dritti dritti ad opere di metanizzazione avvenu­te vent’anni fa…

Nel mese scorso due importanti notizie di cronaca giudiziaria avrebbero dovuto portare sull’Abruzzo l’attenzione dei media. Ma quasi nessuno sembra essersene accorto, come se (ancora una volta) gli intrecci tra la mafia e il nostro territorio fossero invisibili.

Il 16 maggio la Procura di Palermo ha disposto l’arresto di 34 persone, tra cui Gianni Lapis. L’accusa rivolta al professionista palermitano è di essere stato il prestanome di Massimo Ciancimino nel riciclaggio del tesoro del padre Vito, ex sindaco di Palermo.

Quelle vicende portano direttamente all’Abruzzo, dove negli anni la ricerca dell’ex tesoro di don Vito ha riempito pagine e pagine di cronaca giudiziaria, fino ad arrivare a società impegnate nella costruzione di strutture ricettive (La Contea a Tagliacozzo) e nel campo del gas. Sono vicende facilmente rintracciabili sul Web, basta semplicemente digitare su Google le parole “Gianni Lapis”, riciclaggio, tesoro, Ciancimino.

La Guardia di Finanza di Palermo ha sequestrato società, attività commerciali, immobili di pregio e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di circa 48 milioni di euro.

Il provvedimento è avvenuto a seguito di un’indagine sugli investimenti di società impegnate nel mercato del gas con capitali riconducibili anche a Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro, con appoggi politici da parte di Vito Ciancimino.

A cavallo degli Anni Ottanta e Novanta le cosche avrebbero quindi messo le mani sulla metanizzazione di vaste porzioni della Sicilia. E dell’Abruzzo (e, anche in questo caso, da notare come l’Abruzzo sia stato “dimenticato” da vari organi di stampa nazionali nel riportare la notizia…).

Nelle accuse a Gianni Lapis di aver investito in Abruzzo come prestanome di Massimo Ciancimino già anni fa si faceva riferimento ad una società marsicana del settore energetico, venduta poi ad una società spagnola a cavallo tra il 2003 e il 2004.

Per anni si è continuato a portare avanti la favola delle mafie come fenomeni locali “coppola e fucili” confinata in poche regioni “sfortunate”, mentre tutto il resto della Penisola sarebbe sana. L’Abruzzo sarebbe quindi un’isola felice, dove può “scapparci qualcosa” ma nulla più.

Qualcun altro, forse credendosi più furbo o scaltro, ci ha invece raccontato un’altra narrazione: l’Abruzzo era un’isola felice, ma negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Storiella sbagliata esattamente come la prima.

Sono passati oltre vent’anni dall’assassinio dell’avvocato Fabrizi, un omicidio su cui non si è mai riusciti a fare piena luce: i mandanti sono rimasti nell’ombra e nei lustri intercorsi dalla sera del 4 ottobre 1991 (il giorno in cui il “killer dagli occhi di ghiaccio” lo ha ucciso) hanno potuto continuare ad investire ed agire.

Come riportammmo a gennaio su I Siciliani Giovani , nello studio di Fabrizi gli investigatori trovarono enormi faldoni di documenti che andavano dai rifiuti ai centri commerciali. Ma l’intreccio tra criminalità e Abruzzo va ancora più in là nei decenni. Il 21 maggio è stato reso noto il sequestro di beni per 1,5 milioni di euro nei confronti di Raffaele Casamonica, la cui famiglia è considerata il più importante clan della malavita romana.

Nel gennaio 2012 “La Repubblica” realizzò un dossier articolato sulle vicende della famiglia Casamonic (Casamonica SpA), che descrive un clan, considerato dalla DIA “la struttura criminale più potente del Lazio con un patrimonio stimato di 90 milioni di euro”, i cui affari vanno “dall’usura allo spaccio in grande stile di cocaina” fino al “recupero crediti” in rapporto anche con Enrico Nicoletti, l’ex cassiere della Banda della Magliana. La famiglia Casamonica è originaria dell’Abruzzo, “giunti da Pescara nella Capitale negli anni settanta”(Wikipedia).

Ma a Pescara e in Abruzzo questo appare continuamente sconosciuto.

Le mafie non sono più “coppola e fucile”, i mafiosi di oggi girano in ventiquattr’ore e gessati, sono al centro di trame e reti economiche, commerciali, speculative, affondano le loro fortune in affari e società, alcune addirittura “formalmente legali”. Politici e imprenditori sono legati a doppio filo con le organizzazioni criminali in cartelli che dominano i territori, investono nel ciclo del cemento, dei rifiuti, dell’energia all’interno del sistema economico. Mescolanza tra affari leciti e illeciti, business “legali” e “capitali sporchi” che si legano anche alla luce del sole, ma nel silenzio e nell’omertà di molti.

Le mafie in Abruzzo investono e agiscono. Sono attive nel settore della speculazione edilizia (ci sono testi universitari che portano il Vastese come esempio di riciclaggio di denaro di provenienza illecita nella speculazione edilizia) e nel campo dei rifiuti, hanno investito o lo fanno ancora nei settori del gas e del turismo, controllano il traffico della prostituzione, delle droghe e dello sfruttamento del lavoro clandestino, portano avanti il racket delle estorsioni. Questi business non sono avulsi dal contesto sociale ed economico, non sono lontani dalla quotidiana realtà.

I silenzi nazionali, le omertà che diventano connivenze, le complicità di chi non soltanto non si oppone ma spesso è un ingranaggio di ‘O Sistema, potranno anche permettere alla favola dell’isola felice o dell’isola-non-felice-ma-però-se-forse, di essere ancora raccontata. Ma è un falso “senza se e senza ma”.

Info: www.ritaatria.it

www.peacelink.it/abruzzo

 

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